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SBK, Brands Hatch, 3 agosto 2008: addio a Craig Jones

LA TESTIMONIANZA. Un weekend indimenticabile, l'ultimo di Brands Hatch. Il debutto di Tom Sykes e la tragedia di Craig Jones

SBK: Brands Hatch, 3 agosto 2008: addio a Craig Jones

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Il 3 agosto 2008 ero a Brands Hatch, nel pieno di una piovosa domenica inglese.

Brands Hatch è una pista particolarissima, con diverse pendenze e priva di un vero e proprio rettilineo; ciò che costeggia il muretto del box è invece un tratto di pista leggermente curvilineo e in pendenza, preceduto dalla Clark Curve, un curvone destrorso a raggio variabile.

In quella stagione ero capomeccanico di Jakub Smrz, un pilota velocissimo e un ragazzo dal cuore grande, in pista e nel box.

Ricordo che sin dal venerdì la sfida più grande per noi e per Jakub era stata contro una pioggia intermittente e discontinua, che non permetteva di trovare soluzioni tecniche utili alla gara e neppure il set-up ideale per raggiungere tempi soddisfacenti.

Rammento anche che il nostro vicino di box era una giovane Wild Card proveniente dal BSB e che rispondeva al nome di Tom Sykes. Lo conoscevano in pochi ma avrebbe fatto vedere molto presto di che pasta era fatto.

Comunque, nonostante il meteo imprevedibile, il sabato raggiungemmo un grande risultato in qualifica.

Erano gli anni della “vecchia” Superpole, ma in quel frangente ci trovammo ad affrontare una qualifica “wet”, le cui modalità prevedevano un’ora di tempo e un tetto massimo di giri per realizzare il miglior crono e garantirsi così una buona posizione in griglia.

Nei primi 40 minuti quasi nessun pilota uscì dai box, con la speranza che la pioggia calasse, mentre i tecnici consultavano freneticamente le stazioni barometriche. Poi, quasi come se il cielo stesse ascoltando le nostre preghiere, il temporale cessò velocemente, lasciando posto al sole.

Fu in quel momento che nel nostro box decidemmo di prendere il toro per le corna e senza indugiare ulteriormente dicemmo a Jakub di entrare e spingere sin da subito.

L’idea era quella di sfruttare la pista vuota. Fu un momento magico, con Smrz da solo in pista e tutte le altre squadre davanti ai monitor per verificare il suo tempo in un silenzio quasi spettrale, interrotto solo dagli scarichi della nostra Ducati 1098.

Quando Jakub tagliò il traguardo fu chiaro a tutti che la pista era in buone condizioni, così anche tutti gli altri piloti uscirono in massa.

Ora bisognava solo verificare la bontà della nostra strategia.

Entrando prima degli altri sapevamo che nei minuti successivi la pista si sarebbe asciugata ulteriormente favorendo gli avversari, ma contavamo maggiormente sul grande numero di piloti in pista che si sarebbero ostacolati reciprocamente, cercando il tempo negli ultimi minuti rimasti.

…e così fu.

Al termine delle qualifiche eravamo in prima fila, quarti, perché all’epoca si partiva ancora in file da 4.

Davanti a noi c’erano solo Bayliss, Haga e Kiyonari. Eravamo riusciti a mettere dietro campioni del calibro di Corser e Biaggi.

Torniamo così alla domenica.

Gara 1 andò non benissimo, concludemmo infatti solo al nono posto.

Gli interventi sulla moto in vista di gara 2 furono terminati velocemente e decidemmo allora di assistere alla gara della Supersport, che si stava svolgendo in quei minuti.

Per chi è stato a Brands Hatch la descrizione dei muretti è superflua, ma per chi non ha mai messo piede nel Kent è importante sapere che il muretto di Brands è abbastanza particolare. Inizia infatti nel mezzo della curva Clark e, seguendo il tracciato, è anch'esso curvilineo. Ricorda vagamente il muretto di Vallelunga, con la curva Roma che immette sul rettilineo dei box.

Ma il dettaglio più particolare della Pit Lane di Brands è che è che la prima parte della corsia dei box si trova diversi metri più in basso rispetto al tracciato e così, per raggiungere la cima del muretto, è necessario salire una rampa di scale.

Purtroppo, queste scale sono distanti e le squadre che come noi in quella occasione hanno il box quasi in curva, spesso appoggiano al muretto delle normalissime scale a pioli sulle quali i tecnici si arrampicano. Una volta in cima si ha un’ottima visuale dei piloti che percorrono la Clark prima di arrivare sul rettilineo.

La prima parte della gara della Supersport l’avevamo vista dai monitor nel box e sapevamo che Rea era al comando, mentre Jones e Pitt lo seguivano a ruota. Gli altri erano più indietro.

Mi arrampicai sulla scala a pioli proprio mentre sentivo le tre Honda CBR 600 RR giungere alla Clark. Arrivato in cima, quando ancora non avevo nemmeno abbandonato la scala, vidi la moto di Jones intraversarsi e lanciare il pilota in un violentissimo highside.

Fu tutto così veloce che non fu possibile fare altro se non guardare la tragedia che si stava consumando. Craig, cadendo a terra, fu colpito dalla sua stessa moto e, immediatamente dopo, anche da un incolpevole Pitt.

Così fui costretto a vedere Craig scivolare lungo l’asfalto, esanime, con il casco ormai privo della visiera. Non si mosse più, scivolò e si fermò. Null’altro.

Rientrammo tutti mestamente nei box mentre la direzione interrompeva la gara.

In quei momenti non ci si parla, tutti sanno cosa sta probabilmente succedendo ma contemporaneamente nessuno lo vuole sapere davvero.

Poco dopo entrammo in griglia per gara 2. Mentre i piloti finivano di schierarsi cercai con lo sguardo Paolo Ciabatti, che in quegli anni lavorava per FG, il gruppo organizzatore del Campionato, per chiedergli informazioni sullo stato di Craig.

La sua risposta fu una stilettata: “Non bene”.

Non ci fu bisogno di altre parole. Anche Jakub annuì e non disse nulla. Craig si spense il giorno seguente, senza mai aver ripreso conoscenza. Aveva 23 anni.

Quel weekend fu l’ultima volta in cui la SBK gareggiò a Brands Hatch e ancora oggi, quando penso a quel circuito, non posso non pensare a Craig e al suo sorriso.

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