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MotoGP, Tre giri nella pelle di Eddie Lawson durante il GP di Misano

YESTERBIKE Provare la Yamaha 500 OW81 del campione del mondo, uscita sconfitta dal confronto con Freddie Spencer nel 1985 è un'esperienza unica. Farlo al termine delle prove ufficiali del GP di San Marino dopo che Eddie l'aveva qualificata in pole, il sogno di una vita

MotoGP: Tre giri nella pelle di Eddie Lawson durante il GP di Misano

Correva l'anno 1985, era il sabato precedente il GP di San Marino, il 31 agosto e Eddie Lawson aveva appena centrato la pole position sul vecchio circuito di Misano. Quello che girava dalla parte giusta. Ed io mi trovavo nel box del mitico Marlboro Team Agostini. Eddie era appena rientrato, aveva fatto cenno a Carruthers indicandogli la moto che avrebbe scelto per la gara del giorno dopo, un piccolo gesto prudente visto che - indegnamente - il vostro cronista era in casco e tuta per salire sulla 'spare'.

Allora le moto da Gran Premio le provavamo in pochi. Io e Nico Cereghini in Italia, il grande Alan Cathcart in Inghilterra. Ognuno a modo suo, ma con rispetto perché con alcune, penso alle 50 e 125, senza esperienza, sarebbe stato già difficile solo uscire dai box. Comunque non era questa la novità, ma il fatto che mi fosse stato permesso di fare il test DURANTE il Gran Premio! Altri tempi, altri direttori di gara, altra passione di tutti i personaggi coinvolti, perché era la passione il collante dell'epoca. Poi, certo, c'era anche il denaro, gli ingaggi, gli investimenti, ma quando dall'altra parte chi ascoltava la tua richiesta percepiva il sacro fuoco, ogni difficoltà svaniva. Ti si aprivano le acque del Mar Rosso davanti.

Quell' ingresso in pista - non la chiamo prova - in una situazione così particolare ed irrepetibile, con le tribune e i prati gremiti di tifosi è stata una esperienza unica. Mi dettero fiducia la Yamaha, Agostini, Carruthers, Lawson e Campana. Tutti insieme. Solo questo fa capire cosa è stata la GOLDEN ERA. A bordo pista c'erano Wayne Gardner, Randy Mamola, Uncini, Baldwin, Haslam. Il giorno dopo Awesome Lawson vinse l'ultima gara della stagione. Gli chiesi, tornando al mio ruolo, di commentare l'assenza di Freddie Spencer. "Mi han detto che si è rotto un pollice: forse gli è accaduto mentre se lo succhiava", mi rispose.
Stasera su BAR SPORT assieme a Carlo Pernat e Stefano Saragoni, all'epoca mio pard nei Gran Premi e poi a lungo direttore di motosprint, parliamo di quel periodo. Non mancate.

(p.s.)

MISANO - Un anno fa, giusto all'indomani della conquista del titolo mondiale con Eddie Lawson, Giacomo Agostini ci promise che ci avrebbe fatto provare la Yamaha OW76, la moto considerata, senza mezzi termini, la migliore 500 del mondiale.

Oggi, ad un anno di distanza, la mezzo litro di Iwata ha cambiato sigla, si chiama OW81, dopo esser stata sottoposta ad un accurato lavoro di rifinitura che ne ha elevato la coppia, potenza e guidabilità, ma ha fallito l'obiettivo della riconquista del titolo. Stranamente, però, e ciò è raro per un mezzo destinato alle competizioni, la sua fama di due ruote perfetta non ha subito incrinature.

Kenny Roberts, dopo averla guidata a Laguna Seca, ha detto: "Ho fatto il tempo in appena quattro giri. Senza toccare niente. Praticamente non c'era nulla da fare se non aprire il gas ed andare. Per la prima volta nella mia carriera mi sono trovato di fronte ad una moto che mi metteva in difficoltà: mi sembrava perfetta. Non sapevo cosa suggerire per renderla più competitiva, migliore. Eppure bisognava farlo, perché lo sviluppo non si deve mai arrestare".

