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Franco Uncini: "l'incidente di Hugo Millan solo frutto della casualità"

"Non abbiamo gli strumenti per evitarlo, purtroppo. La giovane età c'entra poco. A me capitò con Gardner ad Assen, e a Sepang Valentino non poté far nulla per evitare Simoncelli". Ma serve veramente avere tutti questi baby campioni o possiamo aspettare che il talento sbocci più avanti come con Bayliss e Biaggi?

Franco Uncini: "l'incidente di Hugo Millan solo frutto della casualità"

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Aveva 28 anni, Franco Uncini, quando rischiò la vita nel drammatico incidente di Assen che ricorda nella dinamica quello accaduto nei giorni scorsi al giovanissimo Hugo Millan ad Aragon. Gardner ne aveva quattro di meno. Entrambi non erano giovanissimi, ma già esperti. Eppure accade. Ha senso pensare che si possa fare qualcosa per evitare di piangere piloti che sono ragazzi? Un breve flashback, ci arriviamo.

Era l’ottavo Gran Premio dell’anno, quella gara di Assen. Ricordo ancora la data: 25 giugno 1983. L’anno prima il mio amico Franco Uncini - il mio doppiatore preferito, non nel senso che mi prestava la voce, ma di pilota sempre in grado di darmi un giro nelle gare di derivate di serie - aveva vinto il titolo iridato della 500 con la Suzuki.

Il suo mondiale era arrivato l’anno dopo quello di Marco Lucchinelli, entrambi con il team Gallina. In un certo senso la sua velocità riscattava la mia lentezza: doppiato sì, ma dal futuro campione del mondo!
Questo per dire che a Franco volevo, e voglio, bene. Anche se la sua amicizia la avevo pagata non tanto con l’onta del doppiaggio bensì con due costole rotte una volta che a Livigno, a sciare assieme, ero caduto rovinosamente.

“Franco, non si vede un cazzo: scendiamo con la seggiovia”.
“Maddai! Siamo piloti…”
“Evvabè, ma non vedo un cazzo lo stesso…”.

Finì con due costole e Franco che rideva.

Franco a Vallelunga, nell'italiano, un giro dimostrativo, il primo dopo l'incidente, con ancora gli occhi tumefatti



Quella volta, però, in Olanda non ci fu niente da ridere. Pronti, via, il gruppo sfilò veloce nel circuito stradale di allora, a quei tempi sì l’Università della velocità. Spencer, Roberts, Katayama, Mamola, Lawson non mollavano un centimetro e così fece Franco che in una curva a destra aprì il gas con decisione, ma la power valve quell’anno non addolcì l’erogazione e partì l’highside.

Fu un attimo, Franco finì in terra, e come fa ogni pilota d’istinto scattò verso l’esterno. La fuga del coniglio accecato dai fari. Il gruppo, compatto, scartò sulla destra, evitandolo, ma dietro sopraggiunse Wayne Gardner.

L’australiano era alla sua prima gara mondiale con una Honda RS tre cilindri di Honda Britain e scelse la traiettoria opposta: allargò sulla sinistra. Così si consumò il dramma: colpito con violenza sul casco il campione del mondo, facendo perno sulla testa roteò in aria di 360°. Il casco volò via. E Franco rimase immobile al suolo. Un commissario rapido gli si avvicinò e con le braccia fece un gesto che  tutti interpretammo con “non c’è più niente da fare”.

Al mio fianco c’era GiovanBattista Marcheggiani, inviato del Corriere dello Sport. Il mio compagno di viaggio nella trasferta doppia Assen-Spa. Un giornalista gentile e sensibile. Il mio Virgilio. Siamo nella stessa macchina. Iniziò una storia che ci porterà a Groningen, al Dorint Hotel assieme a Cinzia, la moglie di Franco e ad Ennio, il padre, ad aspettare notizie confortanti. Uncini è in coma. Wayne, che non si è fatto niente ma è anche lui in ospedale per controlli, piange disperatamente seduto in terra, inutilmente consolato da Donna, la sua fidanzata. E’ distrutto. Al suo primo Gran Premio è convinto di aver ammazzato il campione del mondo. Rimaniamo in Olanda sino a mercoledì, attendendo notizie, poi ci spostiamo a Francorchamps. Rivince Roberts davanti a Spencer. E’ l’anno del loro grande duello, ma non ce lo godiamo. Domenica sera risaliamo in macchina direzione Groningen e, mi sembra lunedì o martedì, ci danno la notizia che Franco si è svegliato.

Uncini con la bella moglie Cinzia, l'anno dopo il titolo



Con tutto ciò in mente e la recente tragedia di Hugo Millan ad Aragon, abbiamo chiamato Uncini perché troppo poco tempo è passato da un quasi identico incidente capitato a Jason Dupasquier, al Mugello e prima di lui a Andreas Perez a Barcellona, a Afridza Munandar a Sepang e a Peter Lenz a Indianapolis. Ma potremmo aggiungere Shoya Tomizawa a Misano e Marco Simoncelli di nuovo in Malesia. Con una piccola ma grande differenza: la giovane età del pilota coinvolto.

