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MotoGP, ESCLUSIVA - Freddie Spencer: la sua verità sulle sanzioni

L'INTERVISTA - "Nel mio lavoro ci sono tantissime parti in gioco. L'ho accettato perché amo questo sport e vorrei che ogni pilota fosse messo in condizione di esprimere il proprio talento. Le emozioni si sono, ma poi serve razionalità"

MotoGP: ESCLUSIVA - Freddie Spencer: la sua verità sulle sanzioni

Freddie Spencer è un grandissimo campione del motomondiale, scrivendo pagine memorabili della storia di questo sport. Smessi i panni di pilota ha affrontato varie sfide personali ma probabilmente la più difficile è l'ultima, ovvero quella di essere il Presidente dello Steward Panel della MotoGP. Tradotto, Freddie ha l'onorevole ma ingrato compito di essere il giudice sportivo per eccellenza del motomondiale. Fa parte di un gruppo di lavoro molto ampio, ma qualsiasi decisione venga presa è sempre riconducibile al suo nome. 

Inutile nascondere che da quando è entrato in carica in questo ruolo ci sono state tante polemiche, perché come sempre c'è chi adora criticare il lavoro degli altri spesso dimenticandone la delicatezza e la complessità. A Barcellona abbiamo avuto l'opportunità di parlare con Freddie, che si è mostrato più che disponibile ad affrontare assieme a noi tantissimi argomenti. Dal modo in cui è cresciuto il gruppo con cui lavora ai passi in avanti fatti dalla tecnologia, passando per il modo in cui i Social hanno cambiato e stanno cambiando la percezione di questo sport e dei piloti. 

Partiamo dall'argomento più spinoso. Da quando sei a capo dello Steward Panel ci sono state tante polemiche, ma questo è uno sport molto complesso. Prova a spiegare come funziona il tuo lavoro. 
"Di certo è uno sport fluido. Tante volte le persone non capiscono bene quello che stanno guardando. Torniamo un attimo indietro: quando ho iniziato questo lavoro, avevamo quattro telecamere, di base avevamo iniziato da poco ad esplorare la questione dei track limits con i laser e i sensori, avevamo iniziato da poco ad usare le bandiere gialle in un certo modo. Ma da allora siamo cresciuti moltissimo, abbiamo la fibra ottica che è molto più precisa per i track limits. Applichiamo la regola delle bandiere gialle in modo più severo. Abbiamo una squadra composta da tre persone, ci sono sette persone che controllano costantemente i track limits, abbiamo unità di controllo avanzate in race direction per quanto riguarda i gps. Pensa che da quando sono qui, ci sono stati più di 7000 giri cancellati e dobbiamo controllare con attenzione ognuno di questi. Ci sono tantissime parti in gioco, una grande responsabilità. Anche il modo di prendere decisioni si è evoluto assieme a tutta la tecnologia che abbiamo oggi ed anche la valutazione degli incidenti".

Insomma non è facile. 
"Ci sono certi livelli molto profondi a cui si analizzano certe situazione. Prendi ad esempio la gara al Red Bull Ring. Molte persone hanno visto l’incidente ed hanno pensato semplicemente a dei piloti che ne hanno buttato fuori altri. Ma quello che stai guardando è l’intenzione del pilota, le cause e l’effetto di un evento. Il modo in cui un pilota permette all’altro di vederlo. Ci sono tante variabili che concorrono e spesso non vengono comprese da chi osserva da fuori. Noi cerchiamo sempre di migliorare, i nostri strumenti per fortuna migliorano ogni anno. Adesso abbiamo 70 camere in pista, non 4. Direi che ci sono stati tanti miglioramenti. Anche nell’affrontare situazioni come quelle della Moto3 in cui i piloti procedono piano per aspettarne altri. Con tutte queste camere facciamo un lavoro migliore, ci permette di prendere le decisioni che per noi sono migliori in quel frangente".

Alcuni pensano che tu venga da un'epoca in cui le moto erano diverse e questo ti renda impossibile giudicare ciò che accade in pista oggi. 
"No, per me no. Di base la moto è la stessa. Una delle cose di cui si discute sempre sono i contatti in pista. Abbiamo iniziato ad affrontare questo problema in maniera molto diversa dell’anno scorso, i piloti in Safety Commission ne parlano spesso. Alla fine i cambiamenti possono cambiare il modo di guidare ed io sono d’accordo con questa visione. Nella Safety Commission a Le Mans è successo che abbiamo parlato con i piloti, dopo il contatto che c’era stato tra Bagnaia e Miller nella gara precedente. E di base lì abbiamo deciso di cambiare la posizione. Non voglio girarci attorno, le gare di oggi sono supercompetitive e tutti sono molto vicini perché le moto sono tutte velocissimo. Per questo serve agire in modo diverso, porre dei limiti. I piloti ne parlano spessissimo e noi gli abbiamo fatto capire, anche dopo le parole di Bagnaia in Safety Commission, che molta responsabilità di quello che avviene è degli stessi piloti. Gli steward sono preposti per analizzare le situazioni, ma tutto verte sulla sicurezza. Se ci coinvolgono per qualche episodio relativo alla sicurezza, noi ci siamo, vogliamo intervenire. Ma sono piloti, sono gare. Questi ragazzi sono i migliori in quello che fanno. Qualcuno dice che la potenza delle moto incida sulla sicurezza. Ma io non credo che sia davvero così fino in fondo, per me non è quello il punto determinante".

