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SBK, Barnabò: "Mi rivedo in Rabat, mi aspettavo un fighetto invece ha passione"

Il boss del team Barni: "Tito mi ha chiesto solo che la sua Ducati fosse uguale a quella degli altri piloti, per giocarsela alla pari. Melandri? Ha trovato una moto diversa da come se l'aspettava"

SBK: Barnabò: "Mi rivedo in Rabat, mi aspettavo un fighetto invece ha passione"

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Il bello di Marco Barnabò è che vede il futuro. Non come una stregoneria o qualcosa di magico, ma come un grande puzzle da comporre un pezzo alla volta. “Cerco di fare con le possibilità economiche che ho”, dice lui. Poi sorride, ci ripensa: “Non è vero del tutto, se avessi dovuto pensare di avere tutto il budget forse non sarei mai partito. A ottobre avevo detto che non avrei più fatto la Superbike. Invece non ho fatto in tempo a finire la stagione e siamo di nuovo qui. E’ la voglia, la passione. Per andare avanti ci vuole un po’ di tutto: la programmazione, la fortuna, i soldi. Ma principalmente ci vogliono l’impegno e la continuità. Non ti regala niente nessuno, sei tu che continui a lavorare e a cercare di migliorarti”.

Non è stata una stagione facile per il Barni Racing Team: l’infortunio di Camier, il flop di Melandri, le cadute, i costi. E non ultimo il covid. Un team principal come Barnabò i conti li deve fare sempre, altrimenti i pezzi del puzzle non li mette insieme mai. “Tanti sponsor italiani si sono fermati. Tutta gente che ci ha sempre aiutato. Ci dispiace. Tanti non potranno rinnovare l’anno prossimo. Abbiamo perso un fatturato del 30 per cento”.

"Tanti sponsor si sono fermati per il covid, per continuare ho dovuto fare delle scelte"

E come si va avanti?

Team e officina Barni si compensano, abbiamo dovuto vendere del materiale, fare delle scelte: la moto che si voleva tenere la vendi, e vendi il motore, vendi cose che sarebbe stato bello tenere. E quindi paghi la gente, i fornitori. Abbiamo una dozzina di persone che fanno questo di lavoro. Abbiamo cercato di rimetterci un po’, ma di resistere”.

Questo cosa comporta per un tema di Superbike come il vostro?

Oltre a lavorare male abbiamo dovuto lavorare molto di più per cercare partner all’estero. Ci sono Paesi che hanno sentito un po’ meno la crisi economica, e quindi l’unica cosa è muoversi e guardarsi attorno, da altre parti”.

"Rabat mi ha chiesto una sola cosa: giocarsela alla pari con gli altri piloti Ducati"

A livello sportivo vi siete guardati intorno e avete scelto lui: Rabat. Che tipo è?

L’avevo conosciuto tempo fa, un ragazzo simpatico. Ma ora l’ho conosciuto meglio. E’ educato, si vede subito che è una buona persona. Mi ci rivedo in lui. E’ uno con una passione incredibile, una predisposizione al lavoro veramente alta. E’ un po’ il mio ideale di vita. Non mi ritengo uno dei migliori, ma penso sempre di metterci il massimo. Rabat è così, abbiamo la stessa mentalità”.

E nel pratico cosa vuole dire?

Ti dico questa. Ci siamo messi d’accordo in videochiamata, tutto ok, tutto fatto. Ma ci tenevo che venisse qui in sede, volevo fargli vedere la moto e fargli firmare il contratto di persona. Era andato a fare cross, ha caricato la moto sul furgone, è venuto qui un giorno prima. Lui ha in mente di andare in moto, è convinto di fare bene, di poter andare forte con il supporto giusto”.

E voi glielo avete dato?

Quello che ottieni lo vedi in fondo alla stagione. Non ho aspettative, la stagione scorsa me lo ha insegnato. Per Rabat ci ha chiesto solo una cosa.

Quale?

Se la moto era competitiva come le altre. Punto. Voleva sapere se poteva giocarsela alla pari. Quando era qui l’ho fatto sedere sulla moto. Avevo preparato tutto, due selle, un sacco di cose… Mi fa: “Non toccare niente, va bene così. Mi adeguo alla moto”. Questo la dice lunga. Me lo aspettavo forse più fighetto. Invece no”.

Alla firma del contratto di Rabat c’era anche Ciabatti, che rapporto hai con lui?