A Misano, in occasione dell'ultimo Gran Premio di Stagion, Eddie Lawson ha ribadito questa superiorità tecnica girando, in prova, in 1'20"46. tempo, questo, ottenuto in piena scioltezza senza alcun avversario in grado di impensierirlo. Sembra dunque che la sconfitta subita dalla Yamaha ad opera della Honda sia considerata un incidente di percorso. Ed ora, immaginate che re Giacomo, alla fine del quarto turno di prove della massima cilindrata, dell'ultimo GP della stagione, sceso di sella l'ex campione del mondo, vi inviti a salire e ad andare...

POLE POSITION

"Tre giri", ribadisce Felice Agostini, fratello di Giacomo, mentre Fiorenzo Fanali, capo meccanico, si appresta ad affidarci la Yamaha OW81 con la quale Eddie ha appena siglato la pole position del GP di San Marino. Tre giri, dieci chilometri appena a Misano, sono un niente su una moto da corsa, ma la situazione non permette altro: siamo in pieno Gran Premio e dobbiamo al direttore di gara, Giorgio Campana, il permesso di scendere in pista.

"Mi raccomando - ci aveva detto poco prima Ago prendendoci da parte - testa sulle spalle, domani Lawson deve correre".
Tutti questi avvertimenti innervosiscono un po': dopotutto la OW81 è una moto come le altre, mi dico. Ma il fatto di trovarmi nella tenda-officina del team Marlboro-Yamaha in tuta di pelle e casco, quasi sconsacrando quel luogo che ha accolto piloti come Roberts, Crosby ed Eddie, fa una certa impressione. Cerco di smitizzare il momento con una battuta: Kel Carruthers è lì accanto alla moto e mi guarda come se stessi per uscire con sua figlia.
"Beh, Kel perché non parliamo un po' di ingaggio per l'86?"

Addestrato dalla feroce ironia del marziano, Carruthers non si lascia prendere in contropiede.
"Parliamone! Quanto hai in tasca da darci?"
L'atmosfera si alleggerisce, anche se continuo a sentire caldo nella pesante tuta Dainese invernale. Confessiamolo: sulle moto da GP saliamo sempre a campionato finito, ma iniziamo a fare un po' di rodaggio a noi stessi con calibri un po' meno impegnativi. Intanto Kel continua a parlare, a metà fra il serio ed il faceto.

"Giuro - dice insistendo sullo stesso argomento - nel nostro team non abbiamo alcuna preclusione: se un pilota si presenta con un miliardo lo facciamo provare".
A me allora va bene, perché la tuta non ha tasche; e quella di Giacomo, Kel e compagni è una bella dimostrazione di amicizia; dimenticavamo, anche di fiducia: Susumo Doi, l'ingegnere capo della Yamaha, ci osserva sorridente da dietro i suoi famosi occhiali. Intanto mi sta parlando Fiorenzo. Siamo buoni amici: durante l'inverno Fanali è il meccanico di Hubert Auriol alla Parigi-Dakar.

"Puoi tirare sino a 12.000 giri - spiega - e non devi mai preoccuparti dell'erogazione della potenza: è quasi una moto da strada".
Felice al contrario continua nella sua opera intimidatoria: "Non aprire di colpo il gas altrimenti ti metti la moto in testa".
Diamo un rapido sguardo tutto intorno: Kel sorride sornione, Felice ha un sorrisetto da volpe, ma Fiorenzo ha una espressione del tutto rassicurante.

IN PISTA

 

Tutti e quattro sbuchiamo fuori dalla tenda. Il pubblico nel paddock osserva uscire la OW81 con il n umero 1 ed il motore acceso, sapientemente tenuto allegro. E' una scena che ho visto altre volte: Floppy, già il casco in testa, l'andatura un po' ingobbita, si avvia così verso la pista per i turni di prove. La folla si apre per lasciarci passare. Ne vedo le gambe. Ormai lo spazio vitale, quello dell'attimo che sto vivendo, si è ristretto nel raggio di due metri appena. Il cancello dell'ingresso in pista si spalanca. E' il solito, vecchio, circuito che conosco fin troppo bene, ma il momento è magico. Più che osservare quel che accade intorno a me scorgo i colori. Percepisco i movimenti, ma il mio universo è una bicromia bianco-rosso Marlboro.

