Tu sei qui

Dalla SBK alla MotoGP: una storia con poche gioie e molti dolori

Il test di Razgatlioglu ha riportato il tema in auge, ma nell'era della MotoGP solo 4 piloti arrivati dalle derivate di serie sono riusciti a vincere almeno una gara sui prototipi

MotoGP: Dalla SBK alla MotoGP: una storia con poche gioie e molti dolori

Il test di Toprak Razgatlioglu sulla Yamaha M1 ha riportato in auge un vecchio tema, quello del passaggio dalla SBK alla MotoGP. In teoria un salto poco traumatico, ma che in passato non ha mai portato a gradi risultati. Dimostrazione ne è che i team della classe regina del motomondiale guardano sempre alla Moto2 (quando non alla Moto3) per trovare i loro piloti e quasi mai alle derivate di serie. Anche se le Superbike, almeno sulla carta, sono più simili alle MotoGP per potenza, cilindrata, peso.

I piloti arrivati dalla SBK alla classe regina sono state mosche bianche (lasciamo perdere i tempi delle 500, con gli americani e gli australiani vincenti in patria nelle derivate di serie), mentre non vale il contrario. Da Marco Lucchinelli in poi, le derivate di serie hanno sempre attinto a piene mani dal paddock dei cugini e con ottimi risultati. Alvaro Bautista, l’attuale campione del mondo, arriva dal paddock del motomondiale, lo stesso in tempi passati Melandri e Biaggi, per fare solamente due nomi. In questa stagione, metà dello schieramento della SBK è composto da piloti che si sono formati per anni sui prototipi: Petrucci, Lecuona, Gardner, Syahrin, Redding e via così. E non parliamo della Supersport.

Molti di loro hanno avuto o stanno avuto successo nel passaggio, anche vincendo dei titoli, ma la proprietà commutativa non vale in questo caso e a dirlo sono i numeri. Negli ultimi anni non sono stati molti i piloti a salire da una SBK alla MotoGP, ma chi lo ha fatto spesso ha raccolto poco. 

Bayliss, Spies, Crutchlow, Vermeulen: gli 'eroi dei due mondi'

A cominciare da Troy Bayliss, 3 volte campione del mondo della SBK. L’australiano passò in MotoGP nel 2003 sulla Ducati del team ufficiale e non andò nemmeno male: 3 podi e il 6° posto a fine anno. Il secondo anno sulla Rossa fu più difficile (un solo podio e tanti ritiri, anche per via di una moto ‘sbagliata’) e passò alla Honda. I risultati non arrivarono, a 6 GP dalla fine della stagione si ruppe un polso in allenamento e decise di tornare in SBK (e vincere). La sua unica vittoria in MotoGP arrivò nel famoso GP di Valencia del 2006, come wild card.

Una vittoria, come Ben Spies. Il texano in SBK aveva fatto faville, vincendo il Mondiale nel 2009 con la Yamaha al debutto, senza conoscere nemmeno le piste. Abbastanza per promuoverlo in MotoGP con Tech3 (ma nella classe regina aveva già fatto 3 wild card con la Suzuki nel 2008, con un bel 6° posto a Indianapolis). Il primo anno andò bene: un paio di podi e tanti piazzamenti. Nel secondo (sempre in Yamaha ma nel team ufficiale) migliorò e vinse la sua prima gara. Il 2012 fu un incubo fra guasti alla moto e infortuni. Il più grave alla spalla, che l’anno seguente (quando passò alla Ducati Pramac) lo costringerà al ritiro. Con in bacheca il successo ad Assen nel 2011 e 6 podi in totale.

Ben più lunga la carriera in MotoGP di Cal Crutchlow, attuale collaudatore di Yamaha. Campione del mondo Supersport nel 2009, dopo un anno in SBK, arrivò nel motomondiale nel 2011. Dopo un anno di apprendistato sulla Yamaha Tech3 iniziò a collazionare podi, fino a convincere la Ducati a volerlo nel team ufficiale (esperienza fallimentare, che durò una sola stagione). Dal 2015 corse per Honda fino al 2020. Negli ultimi due anni ha corso con la Yamaha sostituendo Franco Morbidelli infortunato nel 2021 e tappando il buco lasciato da Dovizioso ritirandosi a metà stagione lo scorso anno. Cal si è fatto amare da tutto il paddock, ma in 11 stagioni ‘piene’ ha messo in bacheca appena 3 vittorie e 19 podi.

