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Cronichles of Motegi, Day #4, Alex De Angelis, il sorriso più veloce del paddock


deangelis_1_1Ci siamo incontrati per caso nel paddock prima della FP4 davanti alla fila dei container che fungono da uffici mobili nelle trasferte extraeurope. Lui era con una bella ragazza giapponese. Mi ha sorriso. Alex è sempre sorridente. "Se tutto va bene siamo spacciati", ha detto scherzando riferendosi alle imminenti qualifiche. "Alex, ma chi te lo fa fare a correre per una posizione nelle retrovie". "E' la passione per questo sport che ti porta a fare cose impensabili. E poi se ci credi e ti piace correre entri in pista e basta", ha aggiunto tenendo la ragazza con una mano sotto il gomito. Una giapponese minuta. Accanto a noi Giampiero Sacchi, il proprietario del team Iodaracing ha mormorato a mezza bocca "ma come fa? fa quasi rabbia". Si riferiva, Gippì, al fatto che Alex, dovunque va, rimedia. "Ce l'hai un minuto, vorrei parlarti", gli ho chiesto. "Aspettami, la faccio cambiare e torno". Tre minuti dopo è saltato fuori. Lei aveva la polo azzurra del team che Alex indossava poco prima e lui una giacchetta dello stesso colore. Ci ha guardati, è riapparso il sorriso, questa volta a trentadue denti mentre lei si atteggiava leggera, annodando la polo sulla vita. "Non fa quasi rabbia. Fa rabbia", ho sentito mormorare Gippì. Alex ci aveva appena mostrato la sua ombrellina. "Lo so cosa pensi. Pensi che non valga la pena correre con una ART CRT vecchia di tre anni, ma a me correre con una moto così, fra le Open, da la carica. E la vuoi sapere una cosa? Ieri Nicky Hayden mi ha fermato e mi ha fatto i complimenti". "Uno come te dovrebbe correre in Superbike e vincere. Mica star qui a far numero", gli ho detto. "Ho avuto delle offerte, nel passato, ma ero ancora troppo qui con la testa. Ora invece non ho offerte serie, per questo non mi sono mosso. E con offerte serie intendo una moto ufficiale. Se passo di là vado per vincere, altrimenti resto in MotoGP. E poi per andare in Superbike c'è sempre tempo. Guarda Biaggi". Ho annuito. Era un ragionamento onesto, non le solite scuse di certi piloti. Del resto Alex De Angelis è un ragazzo onesto. Non spara cazzate, dice quello che pensa e lo dice bene, con motivazioni corrette. Quando scherzando si dice che i piloti non hanno cervello non ci si può riferire ad Alex. Ma può un uomo di trentuno anni essere felice a recitare la parte di comprimario dopo quindici anni di carriera? Glielo ho domandato. Lui si è girato un attimo verso la ragazza, le ha sorriso come per dirle, scusaci se stiamo parlando e tu non capisci niente, dammi un altro minuto. Alle donne sono queste cose così che le fanno impazzire. Ed infatti lei ha scosso leggermente la testa, alla giapponese, come per dire, non importa. Non importa. "Quando qualcuno mi incontra al bar, dalle mie parti, mi dice, come va? Ma immancabilmente, dopo, mi chiede di Valentino Rossi. A me va bene, è stato Vale a portare così tanta attenzione sul motociclismo ed indirettamente anche su di me. E poi siamo amici, vado spesso ad allenarmi con lui al Ranch. Lui è il primo italiano, io l'ultimo. Anzi io sono sanmarinese". La solita storia. Quando Alex ha fatto qualche risultato è stato naturalizzato l'italiano, altrimenti nelle redazioni dei giornali era della Repubblica del Titano. "Sai, se fossi stato italiano mi sarebbe toccato pagare la licenza, ma parliamo tutti italiano no?", ha scherzato facendomi l'occhiolino. "Ma se volessi smettere ora, potresti? Voglio dire, alla fine della carriera, quando deciderai di tirare una riga, a fare il pilota ci hai guadagnato o ci hai rimesso", gli ho chiesto, sapendo che mi avrebbe risposto. "Ho investito un po' di soldi. Potrei smettere, ma questo è il mio mondo da quando lavoravo nell'officina del mio babbo, Vinicio. Sono nato fra i motori, non riesco a pensare ad una vita diversa". L'abbiamo vista tutta la carriera di De Angelis. Wildcard ad Imola nel 1999. Quattro vittorie in tutto, una in 250 e tre in Moto2, ma anche la bellezza di diciannove secondi posti e quaranta podi, con undici pole. "Sarai anche fra gli ultimi oggi in sella ad una quasi moto di serie in mezzo ai prototipi, Alex, ma tu 'il Cavallino', sei un signor pilota". "Ma così mi chiamate solo tu e Marco Masetti. Il mio soprannome è un altro". Ho finto di non sapere."Hai un altro soprannome?". "I miei amici mi chiamano il trivella", attimo di pausa. Sorrisone malizioso. "E qui ci mettiamo un punto". "Mannò, rispondi a queste altre due domande. La prima: di cosa ha bisogno un pilota per andare forte?", ho chiesto già pensando al trappolone della successiva. "Per andare forte un pilota ha bisogno di avere la testa libera". Non gli ho dato il tempo di pensare. "E per riuscire a rimorchiare sempre, in qualunque parte del mondo?". Gippì ha iniziato a ridacchiare alle nostre spalle. "Tanta fortuna, Paolo. E la faccia come il culo". Guarisci presto, Alex

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