Tu sei qui

Calandri: “MotoGP senza la stampa? Rischiamo un’informazione fasulla”

“La vera informazione la fa il giornalista sul campo. Oggi giorno ci sono molti siti e non solo che copiano, trasformando o stravolgendo le notizie”.

Iscriviti al nostro canale YouTube

Share


Sempre di più in questi giorni, sembra concretizzarsi la possibilità di un motomondiale 2020 ridotto all’osso. Sia per il numero di gare che per il numero di addetti ai lavori nel paddock. Dorna, come vi avevamo anticipato da tempo in questi articoli (LINK 1, LINK2, LINK3) ha chiesto ai team di stilare una lista degli “indispensabili” cosa che non ha fatto per la stampa che, nel caso in qui questa opzione si avverasse, rimarrebbe tagliata fuori dalla stagione. Per discutere di questo abbiamo raggiunto in diretta Fausto Gresini (trovate QUI la sua intervista) e anche, via Skype, il collega di Repubbilca, Massimo Calandri, sempre presente, insieme a noi di GPOne.com ai Gran Premi in giro per il mondo. Quali sono i rischi di correre un mondiale senza giornalisti e solo con le televisioni?

“Il rischio è quello di una informazione alterata e fasulla, la buon’informazione la fa il giornalista che si può muovere, fare esperienze e acquisire fonti sul campo. Se si dovesse optare per un campionato senza stampa ci sarebbe una totale assenza di dialogo e credo che per chi fa e riceve informazione sarebbe un disastro. In questi anni purtroppo abbiamo visto giornali e media investire sempre meno sui giornalisti che viaggiano e questo ha fatto si che si perdesse la possibilità di una informazione genuina. C’è chi si accontenta di ciò che mandano le agenzie o ciò che pubblicano i pochi che sono sul campo, poi lo si trasforma, ci sono alcuni siti che fanno così accontentandosi solo di ciò che si vede in TV ”. 

Non tutti però lavorano in questo modo, ed avere un giornalista di un quotidiano nazionale sempre ai Gran Premi è importante per tutti. 

“Di GPOne riconosco l’investimento, siete sempre sul campo e questo fa di voi un media di riferimento. Potete fornire ai vostri lettori una informazione vera, viva ed indipendente. Mi rendo conto che le spese sono significative ma è tutto un dare-avere, bisogna investire per dare una informazione di qualità. Guardare la TV e commentare le immagini sarà molto brutto ed è un’idea che non mi piace per niente. Altro problema saranno le conferenze stampa: dovremmo accontentarci delle domande e delle risposte fisse? Sono molto perplesso e mi dispiace, forse il nostro ruolo sta diminuendo sempre di più ma se non vogliamo farlo accadere probabilmente dovremmo essere noi e i nostri lettori a farci sentire”.

"A Sepang nel 2015 Rossi parlò con i giornalisti, non in conferenza"

Ci potrebbe essere una sorta di compromesso per poter svolgere il nostro lavoro pur stando a casa? La tecnologia esiste e le possibilità potrebbero essere molte. 

“Sono un po’ perplesso su questo. Pochi ricordano che nel 2015 a Sepang, quando scoppiò il caso Rossi-Marquez, Valentino nella conferenza di Dorna disse una cosa a metà riferendosi al comportamento di Marquez. Furono poi i giornalisti a chiedere un chiarimento a telecamere spente e Valentino con loro aprì il libro e le telecamere tornarono a registrare. Per le conferenze stampa si potrebbe adottare una sorta di smart working dove ai giornalisti verrà permesso di fare le domande da casa”.  

Quindi il tuo, a parte nella situazione delle conferenze stampa è più un no che un si…

“Io già mi sto sentendo intrappolato in questi mesi. Noi siamo fortunati a viaggiare molto e abituati a coniugare il lavoro con il viaggio, che poi diventa sempre una avventura. Io sono sempre contento quando vedo che agli eventi ci sono molti giornalisti perché la concorrenza fa salire la qualità, fa emergere le notizie e migliora i contenuti. Il nostro lavoro, però, non si ferma alla conferenza stampa, una parte importante è anche il gironzolare per il paddock, nei box o negli hospitality per raccogliere notizie e sensazioni per poi raccontare al meglio i Gran Premi. 

"Nel motomondiale il giornalista è libero"

Ma l’idea di correre realmente a porte chiuse e solo con gli “indispensabili” secondo te è realizzabile?

“Io accetterei la situazione di un GP a porte chiuse perché è sempre meglio avere una gara da vedere che non avere nulla, ma non so quanto questo sarà fattibile. Ho l’impressione che l’ipotesi di fare tutto a porte chiuse, portando nel paddock solo il personale indispensabile sia ancora un piano B. Tutta la carovana del motomondiale conta quasi 3000 persone e anche riducendola al massimo non si scende sotto il migliaio e credo che nei mesi a venire, muovere 1000 persone sarà complicato”. 

Tu oramai sei nel motomondiale da molto tempo, ma segui anche altri sport. Quali sono le tue impressioni su questo mondo e come è cambiato da quando sei entrato?

“Il mio primo GP è stato a Barcellona ormai 10 anni fa. Io seguo anche il calcio, il rugby e ho fatto qualche Gran Premio di Formula 1 ma quelli sono ambienti dove l’informazione è un po’ imbavagliata, dove si possono fare solo un certo tipo di domande, in un momento ben preciso e stando attenti a non parlare di certi argomenti. Il motociclismo, invece, è un mondo straordinario, è l’unico posto rimasto in cui un giornalista ha la possibilità di muoversi liberamente e di raccontare storie senza nessun limite ed è per questo che vorrei che più giornalisti abbiano la possibilità di seguirlo. Quando sono arrivato sono rimasto sbalordito dalla passione e dalla generosità dei colleghi anche se poi ognuno si arrangia da sé. È un mondo speciale e romantico e sarebbe un delitto confinarlo, lunga vita al motomondiale”. 

Articoli che potrebbero interessarti