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TECNICA - Dentro le sospensioni: il funzionamento di 'molla' e ‘idraulica’

Analisi del sistema sospensivo, in particolare dell’elemento elastico, la molla, e dello smorzatore oleodinamico.

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La sospensione può essere scomposta in tre elementi fondamentali: il cinematismo che ne regola i movimenti, la componente elastica (generalmente la molla) che caratterizza la rigidezza e lo smorzatore (generalmente idraulico) in grado di dissipare l’energia.
Ci sono diversi tipi di cinematismi sia per le sospensioni anteriori che posteriori. In questo articolo ci concentreremo esclusivamente sulla parte elastica e sullo smorzamento che costituiscono la base del meccanismo. Per altri approfondimenti sul tipo di sospensione si rimanda a due precedenti articoli: il primo sul confronto tra forcella tradizionale e a steli rovesciati, il secondo analizza le differenze tra telelever e forcella telescopica.

Tornando al sistema elastico smorzato si sottolinea anche il contributo del pneumatico che deformandosi è in grado di filtrare le vibrazioni di elevata frequenza e piccola ampiezza. Lo pneumatico ha una rigidezza radiale circa dieci volte maggiore di quelle sospensioni per cui per basse frequenze (inferiori a 3 Hz) il contributo è trascurabile. Nella dinamica del piano, la motocicletta può essere studiata come un corpo rigido (masse sospese) collegato elasticamente alle due masse non sospese (anteriore e posteriore).  La singola sospensione può essere schematizzata come un sistema massa-molla-smorzatore a due gradi di libertà rappresentati dal movimento verticale delle masse sospese e di quelle non sospese.

Le masse sospese sono quelle a monte della sospensione come telaio, serbatoio, motore e tutti gli altri componenti rigidamente collegati. Di contro le masse non sospese sono quelle a valle della sospensione come ruote, pinza e dischi freno, corona posteriore. In letteratura specifica si considera un terzo del peso del forcellone come massa non sospesa. I restanti due terzi come massa sospesa. Questa convenzione è dovuta al fatto che una estremità del forcellone è solidale alla ruota posteriore mentre l’altra è collegata al telaio-motore. Più netta la distinzione dei pesi della forcella anteriore: la parte solidale alla piastra di sterzo è considerata massa sospesa, la parte invece atta al movimento e solidale alla ruota anteriore rientra tra le masse non sospese.
Nella realtà le moto sono equipaggiate di una sospensione all’anteriore ed un al posteriore e quindi il movimento di una influenzerà l’altra. Pertanto lo schema massa-molla-smorzatore si complica e diventa a quattro gradi libertà. Due sono rappresentati dai rispettivi moti verticali delle masse non sospese anteriori e posteriori, uno dal movimento della massa sospesa ed il quarto dal beccheggio.

La trattazione matematica, del sistema nella sua interezza, si complicherebbe notevolmente ma per comprendere il fenomeno fisico e quindi analizzare il comportamento del singolo asse, si può disaccoppiare il moto dei due assi. Questo stratagemma si ricerca anche nella realtà diversificando le frequenze naturali dei due assi. Così facendo si ottiene il disaccoppiamento del moto ossia quando la sospensione anteriore è chiamata in causa, nel superamento di un ostacolo, la sua risposta avrà un minimo impatto su quella posteriore. E viceversa. In questo modo si evita che il sistema si autoalimenti, con continui ed eccessivi trasferimenti di carico a scapito della stabilità. Per modificare la frequenza naturale (il modo di vibrare di un oggetto) si può intervenire sulla massa e sulla rigidezza. Nelle sospensioni si interviene proprio sull’elemento elastico. La molla della sospensione posteriore è generalmente caratterizzata da una rigidezza maggiore che aumenta la frequenza naturale. Questo si nota empiricamente, è generalmente più semplice comprimere la forcella anteriore rispetto alla sospensione posteriore anche da fermi.

ELEMENTO ELASTICO: LA MOLLA ELICOIDALE

L’elemento elastico più utilizzato in ambito motociclistico è la molla elicoidale con filo di sezione circolare. La si trova sia all’interno dei gambali della forcella, sia all’esterno del mono ammortizzatore posteriore. La molla elicoidale è un elemento affidabile, relativamente economico e permette di variare la rigidezza intervenendo sui suoi parametri geometrici. E’ possibile infatti realizzare una molla lineare se il passo tra le spire e la sezione è costante. Per ottenere una risposta progressiva, ossia con rigidezza che aumenta con l’aumentare dello schiacciamento della molla, si può variare il passo tra le spire. Le spire più vicine offrono una minor resistenza alla schiacciamento e quindi saranno le prime a comprimersi. Per questo motivo non è possibile realizzare molle con rigidezza decrescente in quanto sarà sempre la parte meno rigida a cedere per prima.

