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Una generazione parte, una generazione arriva ma la MotoGP è bella anche senza Rossi

Chi si chiedeva cosa sarebbe accaduto del motomondiale dopo il ritiro di Valentino ha avuto la risposta dalla tripletta del Qatar. Bastianini, Vietti e Migno ci dicono che questo sarà un mondiale sa seguire, anche se manca uno dei protagonisti degli ultimi vent'anni

Una generazione parte, una generazione arriva ma la MotoGP è bella anche senza Rossi

Chi si preoccupava che il motomondiale perdesse di attrazione con il ritiro di Valentino Rossi, ha trovato nella tripletta di Losail di Bastianini, Vietti e Migno, la risposta. E non dobbiamo nemmeno andare troppo lontano per trovarne un’altra: era il 2018, a Misano ed allora trionfarono Dalla Porta, Pasini e Dovizioso nelle tre cilindrate.

La ricerca della statistica ci fa tornare alla mente un’altra data lontana: il GP di Malesia del 1996: allora si correva sul circuito di Shah Alam e vinsero Luca Cadalora in 500, Max Biaggi in 250 e Stefano Perugini in 125.

Tocca sfogliare un bel po’ all’indietro il libro del tempo, ma fu quello l’ultimo momento in cui ci ritrovammo con tre italiani in testa al mondiale di tre categorie. Ed un ulteriore scorsa alle classifiche ci ricorda che proprio in quella data fece il suo debutto iridato Valentino in 125, con un sesto posto.


E’ inesauribile l’onda lunga dei fuoriclasse italiani nel motociclismo. Ci possono essere dei periodi in cui il vento cala, ma poi riprende a soffiare più forte di prima.

Quanti incastri, fra le pieghe del tempo. La vittoria di Bastianini, infatti, ci ricorda anche che il team Gresini ne è uscito sempre così, dalle tragedie: Sete Gibernau vinse a Welkom nel 2003, dopo la morte di Kato e Michele Pirro trionfò a Valencia in Moto2 dopo la tragedia di Simoncelli.

L’ormai anziano scriba del motociclismo è sorpreso da tutte queste coincidenze e forse ce ne sarebbero altre, se solo avessi la voglia di ulteriori viaggi nel tempo, ma lo sport va vissuto sl presente. Le gioie, anche clamorose, le dimentichiamo, così come il dolore intenso, che però rimane fisso nella memoria come il ricordo.

Per questo dobbiamo tesaurizzare la vittoria di Migno, che è il successo di un pilota che ha raccolto meno di quanto ha seminato e che è uno dei ragazzi più simpatici di quella Academy che è il vero lascito agonistico di Rossi. Più dei suoi nove titoli mondiali.

Perché non va dimenticato che Pecco Bagnaia e Franco Morbidelli, così come l’altro trionfatore di Losail, Celestino Vietti, sono nati non tanto al Ranch, quanto COL Ranch. In un ambiente scherzoso e familiare che ci ricorda quello del motociclismo anni ’70, dove l’allenamento comune non era il flat track, ma la corsa dietro alle gonnelle delle groupie che, con il paddock aperto, affollavano i circuiti del motomondiale quando ancora si chiamava Continental Circus e la ‘scuola’ si faceva nei capannelli attorno ai piloti più vittoriosi, rigorosamente in silenzio, ad ascoltare i racconti di Gran Premi su piste con Francorchamps, Anderstorp, Imatra, Abbazzia, dove oggi nessun pilota sano di mente oserebbe far girare le ruote.

E’ partito bene, dunque, questo mondiale 2022, ma non tanto o solo perché come italiani abbiamo vinto tutto. Sarebbe stato uguale, forse, se sul gradino più alto del podio fosse finito un qualunque pilota di un’altra nazionalità.

Ciò che ci affascina, infatti, sono le storie: un ragazzo giovane come Enea Bastianini che supera Marc Marquez e altri piloti più esperti di lui, senza una sbavatura, e se ne va a vincere merita un racconto. E poi se sul podio Nadia Gresini, prima donna team owner festeggia piangendo, è quasi una favola. Non ci restituisce Fausto Gresini, ma ce lo ricorda al suo meglio: come pilota e come manager. Un uomo con una visione ed un obiettivo chiaro.

Storie. Sono queste che fanno il motociclismo grande. Poi, certo, ci vogliono i serial winner. I campioni che domenica dopo domenica si ripetono, perché le vittorie isolate non colpiscono la fantasia del pubblico.

I tifosi vogliono piloti da amare e, ahimè, da odiare ma se il tifo contro è sportivo non ci vedo nulla di male: ai tempi c’erano le fazioni per Giacomo Agostini e quelle per Renzo Pasolini e gli sfottò non mancavano, come quella volta che a Misano fu inalberato uno striscione che recitava: “Agostini, attento ai guanti”, perché il Re dei Re si era lamentato per i guanti troppo stretti. Guanti sottili, con le borchie di metallo sotto i palmi come unica protezione costruiti dalla Cinque Anelli di Milano: li indossavi e ti sentivi come Giacomo.

Non mi stanco di seguire i Gran Premi, anche se quelli di oggi mi sembrano ragazzi rispetto agli uomini di allora.

E se Enea, ‘la Bestia', chiama le sue due Desmosedici, Pumbaa e Timon, personaggi del Re Leone, sorrido perché poi quando sale in sella riscopro il coraggio, il talento, l’inesauribile sete di vittoria che tutti i campioni hanno.

Una generazione parte, una generazione arriva, ma il motomondiale resta sempre lo stesso. Non si saziano gli occhi di guardare le gare, né le orecchie di udire il fragore dei 4 tempi, dove una volta c’era il sibilo dei 2T. Tutto ciò che è avvenuto - vittorie e trionfi, cadute e drammi - accadrà ancora. Tutto ciò che è successo in passato, succederà anche in futuro.

Valentino, guarda: ciò che ti ha attirato è sempre lì. Tu ne sei parte come tanti altri. Altre stelle brilleranno e poi, fra un anno o fra dieci, vedremo arrivare dal fondo dello schieramento un’altra cometa.

 

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