Costa: ora Simoncelli parla con gli dei

Il medico dei piloti ricorda Marco: "lui è entrato a contatto col divino"


"Al crepuscolo di questa domenica piena di dolore". Così inizia la lunga lettera che il dottor Costa ha dedicato oggi sul sito della Clinica Mobile a Marco Simoncelli.

Le parole sono come sempre accorate, il linguaggio è poetico. Non è il traumatologo a parlare, ma dottore delle anime dei piloti, che spesso a lui si rivolgono per guarire fratture più dolorose di quelle delle ossa.

Riportiamo la parte saliente dell'intervista a Marco che il dottorcosta pubblichera nel suo prossimo libro e che qui anticipa. Ma leggete soprattutto le sue conclusioni. Per chi si chiede se vale la pena continuare a correre, forse in quelle righe c'è una parte della risposta.

dottorcosta: “Cosa pensi del dolore”?

Marco: “ Non mi piace. Ma lo sopporto. E’ inutile lamentarsi. Lo sopporto in silenzio. Diobò è meglio così”.

dottorcosta: “Cosa pensi del dolore dell’ anima”?

Marco: “È brutto, tanto brutto, ma dopo lo sconforto che deriva da questa cosa brutta, mi viene come una carica. Mi sento meglio e guido meglio la moto”

dottorcosta: “Quando corri contro chi corri”?

Marco: “Mi verrebbe da dire per battere gli altri. Poche pugnette non voglio stare dietro. Poi, se ci penso ti dico che corro perché provo una sensazione unica, non te lo so spiegare, ma è qualcosa di speciale, nascosto dentro di me”.

dottorcosta: "Perché hai i capelli lunghi”?

Marco: “Mi piacciono, non mi fanno sentire normale, mi fanno sentire particolare, me stesso, unico”.

dottorcosta: “Ti senti solo”?

Marco: “No! No! C’è la mia famiglia, la mia morosa i miei amici che godono dei miei successi, c’è la clinica mobile che mi aiuta nei momenti difficili. Sento quanto bene c’è attorno a me, tanto di quel bene che mi scalda”.

Ora la mia profezia si è avverata. Sei salito sul podio della Cecoslovacchia e dell’Australia. Oggi in Malesia hai guardato in faccia la Morte. E mentre ti stava avvolgendo con il suo nero mantello gli hai detto: “Diobò, ma non vedi che io non sono umano, perché io sono i miei sogni e con il mio talento sono il pane degli Dei che tu non potrai mai toccare? Non ti accorgi che rubi solo il mio corpo? Al contrario, il mio sorriso, la mia bontà, la mia simpatia rimarranno per sempre nel cuore di tutti. Per sempre. Non vedi che nello scacco che ti ho dato le lacrime si stanno per trasformare in ebbrezza? Ci metteranno un po’ di tempo, ma io credo molto in questo miracolo, specialmente per la mia famiglia e la mia ragazza. Questa è la mia vittoria nel Gran Premio della Malesia durato due giri.”

Chi nello sport, inseguendo i suoi sogni, insegue contemporaneamente la sua tragedia, esce dal mondo della umanità per entrare nel mondo del divino, cruento, violento, ma pur sempre divino. Chi muore inseguendo un sogno sorride alla morte e il sorriso cancella qualsiasi violenza. L’alpinista sorride alla vertigine dell’altezza, il subacqueo sorride all’inquietudine degli abissi, il motociclista sorride all’ebbrezza della velocità. Lo sport è il palcoscenico, dove il corpo e la mente celebrano la loro potenza in quella fase della vita che è la gioventù. Nel motociclismo il gesto del pilota è esaltato dal rischio, un filo sottilissimo che separa, nel grigiore dell’asfalto, la vita dalla Morte. Un tenue confine tracciato dal pericolo, dove la vita, per cercare la vittoria, si spinge fino al brivido del suo eccesso. Oggi, Marco, hai provato quel brivido. Ti voglio bene. E non ti dimenticherò mai.


claudio marcello costa, clinica mobile (mi raccomando in minuscolo)

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