Freddie Spencer: "ho iniziato nel dirt track, capisco bene cosa succede nelle gare di gruppo"

Quando correvi tu però spesso c'era un gruppetto che andava su ritmi completamente diversi, mentre oggi le differenze sono minime e spesso ci sono tanti giri con gruppo folti di piloti. 
"Si, ma io ho corso anche nel flat track. Ed oggi la MotoGP è un po’ così, sono tutti vicinissimi, è questo il modo ci correre oggi. Di certo vedere gare combattute, in cui tutti sono vicini, è bellissimo. Ma è proprio il punto di cui stavo parlando prima, è tutto nelle mani dei piloti a volte. Io capisco spesso la loro frustrazione per certe cose perché sono stato anche io un pilota. Ma ci sono regole e come ci assicuriamo che vengano applicate è solo indirizzato a far si che loro possano fare al meglio il proprio lavoro, che è andare forte in moto. Dobbiamo lavorare assieme, non possiamo ragionare in modo separato. Le gare di oggi sono belle, ma è chiaro che loro devono capire che fare manovre che possano diventare pericolose non è accettabile oggi. Diamo i long laps, scambiamo le posizioni tra i piloti. Ma questo non dovrebbe essere un effetto, ma un motivo per evitare di trovarsi in certe situazioni. Come pilota, io penso che sia sempre in mano al pilota la responsabilità di quello che accade in pista. Anche io sono cresciuto nelle gare molto combattute nel dirt track e quelle gare richiedono di stare molto più attento a chi ti sta vicino, ad essere molto consapevole delle situazioni in cui ti puoi trovare. Serve coscienza insomma".

Questo mondo è diverso da quello del 1983. Pensi che i Social e tutta l'attenzione per ogni singolo istante della vita dei piloti li abbia privati di una certe libertà?
"Di certo i Social hanno cambiato tutto. Qualsiasi cosa faccia un pilota, salta subito al centro dell’attenzione del mondo. E lo vedo anche riguardo il mio lavoro. E’ normale che ci siano tante critiche, ma lo accetto. Tutto cambia, tutto si evolve. Prendi quello che è successo a Goodwood qualche settimana fa. Mi sono rilassato, ho potuto fare un salto sulla mia Honda tre cilindri 500. E’ stato grandioso, ma ho anche visto tutto quello che devono vivere i piloti oggi. Io in un certo modo nel mio periodo da pilota potevo concentrarmi di più. Tutti conosciamo personalità come Kenny Roberts o Randy Mamola. Ma all’epoca era tutto diverso, non c’era tutta l’attenzione che subiscono oggi i piloti. Sono convinto che oggi tanti piloti sono come sono proprio per i Social Media. E’ troppo facile per le persone ‘normali’ osservare da vicino qualsiasi cosa facciano e questo cambia l’attitudine mentale di ognuno".

Pensi che Moto3 e Moto2 siano ancora delle categorie davvero formative?
"Sappiamo che c’è una grande sfida in Moto3 che è proprio dovuta alle caratteristiche delle moto. I piloti si adattano, ed ovviamente devono affrontare questioni come la resistenza aerodinamica, la scia. Per loro è importante seguire un altro pilota. Ma una delle cose su cui ho spinto io anche parlando con loro è che per imparare davvero, serve girare da soli, lontano dagli altri. Ti insegna come gestire il grip, ti rende un pilota migliore in gara. Io sono cresciuto negli Stati Uniti nelle gare Club e tutte le moto erano uguali. Capisco cosa dici, ma penso che i piloti possano dimostrare il proprio valore anche se corrono su moto che sono simili tra loro, forse anche di più. Ci sono più opportunità se sono intelligenti ed è questo che cerco di spiegare spesso. A tanti ragazzi dico di non restare incollati in un gruppo grande in pista, perché in quello scenario non impari niente e può metterti nei guai, sia per la sicurezza sia per la classifica per via di tutte le penalità possibili".