Le molle elicoidali sono sottoposte ad un carico normale lungo al proprio asse quindi a sforzi di compressione o trazione. Il filo è però sottoposto ad un momento torcente dato dal prodotto tra la forza normale ed il braccio rispetto all’asse del filo della molla. La molla elicoidale è sollecita a torsione risultando trascurabili le altre sollecitazioni. Le due spire alle estremità non intervengono sulla rigidezza della molla ed anzi è bene che siano opportunamente lavorate le rispettive sedi. Se le molle non fossero libere di ruotare rispetto al piattello su cui poggiano andrebbero a modificare la rigidezza di progetto.

Le molle sono dotate di un registro per variare il precarico. Questa regolazione non varia la rigidezza che è una caratteristica propria della molla. Il precarico stabilisce il limite al di sotto del quale una molla sollecitata non si deforma. E’ utile per compensare l’assetto della moto in presenza di carico extra come passeggero o bagagli. Una molla precarica necessita di un maggior carico per arrivare alla massima deformazione, viceversa, si avrà una escursione minore a parità di carico applicato.

L'ELEMENTO SMORZANTE PER DISSIPARE ENERGIA

In un sistema ideale privo di attrito una sospensione composta solamente dalla molla continuerebbe ad oscillare all’infinito. Nella realtà, anche se presente il contributo dell’attrito tra due superfici a contatto, è comunque necessario affiancare alla molla un elemento smorzante per dissipare l’energia immagazzinata dalla sospensione a seguito di una sollecitazione. Lo smorzatore maggiormente utilizzato nelle sospensioni è il tipo oleodinamico. Durante la compressione (o estensione) della sospensione, l’olio è obbligato a passare all’interno a delle cavità ricavate all’interno del pistone che scorre nella sua sede. La resistenza opposta, dipendente dalla viscosità dell’olio, genera il calore necessario per dissipare l’energia immagazzinata dallo spostamento. Per la minor superficie di scambio e per la posizione più riparata dall’aria, è generalmente la sospensione posteriore a risentire maggiormente di problemi di surriscaldamento. Per ovviare a questo problema, oltre al vantaggio di ridurre l’ingombro verticale del mono-ammortizzatore, spesso si ricorre al serbatoio del gas separato che non è montato sullo stesso asse del corpo principale ma lateralmente.

 

L’olio defluisce attraverso dei fori calibrati di piccolo diametro. La resistenza cresce con il quadrato della velocità di funzionamento della sospensione. A basse velocità la risposta è quindi confortevole mentre con il crescere della velocità la frenatura idraulica cresce repentinamente. Il restringimento dei fori comporta una maggior resistenza. Un comportamento più cedevole è caratterizzato da fori più grandi. E’ opportuno trovare una corretta taratura che ben si adatti sia alle basse che alle alte velocità di funzionamento. Non sempre si riesce un compromesso soddisfacente. Potrebbe succedere che aumentando molto la velocità di funzionamento, la resistenza idraulica sia molto maggiore di quella della molla rendendo di fatto la sospensione ‘quasi rigida’.

Per ovviare al problema, si può ricorrere all’utilizzo dei passaggi liberi formati da fori circa venti volte più grandi degli orifizi calibrati. Questi fori sono chiusi da delle lamelle posizionate sul pistone che garantiscono una resistenza al passaggio dell’olio grazie all’azione di una molla. La molla assicura la chiusura del foro fin tanto che la pressione dell’olio non riesce a vincere la resistenza offerta dall’elemento elastico. Superato tale limite la rondella si alza e l’olio può fluire facilmente attraverso i fori. In questo modo la curva di frenatura risulta costante indipendentemente dalla velocità. In realtà ciò è vero fino a quando i fori liberi si comportano come orifizi calibrati per l’aumento della velocità. Da quel punto in poi la curva aumenta la propria pendenza.

Combinando la resistenza offerta dai fori calibrati con quelli liberi comandati da molle si può ottenere una curva di frenatura idraulica che sia il corretto compromesso sia alle alte che alla basse velocità.  Per ottenere la frenatura idraulica sia nella fase di compressione che in estensione, gli elementi elastici sono posti sia sopra che sotto i fori per potersi opporre allo spostamento del pistone. La resistenza offerta è in realtà diversa poiché l’esperienza ha mostrato la necessità di avere una frenatura idraulica in estensione tre volte più grande rispetto a quella della compressione.

 

A causa dei forti gradienti di pressione, specialmente vicino ai fori, insorge il fenomeno della cavitazione: ossia la formazione di bolle d’aria all’interno dell’olio. La cavitazione va ad inficiare negativamente il corretto funzionamento della sospensione. Per ovviare al problema si ricorre ad un serbatoio di gas che ha lo scopo di mantenere l’olio ad una pressione costante per evitare la formazione di bolle. Il serbatoio del gas, come anticipato in apertura, è a volte non in asse con il corpo dell’ammortizzatore. Il gas e l’olio sono separati da una membrana che può deformarsi e quindi adeguarsi alle diverse sollecitazioni.

Fonti:
andreanigroup.com
wikipedia
ohlins.com
kaztechnologies.com
openfisica.com
Vittore Cossalter – Motorcycle Dynamics -
Gaetano Cocco – Dinamica e Tecnica della Motocicletta -

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