Ormai sento appena quel che mi si dice. Osservo le gomme, ne sfioro la ruvidità che trasmette sicurezza, aderenza. Poi guardo nella sua interezza quella moto che ho straosservato e fotografato durante il corso della stagione e mi stupisco di avere casco e stivaletti. Di esserci seduto sopra.

Non ho mai osato tanto, eppure probabilmente Kel e compagni non si sarebbero adirati per una misuratina. Non lo ho fatto, però, così il piacere della prima volta è del tutto intatto. Con la OW81 immobile sul cavalletto lascio che sia il corpo ad assorbire le sensazioni: Lawson è più alto di me e la posizione di guida è distesa. Non una esagerazione, solo quel tanto che basta per non sentire la gommapiuma della sella saldamente premuta contro il fondoschiena. Le ginocchia però penetrano comodamente nelle ampie svasature del serbatoio: come sempre la Yamaha è maestra quanto a posizione di guida. Avrei bisogno di pochissime modifiche per adattare la OW81 al mio fisico. La posizione dei mezzi manubri usata da Eddie è comoda, ed anche i comandi a pedale sono al posto giusto. Mi decido e faccio un cenno a Fiorenzo. Il cavalletto viene tolto e Fanali mi si affianca spingendo l'OW81 per la coda con l'usuale scioltezza di un gesto familiare.

PARTITI

Lascio la frizione ed apro un filo di gas. Il quattro cilindri in quadrato borbotta. Riduco l'apertura e va in moto. Il rumore, da sopra, è quello classico del due tempi gonfio di cavalli quando è sotto coppia. Quasi un rumore animalesco. Il respiro di una tigre. In seconda entro nella esse dopo i box, ruoto la manopola del gas dolcemente, come mi ha avvertito Felicino, ma ora il contatto fra me e l'OW81 è avvenuto. Due ruote scorrono sulla pista, non sono a cavallo di un bufalo imbizzarrito, ma anzi di un mezzo sul quale la Yamaha ha investito miliardi e tecnologia per farne una perfetta macchina da guerra per quella battaglia che ci chiama campionato del mondo.

Il brontolio sordo si muta in un fischio pulito mentre l'ago del contagiri levita dai 9000 ai 10500 giri. Il tracciato del circuito di Misano scorre sotto le ruote della Yamaha che ha il N°1 sulla carenatura quasi come se l'arma di Lawson, al termine delle prove, avesse imparato le traiettorie e fosse in grado di ripercorrerle da sola. Chiunque sia il pilota in sella. Ma io non sono Eddie Lawson e tiro le briglie della OW81 nella prima tornata di ricognizione. La curva del Tramonto, che chiude il rettilineo principale, è piena di filler appena sulla destra della traiettoria ottimale, e la curva della Brutapela sembra la superficie di una torta spolverata di zucchero a velo.

In uscita mi decido ed apro finalmente il gas. Due anni fa, al Paul Ricard, in Francia, la Sonauto lasciò che provassi la OW76 di Marc Fontan. Una moto apparentemente identica a questa, con lo stesso motore a 'V' ma con alimentazione a disco rotante, inveche che lamellare. In due stagioni il progresso è stato enorme: la OW81 non è solo più pronta, il suo motore spinge vigoroso ad ogni apertura del gas. E' difficile spiegare la sensazione: sembra che la manopola dell'acceleratore sia direttamente collegata alla ruota posteriore. Il più piccolo spiraglio di gas muove il grosso slick radiale Michelin ma, e qui sta il bello, la spinta è solo in avanti. Non c'è la spiacevole sensazione di sentire lo pneumatico camminare lateralmente. In una parola: la trazione è eccellente, come se invece che una moto, stessi guidando una auto da competizione con il differenziale autobloccante.