Ma a volte vediamo piloti saltare dalla Moto3 alla Moto2 e non riuscire ad esprimersi, così come per la MotoGP. Da cosa dipende?
"Certo poi ci sono cose che hanno aiutato in passato. Prendi Valentino Rossi. Per me quando lui è passato dalla 500 alla MotoGP, come anche per gli altri, il fatto di avere l’unico traction control nel polso ha aiutato. Quando un pilota ha certe sensibilità, gestisce le cose in un certo modo, vuol dire che sa guidare oltre i limiti della moto. Spesso mi chiedono cosa facesse la differenza quando correvo io. Il fatto è che quando correvo io, se i freni non funzionavano, se ti capitava una gomma non perfetta o avevi qualsiasi problema, dovevi adattarti e noi sapevamo farlo, sapevamo fare in modo che i tempi sul giro non crollassero. Cambiavamo il modo di guidare, il modo di affrontare una curva o di frenare, ma il cronometro non mentiva, il tempo era lo stesso. Ci adattavamo. Ed è questo, che tu mi creda o no, che mi aiuta a capire esattamente cosa fanno i piloti in pista oggi. La mia capacità è quella di sapere cosa fa una moto in qualsiasi situazione, lo vedo. Capisco le traiettorie, le linee e tutto il resto. L’elettronica aiuta oggi tanto? Certo che lo fa, ma è normale, è la naturale evoluzione".

Ti piacciono le attuali MotoGP o pensi che oggi sia un po' troppo?
"Ci sono molti più componenti sulle moto oggi di prima. L’elettronica, l’aerodinamica. Ma è l’evoluzione, il cambiamento. In questo è cambiato il nostro mondo. Non si tratta che ti piaccia o meno. Oggi è così e basta. Sai che si parla di un nuovo regolamento, arriverà in futuro. Mi piace oggi? Oggi è così".

Freddie Spencer: "C'è più qualità nei piloti di oggi rispetto ai miei rivali dell'epoca, rispetto tutti"

Tu rivedi il carattere di alcuni tuoi rivali nei piloti di oggi? Ci sono secondo te un Mamola, un Roberts, Un Lawson nell'attuale paddock?
"Non voglio associare nessuno dei piloti attuali a quelli contro cui correvo io. Io però posso dirti che in generale vedo più qualità nei piloti di oggi rispetto ai miei rivali. Si allenano tantissimo, sotto tutti i punti di vista. Sono tutti professionisti. Mi piace il talento di Fabio, la morbidezza di Pecco. Ognuno di loro ha un talento enorme, li rispetto tutti per ragioni diverse. E’ una delle ragioni per cui ho accettato di fare questo lavoro quando me l’hanno proposto, perché io amo questo sport. Il mio obiettivo è far crescere tutto il sistema qui, analizzare al meglio le situazioni, dare a questi fantastici talenti l’opportunità di fare al meglio il proprio lavoro".

Ti andrebbe di provare le attuali moto?
"Ho provato alcune MotoGP moderne, sia le 990 che le 800. Ma non proprio le ultimissime. Le ultime che ho provato risalgono a 5 anni fa. Penso che mi capiterà, magari salirò su una Ducati, chi lo sa!".

La MotoGP è passione, emozione. Ma poi tu devi prendere decisioni basate sui fatti e spesso sei criticatissimo. Come reagisci?
"Questo è il punto. Quello che le persone non capiscono è che ci sono anche tante emozioni dietro questo lavoro. E’ importante il nostro lavoro, come lo è quello di tutti quelli coinvolti qui. Al contempo è un lavoro, e nel mio caso si tratta di guardare nel dettaglio ogni situazione, analizzarla, capire l’intento di un pilota, l’impatto di una manovra sulla gara. E questo aspetto non può essere basato su sentimenti o emozioni nel giudicare. Ci sono protocolli da applicare e quello che abbiamo fatto negli anni è stato creato proprio creare questi protocolli. Uno dei miei propositi con questa intervista è anche spiegare il lavoro che abbiamo fatto, quanto è cresciuto tutto il sistema di lavoro negli anni".

Sembra che i piloti si stiano organizzando per avere una associazione. Tu cosa ne pensi?
"Nel 1984 avevamo creato una associazione dei piloti. Randy e Sarron ci avevano pensato. Poi tutto è cambiato, poi è arrivata la Dorna. Ma naturalmente sarebbe una cosa buona. Ricordo che la prima cosa che portammo noi come piloti fu parlare di più di sicurezza. Ma la seconda invece fu di porre un tetto di salario minimo ai piloti privati. Immediatamente raddoppiammo il premio gara per i piloti privati e non per noi che eravamo gli ufficiali. Noi eravamo solo dieci piloti ufficiali. Io credo fermamente che i piloti coinvolti siano tutti importanti. Non c’era una organizzazione come è oggi questo mondiale, eravamo pagati molto meno della F1. Penso che da un certo punto di vista sia stato anche alla base della crescita di tutto il movimento, per me fu grandioso. Poi arrivò Dorna, tutto diventò professionale. Ma per me è una buona idea, se fanno qualcosa di costruttivo è senza dubbio un bene".

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