Istrionico, sregolato, una vita spesa per e nelle due ruote a partire dagli anni ’70 alla Piaggio. Carlo Pernat, assente dalla Thailandia, sede del primo GP della stagione 2025 del Motomondiale, per ragioni di salute, non ha comunque fatto mancare la sua voce sul tema e in un’intervista esclusiva al quotidiano Il Secolo XIX non solo si è soffermato sulla cronaca contemporanea, ma è anche andato a ritroso, ai momenti per lui più significativi e dolorosi.
Uno di questi è stato l’incidente sul circuito di Sepang che ci ha portato via Marco Simoncelli il 23 ottobre 2011. “Mi manca il suo sorriso – ha cominciato il racconto – Quando è morto ho vissuto due mesi a casa sua, coi genitori. Non l’ho mai detto a nessuno, ma io volevo smettere e così suo papà Paolo. Ci siamo salvati a vicenda. Entrambi abbiamo continuato, io con il mio lavoro e lui con la sua squadra”.
Non mollare sarebbe stato proprio quello che il pilota di Coriano avrebbe voluto. “In sei anni abbiamo creato una fondazione che oggi raccoglie due milioni di euro annui”, ha dichiarato con orgoglio, prima di soffermarsi sulle doti del Sic e sull’evento che ha cambiato la vita a Rossi.
“Lo chiamavano “Il Patacca” perché era ingenuo, amico di tutti, soprattutto di Valentino che però, per due mesi, non venne mai a trovare la famiglia – il ricordo dei postumi di quella terribile giornata malese che nel Motomondiale ha avuto lo stesso impatto emotivo della scomparsa di Ayrton Senna in Formula 1 nel 1994 - Siccome l’ultimo colpo con la ruota glielo diede lui, si sentiva in colpa di averlo ucciso. Da allora non è stato più lo stesso. Secondo me se lo portando ancora dietro”.