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Body language: Ducati, hai vinto, ora dimostra di saper approfittare della vittoria

Il mondiale piloti delle due categorie, MotoGP e Superbike, lo sbarco in MotoE, il secondo posto nel MotoAmerica. E' l'età dell'oro per la Rossa? No: ora deve dimostrare di saper dialogare con Dorna, FIM e le Case giapponesi per riportare la MotoGP ai fasti degli ultimi vent'anni nel momento del loro progressivo disimpegno

Body language: Ducati, hai vinto, ora dimostra di saper approfittare della vittoria

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Mi sono preso il mio tempo prima di scrivere del ritorno al titolo piloti della Ducati con Bagnaia, e non perché attendessi il quasi scontato raddoppio con Bautista in Superbike.

E’ solo perché lo attendevamo da anni, non dai quei lontani 50 che segnano il ritorno di un pilota italiano su una moto italiana ai vertici del motomondiale con Agostini e la MV Agusta, i tempi sono troppo diversi per essere paragonati.

Il riferimento, naturalmente è con quell’unico titolo iridato vinto da Casey Stoner nel 2007. Con un pilota molto diverso da Pecco, con una moto molto diversa da quella di Filippo Preziosi. Anche se il DNA dell’innovazione con Gigi Dall’Igna è lo stesso.

A me la Ducati di oggi ricorda un po’ la Ferrari, soprattutto per le continue critiche che ricevono i suoi dirigenti. Claudio Domenicali, il Ceo, Paolo Ciabatti e Davide Tardozzi sono spesso vittime degli strali delle tifoserie per comportamenti o scelte. Spesso si chiede la testa dell’uno o dell’altro, come recentemente con il caso Binotto, ma contrariamente alla Rossa su quattro ruote da Borgo Panigale non esce mai un comunicato. E curiosamente solo Gigi Dall’Igna attraversa la pioggia senza bagnarsi. Ma anche Domenicali sembra impermeabile alle critiche.

Questo perché entrambi i Conducator hanno saldamente in mano la barra del timone e sono sempre sé stessi. Nel bene e nel male.

In alcuni casi le critiche sono condivisibili: quest’anno si è visto troppo spesso un andirivieni dal box Ducati a quelli di alcuni team satellite, culminato nella riunione a tre al muretto fra Gigi, Paolo e Davide. Un malfunzionamento delle radio?

Bene ha fatto, invece, a manifestare il suo nervosismo in alcune occasioni Domenicali: il motociclismo ha un disperato bisogno di qualcuno che si prenda le sue responsabilità mettendoci la faccia, anche quando ciò significa esporre il fianco alle critiche: Claudio lo ha fatto. Il motociclismo ha bisogno di titoli (sulla stampa) ed uno sport non può vivere solo sui suoi atleti. Ci vuole una maggiore rappresentatività dei protagonisti...che non guidano.

Completamente inutili, invece, sono state le critiche sull’armata schierata da Borgo Panigale in MotoGP: otto moto. E’ sempre stata una prerogativa Ducati schierare quante più moto possibile, lo ha fatto anche nella Superbike dei tempi d’oro e nonostante il rischio di cannibalizzazione dei risultati quest’anno la strategia ha pagato con il primo ed il terzo posto in un campionato dominato dalle Desmosedici con 12 vittorie e 20 podi. Comprendo il nervosismo degli ultimi Gran Premi, perché farsi sfuggire questo titolo sarebbe stato proprio una beffa.

D’altro canto questo traguardo più che dal 2007, mancava dal 2017 quando la Ducati ha raggiunto la maturità agonistica e per ben tre stagioni si è dovuta accontentare del terzo posto alle spalle di Marquez.

La più cocente sconfitta è stata senza dubbio quella del 2017, perché i due rivali sono rimasti separati dopo 18 gare da appena 37 punti, entrambi con 6 vittorie ciascuno, Marquez addirittura con un ritiro in più, compensato da un maggior numero di podi, 6 a 2.

