Valentino Rossi è stato ospite del Poretcast, lo show condotto dal comico e attore Giacomo Poretti, membro del noto trio comico Aldo Giovanni e Giacomo. Nella lunga ospitata, tanti gli argomenti toccati: dagli esordi alla sua eredità sportiva grazie all'Academy. Dalle amicizie e gli aneddoti alla sua nuova vita fuori dalle corse alle due ruote. QUI potete guardara la puntata completa.
C'è chi dice che Rossi sta alla MotoGP come Jordan sta all'NBA. Il pilota di Tavullia indubbiamente ha lasciato molto di sé a questo sport, dando spettacolo non solo in pista.
"E' stato bello per quello, non solo per i risultati - esordisce Vale - A volte viene fuori un'alchimia, un motivo per cui la gente si appassiona, per seguire un atleta che li prende. E' un insieme di cose, ne sono onorato, non me lo aspettavo. E' stato bello perchè erano cose genuine, stupidaggini pensate da amici al bar. Ovviamente quella volta con la bambola fu incredibile, una delle prime, la gente rimase shockata, ma ricordo anche il pollo Osvaldo, la fermata al bagno chimico, quando mi fermarono i vigili al Mugello... sono un pirla naturale" ha scherzato.
Valentino Rossi: "Negli anni '90 dopo la corsa i piloti erano scarichi: inventammo le scenette. Roba da bar di provincia"
"Quando vinci una gara nel mondiale, quando inizi a correre, per un pilota è già un sogno - prosegue Rossi - Mi ricordo negli anni '90, già solo correre nel motomondiale era come entrare in una puntata di un cartone animato. Mi sembrava che i piloti però dopo una vittoria fossero scarichi, si faceva il giro si salutava la gente. Quindi ci venne in mente di fare qualcos'altro. Diciamo che nei primi anni di carriera ebbi la fortuna di avere molte opportunità per farci venire delle idee. Erano cose da bar di Tavullia, cose da bar di provincia, dove sono cresciuto. Siamo stati fortunati".
I fans sono parte integrante della fama di un atleta, per Rossi è la marea gialla, è rossa per la Ferrari, per Sinner ci sono i carota boys.
"Quest'anno poi con Hamilton è stato incredibile, vanno a provare la macchina a Fiorano e vedi 20.000 persone. E' stupendo per lo sport, anche se forse per la Ferrari è più facile, è la Ferrari dopotutto, per lo sportivo unico è diverso".
Il Campione del mondo di Tavullia torna poi sugli esordi, quando al bivio tra le due e le quattro ruote scelse le prime.
"Da piccolo l'idea iniziale era di correre in auto, iniziai coi go-kart - racconta Rossi - A 10 anni si passava dalla 60 minikart alla 100, ma una stagione di kart costava 100 milioni, quindi abbiamo riprovato con le moto, ma quella voglia alla fine mi è rimasta. A 14 anni si comincia a correre con le moto più grande, prendemmo una Cagiva 125 due tempi, eravamo a Magione (Perugia) per la prima gara a marzo, faceva freddo. Sono entrato curva sinistra sono caduto subito. Ho pensato alle gomme fredde ma dopo tre giri sono ricaduto, ai box mio padre Graziano mi disse "siamo sicuri che è la scelta giusta?".
Valentino Rossi: "quando vedo mio fratello Luca in pista capisco la preoccupazione di mia madre"
Nella vita di Valentino Rossi, di fondamentale importanza è stato il padre Graziano che lo ha introdotto allo sport, come anche il rapporto con gli amici come Uccio, ed il fratello tutt'ora in MotoGP.
"Forse mio fratello ha vissuto più lo stress con me, che io con mio padre. Il rapporto col genitore quando il figlio diventa un atleta di alto livello è sempre difficile. Con le moto un genitore da una parte ha paura, da un'altra vogliono che il figlio diventi un pilota fortissimo. Il figlio dal canto suo magari cerca di fare ciò che al genitore non è riuscito. Quando vedo mio fratello in griglia ora capisco di più la preoccupazione di mia madre quando ero giovane".
