Rossi, un dolore inesprimibile

Oggi Rossi ha dovuto affrontare la sfida più difficile, la perdita di una persona cara


Valentino Rossi è fuggito, per rinchiudersi nel suo dolore per la morte dell’amico Marco Simoncelli. Non un semplice collega, ma un ragazzo con cui vedersi, fare casino, divertirsi, alla Cava sulle moto da cross o davanti a una pizza. Forse non riusciva a consideralo completamente come un rivale, quel pilota che gli somigliava per l’altezza e il carattere, dalla battuta sempre pronta e propenso all’ironia.

Oggi Vale si è trovato ad affrontare una delle prove più dure nella vita di un uomo, la perdita di una persona cara, affine, un amico. Non solo, ma a viverla a pochi centimetri di distanza senza potere fare nulla per evitarla, per tentare di cambiare il crudele gioco che il destino stava preparando. Il secondo giro della gran premio di Sepang gli ha riservato una delle esperienze più dolorose di sempre, quando la sua Ducati ha urtato il corpo dell’amico.

Una fatalità, impossibile da evitare, Rossi ha cercato di cambiare la traiettoria della moto, ma senza successo. Rientrato ai box, si è isolato, perché le perdite hanno bisogno di tempo di essere assimilate, e di solitudine. Ha ragione Davide Brivio quando dice che è stupido chiedersi come sta in questo momento e che sarà lui a decidere quando vorrà parlare. Nessuno può esprimere adesso i suoi pensieri e le sue sensazioni, soprattutto chi ha approfittato della tragedia per fare circolare su internet una falsa lettera di addio scritta da Vale per l’amico. Un atto che si confà più a uno sciacallo che a un essere umano.

La vita del pilota mette davanti a fatti che non hanno nessun senso, come hanno dovuto scoprire Scott Redding e Alex De Angelis, che l’anno scorso a Misano furono incolpevolmente coinvolti nell’incidente che costò la vita a Shoya Tomizawa. Lo sforzo di tentare di trovare un senso naufraga cozzando contro l’imperscrutabile e i limiti della finitezza. Forse una ragione la troverà, o forse no, forse continuerà a farsi una domanda la cui risposta nemmeno esiste.

Valentino RossiNella mente gli rimarranno certamente le immagini dell’amico, di un pilota diverso da tutti gli altri. Quando nel corso della stagione hanno incrociato le loro traiettorie in pista, Marco non ha mai fatto sconti a Vale. Rossi lo rimprovera bonariamente per i sorpassi troppo decisi, come farebbe un fratello maggiore. “Se ne approfitta perché sono in difficoltà – lo ammoniva con il sorriso sulle labbra – ma presto gli risponderò per le rime”.

Lo proteggeva e lo coccolava, anche dagli attacchi che gli altri piloti gli portavano, sapeva bene che la cattiveria del Sic era solo agonistica, un’esuberanza schietta e sincera che tradivano anche il suo look e la sua parlata. Voleva bene a Marco, Rossi, lo si vedeva da come ne parlava, dalla gioia che traspariva quando l’amico centrava un risultato importante. Lo stesso affetto era ricambiato da Marco, che avrebbe voluto lottare con il campione ad ogni gran premio e si rammaricava dei problemi che incontrava sulla Ducati.

Forse Rossi lo invidiava, per il suo modo di fare spensierato con cui sembrava riuscire a superare ogni difficoltà. Che gli permetteva di guardare sempre alla vita con un entusiasmo contagioso. Forse gli ricordava se stesso agli inizi della sua carriera, guascone e strafottente senza essere antipatico come solo a vent’anni si può essere.

Adesso rimane il ricordo, gli scherzi, le battaglie, le schermaglie divertite. E un immenso dolore che rende uguale anche il più grande dei piloti a qualsiasi altro uomo. E come ogni uomo merita rispetto.

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