La sconfitta dell’italiano nei successivi 2018 e 2019 è stata più netta, fino a che nel 2020, l’anno caratterizzato dal Covid su sole 14 gare, il quarto posto di Dovi ha convinto Dall’Igna a cambiare fantino.

Se era stato ritenuto possibile essere battuti dal fenomeno Marquez, la sconfitta ad opera di Mir e della Suzuki è parsa inaccettabile ed infatti la stagione successiva, con Bagnaia è apparso chiaro che Ducati era sulla strada giusta visto che Quartararo ha conquistato il suo primo titolo con appena 26 punti di distacco ed una migliore media-punti ed uno zero in meno.

Un mondiale vinto dalla Yamaha, ma non stravinto e senza un vero dominatore.

Sono stati anni, questi ultimi tre, caratterizzati dall’assenza forzata di Marc Marquez, che nel suo periodo d’oro è stato un po’ ciò che è stata la boxe negli anni di Mike Tyson. Difficile dire cosa sarebbe accaduto se ‘Magic’ quel fatale giorno a Jerez si fosse accontentato del podio, ma è anche inutile domandarselo.

Gli anni di Dovizioso sono stati stagioni entusiasmanti, ma perlomeno un titolo si sarebbe dovuto centrare. Un discorso che vale anche per il biennio di Jorge Lorenzo, quelle due stagioni, 2017-18, in cui lo spagnolo è stato lento a capire la Desmosedici, e la dirigenza Ducati lenta a capire lui. Accade. Ma è indubbio che il team abbia beneficiato dell’apporto di Porfuera che invece di puntare sempre il dito sui problemi ha lavorato per risolverli con un approccio che all’epoca - sembra incredibile dire così a poche stagioni di distanza - era stato definito singolare se non peggio e che oggi, invece, tutti i piloti sposano. Benedetta ergonomia, fatalmente necessaria e indispensabile nel momento in cui queste moto sono diventate più fisiche tanto da guidarsi ‘come auto in certi frangenti, come la staccata’, per usare una frase di Andrea Dovizioso pronunciata in occasione dei suoi test con Aprilia al Mugello.

Naturalmente ora inizia il lavoro veramente difficile: confermarsi, ma dopo esser stata leader nell’innovazione in tutti questi anni, tanto da essere stata spudoratamente copiata dagli avversari soprattutto nell’aerodinamica, bisognerà che la Casa bolognese si affermi anche politicamente perché è indubbio che il momento sia difficile. La Dorna ha fatto molto nel motociclismo, ma da troppo tempo è ancora sui suoi schemi e troppo autoreferenziale. Troppo chiusa. Qualche apertura si vede, ma è ancora troppo poco. E purtroppo le Case giapponesi non sono uno stimolo, perché abituate ad adeguarsi, al contrario delle europee.

Si respira aria di smobilitazione dalla MotoGP. Dopo il ritiro di Suzuki, la Yamaha rimasta con un solo team e la Honda apparentemente in finestra, più preoccupata del futuro a medio termine del mondo delle due ruote che del suo ruolo di leader in MotoGP, appaiono concentrare nel ruolo prevalentemente le europee: Ducati, KTM ed Aprilia. Quelle che meno sembrano preoccuparsi del mercato globale.

A pensarci i motivi sono semplici: Ducati è leader di una nicchia, KTM di un’altra, mentre per Aprilia la vendita di moto con questo marchio è residuale. Per lei i marchi che contano sono Piaggio, Vespa e Moto Guzzi.

Ancora una volta, però, a Bologna pensano con un occhio al futuro e l’ingresso in MotoE con il suo prototipo va visto in questo senso. Certo, avere alle spalle un colosso dell’elettrificazione quale è Audi, aiuta, ma le due ruote non sono le quattro e nella (malaugurata) ipotesi di un de profundis dei motori endotermici a Borgo Panigale vogliono mantenere lo status di leader nel mondo dello sport. Hai visto mai che nel futuro dei track day attaccheremo alla rete elettrica, oltre alle termocoperte anche una presa di ricarica!

 

Thanks Thomas Baujard per la caricatura

 

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