Un’altro dei piloti vittoriosi nelle due serie arrivato dalla SBK è stato Chris Vermeulen. L’australiano in MotoGP ha legato il suo nome a quello della Suzuki, correndo con la moto giapponese dal 2006 al 2009: una vittoria (in Francia, nel 2007, sulla pioggia) e 7 podi il suo bottino, anche se bisogna riconoscergli che non guidava di certo la moto migliore sullo schieramento.

Edwards & C: non tutte le ciambelle escono col buco

Nessuna vittoria e 12 podi per Colin Edwards in 196 gare disputate. Arrivato in MotoGP nel 2003 sull’Aprilia dopo 2 titoli in SBK . Passò poi a Honda, per accasarsi in Yamaha per 7 anni, di cui due nel team ufficiale al fianco di Valentino Rossi. Dal 2021 vestirà i colori di Forward prima con una CRT e poi con una Yamaha Open, per finire la carriera nel 2014.

Noriyuki Haga ha invece ottenuto un solo podio, ma in 500 in una wild card a Suzuki con la Yamaha. Correrà una stagione completa nella mezzo litro nel 2011 senza grosse soddisfazioni, come anche nel 2003 con l’Aprilia. Nemmeno un podio per Shane Byrne, nel motomondiale nel 2004 e nel 2005, prima con l’Aprilia e poi con la Protono KR di Kenny Roberts. Per completezza, citiamo i due podi in 500 di Scott Russel (iridato SBK nel 1993) con la Suzuki nel 1996, unica sua stagione completa nel motomondiale.

Un podio anche per Ruben Xaus nella sua stagione di esordio (il 2004) sulla Ducati, con il 3° posto in Qatar, l'anno successivo passerà in Yamaha ma senza successo. James Toseland nel 2008 arrivò in MotoGP da campione del mondo SBK: per lui 2 stagioni in Yamaha senza mai andare oltre al 6° posto come migliore piazzamento.

Non ci dimentichiamo di Loris Baz, che approdò in MotoGP nel 2015 ai tempi delle moto ‘Open’, la sua era una Yamaha con il team Forward. L’unico acuto al debutto fu un 4° posto a Misano, un risultato che replicò l’anno successivo sulla Ducati del team Avintia in una stagione caratterizzata da ritiri e infortuni. Un altro anni ancora, poi il francese tornò in SBK.

In MotoGP, ma solo per poco: da Rea in poi

Questi i piloti che hanno corso in modo continuativo nel motomondiale, ma i piloti della SBK sono stati a volte utilizzati come sostituiti, o gli è stata data comunque la possibilità di una gara ‘premio’. Così, facciamo una piccola eccezione e parliamo anche di Carl Fogarty che collezionò una manciate di gara in 500, sfiorando il podio nel 1993 sulla Cagiva a Donington perché finì la benzina a poche curve dal traguardo.

Si è poi parlato molto delle due apparizioni di Jonathan Rea sulla Honda nel 2012, in sostituzione di Casey Stoner. Catapultato all’ultimo momento sulla MotoGP, il britannico ottenne due buoni piazzamenti (8° a Misano e 7° ad Aragon) ma patì distacchi pesanti dal primo (43 secondi in Italia, 32 in Spagna). Per Johnny saranno le uniche apparizioni nel motomondiale.

Non brillò nemmeno Alex Lowes, chiamato nel 2016 a sostituire Bradley Smith sulla Yamaha Tech3 per 3 GP, vide la fine solo del primo, al 13° posto. Garrett Gerloff, nel 2021, ad Assen sulla moto di Morbidelli, non entrò nemmeno in zona punti (17°). Come Michael Vd Mark, che 4 anni prima, sostituì Jonas Folger sulla Yamaha Tech3 nelle ultime due gare della stagione.

Questa - senza pretese di completezza - una lista dei piloti che hanno fatto il salto. Non si può sostenere che abbiamo ottenuti in generale grandi risultati nel passaggio e le possibilità sembrano essere ancora minori oggi, con le MotoGP che sono cambiate moltissimo. Freni in carbonio e diverse gomme sono i primi due scogli, molte piste sconosciute un altro, a cui si aggiungono metodi di lavoro differenti e mezzi che ‘lavorano’ diversamente dalle SBK, con un’aerodinamica estremizzata e gli abbassatori, per citare solo due differenze. Sia chiaro, nulla che non si possa imparare, ma servirebbe tempo. Proprio quello che ora le squadre non hanno, sempre alla ricerca del nuovo fenomeno, anche al costo di bruciare piloti. Il tempo per l'apprendistato non sembra essere più concesso e il rischio di fare una brutta figura è sempre più grande.

Di questi problemi ci ha parlato anche Lucio Cecchinello nella nostra intervista.

Articoli che potrebbero interessarti