"In motoGP sei da solo, ma è anche uno sport di gruppo. - prosegue - E' il lavoro di un team, quando sei in griglia c'è questo momento emozionante coi meccanici che ti vengono a salutare. Io ho sempre avuto con me Uccio, che dal 98 diventò il mio assistente, io e lui abbiamo inventato un lavoro! Ora l'assistente di Miller lo chiamano "l'Uccio di Miller!" - scherza Vale - L'idea era che avere un amico sempre vicino mi faceva sentire a casa, ora ce l'han tutti. Ci siam divertiti da matti, immagina due ragazzini di 20 anni in giro per il mondo. Ora fa il team manager del nostro team in MotoGP, mentre io corro in macchina, quindi ci siamo divisi, ci vediamo meno quindi mi manca".
Tante le vittorie e le gare memorabili di Valentino Rossi, ma una su tutte ancora fa riaffiorare grandi emozioni nel campione.
"Come gara, mi viene in mente Barcellona 2009 con Lorenzo, per via del sorpasso all'ultima curva. Ho vinto tante gare all'ultimo giro, ma all'ultima curva ce n'è una sola. Fu una botta d'adrenalina, come quando due giocatori di poker arrivano all'ultima mano. Quando stavo per buttarmi pensai, non so come va a finire, se devo buttarmi almeno speriamo di cadere entrambi, dopo quella gara ci stava!", continua Rossi scherzando.
Valentino Rossi: "Un campione non è solo talento: è dare la propria vita a quello sport"
Sull'incoscienza dei giovani e sul rapporto col pericolo, il campione ha le idee chiare.
"La moto è uno sport pericoloso, fa paura, ma quando sei giovane non ci pensi. Pensi solo a fare il massimo e la tua unica paura è quella di sbagliare. A un certo punto, intorno ai 30 anni, si diventa grandi, e sulla griglia inizi a pensare che se cadi ci sono quelli dietro, che bisogna fare attenzione. Nelle moto è una cosa che fa molto la differenza, essere coraggiosi lo fa. Se lo sei poi le cose ti vengono da sole, "ti va sempre bene", poi quando le cose non vanno bene arrivano i dubbi, mi sono fatto male, devo recuperare, e se cado ancora? Io mi sono infortunato poco, sono sempre stato attento. Nel mio primo infortunio grande mi fratturai una gamba, era il 2010".
Per Valentino Rossi, forse essere campioni non è solo questione di talento.
"Ce lo chiediamo spesso, non ho una risposta. Io ho avuto Graziano, mio padre, che è stato pilota. Per giocare con me mi portava in moto, io ho sempre voluto essere un pilota. Se mio padre fosse stato calciatore o tennista, sarei stato forte anche in quegli sport? Ciò che fa la differenza per un atleta è dare la propria vita a quello sport, come un tennista o come Tiger Woods nel golf, sapeva fare uno swing a tre anni. Quindi non so quanto conti il talento. Da quando guardo le gare non facendole, cambia molto. Quando le fai parti già da casa concentrato, sale l'adrenalina, fra il warmup e la gara inizi a cagarti addosso, hai paura, di fare male, di sbagliare, di farti male. Vederle da fuori è un disastro, ho mio fratello e gli altri piloti dell'Academy che corrono, sono amici e la soffro. L'adrenalina e il gusto della MotoGP non ha eguali, nessun altro motorsport è così, è il prezzo da pagare".
Il momento del ritiro è sempre una decisione difficile per un atleta.
"Per me il momento giusto è quando sei sulla cresta dell'onda, quando sei il numero 1. Però è anche un peccato perchè potresti esserlo per un altro po', quindi tanto vale rischiare. Ho visto tanti piloti ritirarsi, e li ho sempre visti in paranoia per questa scelta. Io mi sono detto che avrei corso finché non ce l'avrei fatta più, per non avere il rammarico. Ora corro in macchina, perchè dopo tutti quegli anni ti chiedi "e adesso?", non ero pronto per smettere del tutto".
Valentino Rossi: "Ricordo quando Jarvis venne a Tavullia e mi licenziò. Dovevano prendere Quartararo"
Rossi spende anche alcune parole sull'amicizia con Marco Simoncelli, l'incidente fatale, e la nascita dell'idea dell'Academy.