Per questo la domanda diretta a Franco Uncini, responsabile della sicurezza della FIM è diretta e spiazzante: ha senso far correre piloti così giovani?

“E’ lo stesso incidente di sempre, che al momento attuale non siamo in grado di evitare. Alla domanda che mi hai fatto: è colpa dell’età o dell’inesperienza? dò questa risposta: per me è una questione di sfortuna. Una caduta così capita a tutti. E’ vero che nel mio caso Gardner avrebbe potuto evitare quella traiettoria, di quest’ultimo incidente non ho ancora evidenza, ma lo studierò. Però sinceramente, vedi, anche nel caso di Marco, con Valentino e Colin, l’incidente non fu evitabile. E parliamo di piloti di grandissima esperienza. Oggi non abbiamo gli strumenti per evitarlo, ma non abbassiamo la guardia. Studieremo, la ricerca va avanti e speriamo che qualcosa si trovi. Ma al momento non c’è air-bag che tenga. Pensa solo all’energia sprigionata dalla moto che colpì Simoncelli: tonnellate. 160 Kg di moto più 70 Kg di pilota, anche a 50 all’ora è incredibilmente alta. Possiamo solo sperare che non accada”.

Dunque la giovane età non c’entra?

“No è più legato alla casualità che all’esperienza”

Scappare o muoversi, non conta nemmeno questo? Si può insegnare come comportarsi?

“Ognuno ha un modo di comportarsi nelle cadute. C’è chi si chiude e rotola e chi cade con le braccia aperte. E’ difficile da comandare. In un aereo ti dicono di chiuderti e proteggerti la testa con le braccia, ma perché sei seduto, non c’è altro che tu possa fare”.

Ma 14 anni sono l’età giusta per correre? Abbiamo l’esempio di Bayliss e Biaggi che iniziando tardi  sono diventati campioni.

“Noi abbiamo iniziato tardi, ma oggi a 14 anni hanno più esperienza di quanta ne avevamo noi che andavamo solo per strada. Eravamo 19 anni e più maturi ma non ancora maggiorenni ma avremmo potuto avere questo incidente”.

Uncini ha ragione: oggi si inizia giovanissimi: pocket bike a 5 anni, Red Bull Rookies Cup a 13, a 15 si può correre in Moto3 e nella stessa cilindrata si può gareggiare solo fino a 28 anni!

E’ vero anche che in una civiltà civilizzata come la nostra siamo noi - cioè i legislatori - a fissare determinati parametri. E se nella minore età è il genitore che firma il foglio di responsabilità un motivo c’è: giudichiamo il ragazzo o la ragazza ancora immaturo per farlo. Addirittura nella ginnastica artistica ci sono dei limiti di età per partecipare alle gare internazionali: le ragazze possono scendere in pedana soltanto se nella stagione in corso compiono 16 anni, i ragazzi devono invece diventare maggiorenni nell’annata in vigore. Questo per evitare lo stress eccessivo su individui prepuberi.

In Italia si può guidare una moto a 16 anni, fino a 125cc di cilindrata con potenza massima – spesso appositamente limitata dai costruttori – di 11 kW e di tricicli con non più di 15 kW. Come con la patente AM, è possibile trasportare un passeggero solo dopo aver compiuto i 18 anni.

Insomma fissiamo limiti bassi per la circolazione stradale, affidiamo nelle mani dei ragazzi mezzi depotenziati, ma poi li lasciamo correre a 14 anni con moto che sfiorano i 200 Km/h…e per cosa? Per avere campioni sempre più giovani, per far crollare dei record? A chi importa, in fondo, l’età di un vincitore?

Si, è vero, ci entusiasmiamo per l’abilità di un Acosta, ma anche se spesso il talento è nutrito dall’aver iniziato una attività sportiva molto presto, questo fatto non è strettamente necessario.

E posso dirla tutta, fino in fondo? Ai giovanissimi talenti di oggi, cresciuti in batteria, tutti uguali, con le loro belle tute colorate, i caschi ed i numeri di gara griffati, preferivo i giovani non così giovani di qualche tempo fa che si presentavano con le tute sporche e stracciate. Testimonianza che non c’erano soldi da sprecare, se non sulla moto.

Non abbiamo bisogno di tritare giovanissimi per avere più talenti da mandare avanti in questa corsa senza senso dalle Talent Cup alla MotoGP. L’unico risultato che avremo è piloti destinati a durare di meno, perché consumati anzitempo dallo stress e dall’ansia. Pensate a Casey Stoner.

E se nella ginnastica artistica femminile si è introdotto un limite di età perché un paio di tette rendeva di fatto impossibili taluni esercizi, siamo convinti, anzi convintissimi, che i nostri giovanissimi piloti non possano avere ‘le palle’, il termine con cui noi motociclisti dividiamo il coraggio dall’incoscienza.

Naturalmente ha ragione Franco Uncini: certe dinamiche di incidenti sono inevitabili e possono colpire piloti di ogni età, eppure quando è un 14enne la vittima proprio non ce la faccio a dire: stava facendo ciò che amava. Non finché la legge non gli consentirà di firmare da solo uno scarico di responsabilità.

 

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