Di Leslie Scazzola
Ci sono moto che diventano storiche e altre che entrano di diritto nella leggenda. La Cagiva Mito è esattamente questo, un Mito di nome e di fatto.
È arrivata sul mercato nella primavera del 1990, diventando subito l’oggetto del desiderio di tutti i sedicenni appassionati di moto e di corse.
Perché questa moto sia diventata leggenda è presto detto: prestazioni ai vertici della categoria, ciclistica affilata e pensata per le corse Sport Production, che negli anni ‘90 furono la vera scuola dei campioni e che vedevano impegnati i principali costruttori spesso in forma ufficiale.
Oggi abbiamo l’occasione di provare la Cagiva Mito Lucky Explorer del 1992, con l'iconica livrea che ha contraddistinto molte moto da competizione del marchio Cagiva.
Pregi e difetti
Tra la fine degli anni ’80 e la prima metà degli anni ’90 il settore delle 125 ha vissuto le sue vette più alte in termini di vendite ed estremizzazione in chiave sportiva delle sue contendenti.
Aprilia, Cagiva, Honda, Gilera ma anche Yamaha e Suzuki si giocavano l’apprezzamento del pubblico grazie alla spremitura meccanica dei loro motori e al incessabile perfezionamento dei loro modelli, arrivando fino a circa 35 cavalli di potenza e velocità massime prossime ai 180 orari.
Questo continuo rincorrersi sul filo delle prestazioni si è arrestato di botto a metà degli anni ’90, quando la normativa ha imposto il limite dei 15 cavalli per le moto guidabili con patente B.
Cagiva continuò a proporre la sua Mito fino al 2012, evolvendola nel design e depotenziando il suo motore due tempi per farlo rientrare nei nuovi limiti di legge. Telaio, forcellone e molte altre componenti hanno resistito invariati per oltre 20anni.
La prima Mito debuttò nel maggio del 1990 nella versione priva di carenatura. Si affiancava al modello C12, ultima evoluzione della fortunata serie Freccia, da cui ereditò la base motoristica.
Pochi mesi dopo ecco finalmente la versione carenata, con un design che si ispirava molto da vicino alla C588 da Gran Premio portata in pista da Randy Mamola. La carenatura era di tipo completamente sigillato, dall’indiscutibile fascino racing che però aveva il “difetto” di celare il bellissimo telaio a doppio trave pressofuso in alluminio, una struttura che prendeva nettamente le distanze dal doppia culla in acciaio della serie Freccia.
La Mito è nata per essere una sportiva vera, senza compromessi, e questo si riflette anche nella posizione di guida, molto caricata sull’anteriore e per questa ragione – senza mezzi termini – davvero scomoda.
In tema di ciclistica, la Mito debuttò sul mercato con una forcella telescopica tradizionale, mentre a partire dalla serie in prova, nel 1992, debutta un più moderno componente upside-down marchiato Marzocchi con steli da 40 mm di diametro, senza possibilità di regolazione. Il mono posteriore, invece, è un componente Sachs Boge regolabile nel solo precarico della molla.
I freni rappresentano un altro fiore all’occhiello della Mito, con un enorme disco da 320 mm all’anteriore lavorato da una pinza Brembo a 2 pistoncini paralleli, e un disco posteriore da 230 mm con pinza a doppio pistoncino contrapposto.
I tubi freno sono in gomma, come da tradizione per l’epoca. Gli pneumatici di serie sono sovradimensionati, visto che i cerchi in lega leggera da 17 pollici a tre razze calzano un 110/70 all’anteriore ed un 15/60 al posteriore. Il motore è piccolo ma pepatissimo monocilindrico 2 tempi dotato dell’esclusivo cambio a 7 rapporti, già introdotto da Cagiva sulla serie Freccia C12.
Nella versione datata 1992 il motore era accreditato di ben 32 CV di potenza, e dotato di tutte le migliori soluzioni della scuola duetempistica dell’epoca: valvola di scarico a comando elettronico, raffreddamento a liquido, miscelatore automatico e avviamento elettrico erano infatti un must in questa categoria.
Negli anni il propulsore ha conosciuto tantissimi aggiornamenti di dettaglio per mantenersi costantemente al vertice della categoria in tema di performance.
Saltare in sella oggi ad una moto come la Mito è un’esperienza da provare sicuramente, perché è lontana anni luce dalle sensazioni che possiamo trarre da una qualsiasi piccola cilindrata odierna.
Innanzitutto è bene chiarire che la Mito è una moto che ancora oggi va fortissimo: pensare che queste prestazioni fossero liberamente utilizzabili da qualsiasi 16enne neopatentato fa un po’ impressione.
Detto questo, non è solo quanto va forte a stupire, bensì il “come va” a prendere nettamente le distanze rispetto al moderna produzione della categoria. Regolarissima fin dai regimi più bassi, l’erogazione è però completamente vuota fino a circa 8.000 giri, ovvero fin quando non si apre la valvola parzializzatrice.
Per entrare nello specifico, il motore è trattabile e si lascia condurre con facilità anche ai bassi giri, ma è totalmente privo della coppia a cui ci hanno abituato i 4 tempi di oggi di pari cilindrata.
Passata la soglia critica di apertura della valvola, invece, la botta di potenza che si avverte è notevole e coinvolgente, così come è entusiasmante la scalata del contagiri che però si esaurisce appena passata quota 11.000.
Un arco di utilizzo davvero limitato, che nella guida più spigliata, ad esempio tra le curve di un bel passo di montagna, obbliga ad un continuo uso del cambio per mantenere sempre il motore al regime ideale.
Le curve, neanche a dirlo, sono il terreno di caccia ideale della Mito, il luogo perfetto dove sfruttare al massimo le doti di una ciclistica rigida, precisa e ultra-maneggevole.
Ci si diverte eccome in sella a questa moto, oggi come ieri, considerando che sui tracciati più tortuosi è ancora in grado di far venire il fiato corto a molte sportive di grossa cilindrata, e questo grazie anche ad un impianto frenante impeccabile per potenza, prontezza e modulabilità.
Quanto costa?
Trovare una Mito in perfette condizioni è davvero molto difficile, visto anche il rinnovato entusiasmo che le 125 sportive degli anni ’90 hanno saputo catalizzare recentemente tra gli appassionati. Nel caso di un esemplare perfettamente conservato o meticolosamente ristrutturato, le quotazioni arrivano anche a 3 o 4 mila euro.