"Non pensai subito al ritiro, avevo perso un amico, ma sopratutto sono stato parte dell'incidente. Mi sono fatto un esame di coscienza, sono le gare e non potevo fare niente, su 22 piloti mi sono trovato lì io. E' rimasto solo il grande peccato dell'aver perso un amico, con cui dal 2006 ci allenavamo assieme. Nel 2008 vinse nella 250, quando si corre assieme e si diventa rivali è strano ma eravamo ancora amici. Per me era una stagione strana, ero sulla Ducati e stavo andando male. Da lì ci siamo detto 'rifacciamolo', così è nata l'idea dell'Academy per aiutare i piloti italiani ad arrivare e vincere in MotoGP. All'inizio eravamo frenati, dare e trasmettere il tuo knowhow ad un altro pilota, se va bene poi diventa un tuo avversario. Però era bello e a me è sembrato che allenandomi con loro sarei diventato anche io più forte, allenarsi con un pilota che fa il mondiale ti da una grandissima motivazione. È bello ma anche un bell'impegno, perchè alla fine i piloti sono tutti delle teste di cazzo, più diventano forti più peggiora, ma gestirli dà anche un gran gusto. Mi piace fare il tifo per loro, mi da gusto vedere le gare e se ci sono loro ancora di più. Ora gestisco i loro allenamenti in moto, e quando ci sono andiamo assieme. Mi piace ancora allenarmi a casa, diventa come una droga, se non ti alleni stai male".
Infine arrivò anche per Valentino il momento del ritiro vero e proprio.
"Ricordo che Lin Jarvis venne a Tavullia per parlarmi, avevo già capito "l'ariaccia" che tirava. In pratica mi licenziò, dovevano prendere Quartararo. Ci sta, ero grande a 41 anni, però lo presi in contropiede, quindi gli dissi di darmi almeno una Yamaha, e andai su quella di Petronas. Sapevo di dover fare qualcosa di buono, Assen era una gara importante, lì ho vinto dieci volte e sapevo di poter fare bene. Il weekend andava bene, partivo bene in Q2. Poi in gara ebbi un problema, e nel recuperare lottavo con Bastianini, l'anteriore si chiuse nel cambio di direzione e ho fatto il botto vero, pezzi di moto ovunque, quando finisci di rotolare a terra controlli quanto ti sei fatto male. Lì ho detto 'va bene, questa era la gara che doveva dirmi se andavo bene e me l'ha detto'. Prima di partire la Francesca mi disse che non aveva voglia di caffè, i segnali erano chiari".
Valentino Rossi: "Quando correvo ero scaramantico all'estremo. Ora sono scaramantico normale"
Una celebre frase di Enzo Ferrari dice che quando ti nasce un figlio si perde mezzo secondo.
"E' una frase celebre, tutti i piloti ne hanno paura, io ne ho avuta così tanta che non ne ho fatti finché correvo. Poi negli ultimi anni se perdevo un altro mezzo secondo ero rovinato. Secondo me non è vero, per la mia esperienza dopo essere diventato padre non mi sembra di essere diventato più lento, o quando corro di pensare a mia figlia. Per strada è rischioso quanto in pista, noi però non abbiamo macchine e andiamo tutti nella stessa direzione", scherza ancora.
Anche un mito come Valentino ha i suoi miti.
"Quando ero giovane, ricordo Ronaldo, quello vero, uno che mi ha sempre emozionato, sono diventato interista anche per lui. Poi anche piloti di F1 come Senna, Mansell, Prost, ed in moto gli americani, Schwantz, Rainey, Tomba negli sci, Jordan, Maradona. Con Sinner ci sentiamo ma non l'ho mai conosciuto, ma ho conosciuto anche Federer".
Infine il pensiero su Dio, il destino e la sua ossessione per la scaramanzia.
"Penso che qualcosa ci sia ed è sotto gli occhi di tutti. Però non credo nel disegno già scritto. Quando correvo in moto ero scaramantico all'estremo, da avere un problema, alla domenica di gara nel motorhome ascoltavo Bollicine il disco di Vasco. ora sono scaramantico normale. Ho le prove che non serve a niente ma lo faccio lo stesso".