Di amicizia. Nel 95 lui era in Ducati, poi è andato via e quando è tornato io ero ancora lì. Di tutti gli altri team che avevano iniziato non c’era più nessuno. Lui dice sempre le cose come stanno, fino a dove può. E quindi con Ducati si è creato un rapporto di collaborazione, di continuità, penso anche di credibilità”.

"Nel 2020 avrei potuto evitare di correre, l'ho fatto per serietà"

Nessuna aspettativa per il 2021. Dici la verità?

L’obiettivo fondamentalmente è quello di partire con un programma di lavoro e portarlo a termine. In pratica: fare quello che non abbiamo fatto quest’anno. In SBK non è che prendi il pilota e vinci la gara. No, anche qui l’elettronica è evoluta, il livello è alto. Se non programmi non puoi fare obiettivi. Quindi devi farti una base concreta”.

Quella che è mancata nel 2020.

Potevo evitare di andare in pista, invece mi è sembrato più giusto e più serio partecipare anche con piloti diversi. Per far lavorare tutti, tenere in piedi la squadra, e anche per dare un segnale di serietà che la squadra si è sempre presentata in pista. A prescindere dai risultati”.

Che cosa non ha funzionato?

Diverse cose. Tutto era basato su Camier, è caduto, si è fatto male, in Australia non ha corso, e poi è arrivato il Covid. Quando abbiamo ripreso ci siamo presentati con Melandri. Il continuo cambiare non ci ha aiutato. Con Camier avevamo una moto lunga un treno, con Marco quasi una moto mini…”.

"Melandri si aspettava una moto diversa da quella che ha trovato"

Perché Melandri non ha reso?

Di Marco non posso che parlare bene. E’ stato un grande professionista. Ma lui si aspettava una moto diversa di quella che poi ha trovato, con caratteristiche diverse, andavano al contrario del suo stile di guida. Abbiamo provato di tutto, ma non ne veniva fuori. E ha deciso di fermarsi. Melandri si aspettava di stare nei primi cinque, sei. Non nei primi dieci”.

Deluso o arrabbiato?

No, arrabbiato no. So di avere lavorato, ma sicuramente è stata una delle stagioni più brutte. Quando lavori e non ottieni risultati, ci sono i problemi economici, cadi e hai danni, non c’è più morale nella squadra, diventa un guaio. E’ stato difficile per tutti. L’unica mia speranza per quest’anno è fare una stagione senza questi problemi.

Qual è stato il momento più duro della stagione?

Parlare con Camier, quello è stato un enorme dispiacere, dirgli: “Devi stare a casa”. Molto brutto è stato anche quando si è chiusa con Melandri. Ho pensato: cazzo, un’altra disgrazia. Non ho dormito per qualche notte. E’ la passione, quella mi fa pensare alla moto anche di notte”.

"Al National Trophy per sviluppare la Ducati Panigale V2: nel 2022 faremo anche il Mondiale Supersport"

E poi c’è il progetto al National Trophy.

Voglio partecipare con un pilota al National Trophy per iniziare lo sviluppo della Ducati Panigale V2 995. Farlo nell’ottica dei nuovi regolamenti Supersport e nel 2022 partecipare al mondiale con la bicilindrica. Non correremo nel National per vincere il titolo”.

Qualche nome?

No, c’è un identikit, abbiamo delle idee, ci stiamo lavorando. Abbiamo avuto molto da fare con il team di Superbike, e di questi tempi non è sempre facile”.

La Superbike secondo te risentirà del Covid?

Secondo me no, io spero che la gente sia fiduciosa e positiva. Come dopo una guerra, spero che da metà anno in avanti ci sarà un movimento di ripartenza. E da lì anche il nostro mondo potrà ripartire. Me lo auguro”.

Sei una persona positiva?

“Di solito no. Ma in questa situazione sì, forse perché non vedo altre vie d’uscita. Non posso pensare di stare fermo, o che il movimento stia fermo anni. Quindi mi viene da dire che in qualche modo tutto quello che è l'economia ripartirà.

Tu stai vicino a Bergamo, la prima ondata l’hai sentita tanto.

E’ stata pesante, molto. Io non sono mai stato un giorno a casa, venivo da solo in officina, ma è stato incredibile. Non suonava il telefono, non veniva nessuno. E’ stato difficile, molto. Quando si è cominciato a vedere uno spiraglio è stato un sollievo. Ho amici che hanno preso il virus, ma non ho la percezione di uno che si ė ammalato e poi è morto. Ho avuto paura per la famiglia, per i miei figli Davide e Cristina”.

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