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MotoGP, ‘Cavallo Pazzo’ Lucchinelli parla: “se potessi tornare indietro, farei gli stessi errori”

VIDEO - “Quando correvo non ho usato tanto il cervello ed è rimasto nuovo. Spencer? Un marziano. Katayama? Un anormale. Vincere un Mondiale stando davanti a Marquez è molto più importante che riuscirci battendo Pinco o Pallino”

MotoGP, ‘Cavallo Pazzo’ Lucchinelli parla: “se potessi tornare indietro, farei gli stessi errori”
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A settant’anni compiuti da pochi giorni, la casa di Marco Lucchinelli continua essere il box di un circuito. La sua tuta, con l’immancabile stella sulla schiena è appesa alle sue spalle, la sigaretta è fra le labbra in attesa di tornare in sella. I capelli bianchi hanno portato in dote forse un po’ più di tranquillità al Cavallo Pazzo del motomondiale. “Quando correvo non ho usato tanto il cervello ed è rimasto nuovo” ribatte con la consueta ironia.

Ci sono piloti che hanno vinto più di lui, ma Lucky è ancora nel cuore degli appassionati. Seduto all’ombra per sfuggire al caldo di Misano, in tanti fanno tappa da lui per una foto o un autografo. “Ho vinto solo un Mondiale - e anche tanti anni fa - e mi chiedo sempre come i giovani mi conoscano. Forse i genitori gli avranno detto: non fare come Lucchinelli, per quello sanno chi sono” ride.

Un solo titolo, nel 1981 con la Suzuki del team Gallina, ma in tempi in cui il motociclismo erano uno sport molto pericoloso.

Pretendere che il motociclismo sia completamente sicuro è assurdo - mette in chiaro Marco - Perché ora stanno facendo delle moto che vanno troppo forte, e non solo per me che ho settant’anni. Quando si arriva a 360 all’ora in rettilineo, per fermarsi ci vogliono i flap, come gli aerei. Lo spettacolo c’era anche 10 anni va, quando le moto erano più lente e uscivano di curva di traverso, ai tempi di Stoner e Valentino. Vorrei vedere quelle gare lì, non quella velocità che vedi solo sul cronometro.

Infatti le 500 2 tempi sono viste come reliquie dai tifosi, hanno un’aura mitica che le circonda. Come la Cagiva del 1993 di John Kocinski, che Lorenzo ha guidato poco prima. Lucchinelli lo seguiva con una (moderna) Paton.

Jorge ha rispettato quella moto che non conosceva. Non è salito in sella da sborone, come avrebbe potuto fare su una moto moderna. Ha girato con sicurezza, perché con le moto vecchie si fa così: bisogna farle vedere, andare piano, altrimenti diventano pericolose” chiarisce Marco.

Vedere la C593 da vicino fa capire quanto sia cambiato il nostro sport. Gli anni ’70 e ’80 sembrano un’era pionieristica. “Era un altro mondo, ma anche il massimo livello che c’era in quel momento - chiarisce Lucchinelli - Le piste erano pericolose, lo sapevamo, non eravamo scemi, ma se ci correvano Agostini e Read, correvamo anche noi”.

A proposito di circuiti, erano delle trappole. “Ho sempre dato del ‘lei’ alla vecchia pista di Spa-Francorchamps, era terribile. Poi Salisburgo, che cerco sempre di togliermi dalla testa perché mi ha rovinato la carriera. Se avessi vinto quella gara, avrei vinto anche il Mondiale. Andavo forte, ma me ne sono accorto tardi. Ogni tanto ci ripenso, ma forse anche se potessi tornare indietro nel tempo farei lo stesso errore”.

Era arrivato alla Honda abbandonando la Suzuki.

Dopo avere vinto il Mondiale avevo esagerato, perché mi sono subito rotto le braccia e le gambe a Donington, all’ultima gara dell’anno, la Winter Cup. Nonostante tutto, in Honda andavo forte anche in quelle condizioni - racconta - Perché l’avevo scelta? Avevo chiesto a tutti cosa avrebbero fatto, anche in famiglia, e poi ho fatto l’opposto. Perché volevo un contratto di due anni e sono andato in Honda. Non avevo sbagliato, Salisburgo mi avrebbe potuto fare dire tutto quello che volevo”.

In questi mesi si parla tanto di Bagnaia e Marquez in squadra insieme, ma anche Marco aveva dei compagni di box scomodi che si chiamavo Spencer e Katayama.

Spencer non era un essere umano, era un marziano, e intendo nella vita: lasciava la ragazza per andare a dormire da solo in hotel e beveva litri e litri di Dr Pepper, ne aveva un autotreno pieno - il suo ritratto della statunitense - Ma una cosa non ho mai capito: quando finivamo la gara, lui non aveva nemmeno un moscerino sulla tuta e sul casco, io ero pieno di ogni insetti”.

E il giapponese? “Takazumi era uno anormalissimo che sembrava normale. La Honda spendeva milioni per alleggerire la moto e lui ci attaccava delle bacchette d’oro. In squadra avevo della gente un po’ particolare”.

Non solo le moto oggi sono diverse, lo sono anche i piloti.

Mi piace Maquez come mi piacciono gli altri, se fa una cazzata lo critico. Però penso che vincere un Mondiale stando davanti a lui sia molto più importante che riuscirci battendo Pinco o Pallino” afferma.

Ora tutti sono in ferie, ma fra un paio di settimane si tornerà in pista a Silverstone. Lucchinelli sarà davanti a alla tv, ma a mondo suo. “Tendo ad ascoltare solo il rumore delle moto, senza commento” il suo piccolo segreto. Perché Cavallo Pazzo non può guardare la MotoGP come fanno tutti gli altri e piace (anche) per quello. 

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