Mezzo giro ancora è già quasi trascorso e sono in pieno curvone. Non sfioro nemmeno i limiti miei personali, figuriamoci quelli della Yamaha OW81, ma il feeling fra me e questo attrezzo da battaglia è quasi perfetto. Spalanco osservando il contagiri come un mirino, traguardandolo per vedere al di là del cupolino trasparente. Ad 11.550 giri non ho più cuore ed infilo la sesta mentre il paesaggio circostante sembra risucchiato da un potente aspirapolvere nascosto nella coda dell'OW81.

Il limitatore di giri che è nel mio polso stacca e chiude il gas prima che sia veramente necessario al cartello dei 200 metri. Quanti giri avrò preso in sesta? Non me lo sono mai domandato al secondo giro di una prova, ma questa non lo è, ed è una sola tornata che mi rimane.

ULTIMO GIRO

E' impossibile familiarizzare con la Yamaha al punto da cercare le traiettorie che lei vorrebbe, arrivare in frenata belli composti e buttarle giù le marce a raffica inclinandola con un solo movimento fluido e deciso. Sentiamo  che l'OW81 risponde alle nostre richieste, che è leggera e docile fra le mani, ma quando - chissà cos'era successo al nostro limitatore personale in quel momento? - spalanchiamo all'uscita della curva della Quercia e l'OW81 alza la ruota anteriore, mentre ancora siamo inclinati, capiamo di aver allentato troppo le briglie sul collo di questo purosangue. La moto comunque non sbanda di avantreno, né scoda, segno di una perfetta distribuzione dei pesi.

Sappiamo per esperienza che ogni volta che lo sterzo ha una reazione in accelerazione è perché la gomma anteriore ha perso il contatto con il suolo. Ci pare di vederlo, lo immaginiamo perché una infinità di volte lo abbiamo fotografato, questo momento: la slick anteriore, mentre il cordolo esterno scorre e finisce all'uscita della Brutapela, si libra sull'asfalto. E' come se entrando nella curva avessimo tirato per l'intera traiettoria un grosso elastico, che viene lasciato andare dall'altra parte non appena la moto si è riallineata.

L'accelerazione mangia il breve rettilineo. Abbiamo una visione coloratissima della fila di gente che osserva dal muretto dei box; gli uomini di Marlboro, in camicia rossa, sono una macchia indistinta, ma visibile. Un giro ancora, ancora una volta la semicurva che precede il Carro, la secca staccata da prima.

L'impianto frenante Brembo morde secco e l'OW81 si accuccia, docile. Il freno posteriore è quasi inesistente. Il suo compito è unicamente quello di tenere in linea la moto quando le staccate da 200 all'ora fanno serpeggiare questo bolide come una F.1.

"Quando Eddie si ferma il suo disco posteriore è quasi freddo". Ci aveva detto Fiorenzo Fanali alla partnza. Questo pensiero ci ruba il ricordo delle due semicurve che portano al curvone.

STOP FORZATO

Forse ancora due chilometri da percorrere. Lasciamo ruggire il quattro a 'V', ma il tempo scorre veloce su questa divoratrice di spazio. E già rivediamo il muretto. E' la decisione di un attimo: gli rubiamo un giro ancora. Ma qualcuno è in mezzo alla pista e ci fa cenno. In piena accelerazione tiriamo la frizione morbida come burro. Il motore tace immediatamente. Per pochi attimi c'è solo il fischio dell'aria sul casco ed il calore che scorre dal radiatore dell'acqua nella carenatura. Tutto è nuovamente immobile. Solo Fiorenzo ci corre incontro come fa con Lawson. Ed allora Eddie si piega d'un lato mentre si sfila il casco per ascoltarlo.

"Tutto bene mama-san?" scherza solitamente Fanali. Ma proprio non lo sentiamo. Troppo forte ci batte il cuore.

 

(Questo articolo è stato pubblicato su motosprint n°36 del settembre 1985)

 

 

 

 

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