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Ritorno a Silverstone, il circuito che fermò il TT iridato nel 1977

Sono passati 46 anni da quell'esordio fuori Italia in un Gran Premio iridato. C'erano ancora Agostini e Sheene, in prima fila a battersi per la sicurezza. Erano gli anni della swinging London ed a Piccadilly Circus una gigantografia di Barry che pubblicizzava il dopobarba Fabergé

Ritorno a Silverstone, il circuito che fermò il TT iridato nel 1977

Torno sul circuito di Silverstone sempre con un po’ di nostalgia. E’ su quel circuito che ho debuttato nel lontano 1977 come giornalista. Fu una gara storica perché proprio quell’anno il Gran Premio di Gran Bretagna aveva abbandonato l’usuale collocazione all’Isola di Man.

Una rivoluzione lasciare il leggendario Tourist Trophy con il suo giro di 60,721 Km fra muretti, marciapiedi, pali della luce e strapiombi. Il TT si era svolto a partire dal 1949 e per gli inglesi era una tradizione, sopravvissuta fino ad oggi ancorché senza validità iridata.

A far cadere il Mito del Mountain ci si misero i migliori piloti del momento: Giacomo Agostini, ancora addolorato per la perdita dell’amico Gilberto Parlotti nel 1972, la Federazione spagnola, che negò l’autorizzazione alla competizione dopo la scomparsa di Santiago Herrero, astro nascente ispanico con la sua Ossa monocilindrica, nel 1976 ma anche e soprattutto molti fuoriclasse inglesi. Barry Sheene, uno dei più fieri oppositori, Rodney Gould e anche Phil Read, che poi ci tornò successivamente.

Fu quello l’anno della svolta per la sicurezza? Niente affatto. In quel 1977 il motomondiale si corse a Salisburgo, un circuito micidiale, nell’Hockenheim superveloce con l’attraversamento del bosco che causava grippaggi a ripetizione, nella vecchia Imola senza varianti, e poi a Spa-Francorchamps dove proprio nel 1977 Barry Sheene stabilì la velocità media di gara più alta di sempre, 217,37 km/h, vincendo il Gran Premio del Belgio sul circuito di 14,12 km. e sullo stradale di Imatra, anche lì fra marciapiedi, pali, alberi…e attraversamenti di rotaie.

Salisburgo sopravvisse anche l’anno successivo ed anche Spa, Imatra ed addirittura il vecchio Nurburgring. Di che cosa stiamo parlando? Era un’altra era e appena due anni dopo ci fu lo scioperò promosso da Roberts, Sheene e Ferrari proprio a Francorchamps che fece tremare la Federazione Motociclistica Internazionale ed il suo Presidente, Nicolas Rodil Del Valle con la minaccia delle Wolrd Series: un campionato mondiale alternativo.

Non si fece, ma il vento stava cambiando. I piloti erano stanchi non solo della mancanza di sicurezza che causava lutti ogni anno, ma anche di dover fare la fila per prendere i premi di partenza e di doversi raccomandare agli organizzatori per poter prendere parte alle gare.

In quell’atmosfera aun po' bohemienne rrivai di notte a Silverstone, piantai la tenda ed al mattino andai a fare colazione in un vecchio edificio centrale in legno scuro che fungeva da refettorio: fagiolini, salsicce e uova fritte, ovviamente! Tutt’attorno al circuito prati verdi e, all’interno, pochi, vecchi, bagni e docce abbastanza promiscue. Ma ai tempi dei capelli lunghi, dei pantaloni a zampa d’elefante e delle camice a fiori, quando Barry arrivava in circuito con George Harrison dei Beatles chi ci badava?

In quel 1977 non c’era ancora un Motor-home: i primi li portò Kenny Roberts l’anno successivo, dei lussuosi Sportscoach. Allora erano tutte roulotte…per i più fortunati, perché per molti piloti c’era la tenda.

Correvano sei categorie: 50, 125, 250, 350, 500 e sidecar, riconoscibili non solo dalle dimensioni, ma anche dal colore della targa portanumero: chi poteva confondere la MV 350 dalla 500, con la prima blu e la seconda gialla?

Quell’anno, quel 1977, a vincere il Gran Premio non fu Sheene, che iniziava ad essere idolatrato. Barry cadde, cadde anche il suo fraterno amico Steve Parrish, poi John Williams. Vinse l’americano Pat Hennen, la cui carriera fu drammaticamente interrotta l’anno successivo proprio per la sua decisione di correre il TT non valido per il mondiale. Sopravvisse, ma smise di correre. Dietro di lui Steve Baker e Tepi Lansivuori. Quarto fu il nostro Giancarlo Bonera, che ricordo con affetto perché in quell’occasione, avvicinandomi emozionato a lui e pastrocchiando con la macchina fotografica mi accolse con un caustico “dilettanti allo sbaraglio!”.

Non c’erano - fortunatamente - addetti stampa. Il rapporto era uno ad uno. C’era il giorno in cui ti meritavi l’abbraccio, ma quello successivo ci poteva essere un vaffanculo se avevi sbagliato a scrivere qualcosa. Sempre però con quell’approccio diretto e mai offensivo, fra pari. Perché la passione, allora, muoveva tutto, non il denaro, che guadagnavano in pochissimi.

Naturalmente rimpiango quella Silverstone, quando il motomondiale era molto povero, ma molto felice, ad onta del pericolo e di una FIM spocchiosa e prepotente. Ma stava per cambiare il vento. I piloti avevano preso coscienza del loro potere, e poi sarebbe arrivato quel genio, bravissima persona, sognatore, dell’ingegner Luigi Brenni a scardinare la CCR - la commissione corse su strada - e a parlare di sicurezza, giusti ingaggi eccetera.

Avremmo avuto altri incidenti, anche al Mugello che debuttò nel 1978 praticamente senza vie di fuga, ma la via era tracciata anche se ci vollero anni. Fino all’arrivo della Dorna nel 1991, sulla scia di Bernie Ecclestone e della sua Two Wheel Promotion. Quella faina del britannico aveva capito che per lui, abituato alla F.1, non c’era trippa per gatti e la cedette volentieri. Ma il più era stato fatto, in realtà, e ogni volta che capito a Londra mi ricordo che a Piccadilly Circus campeggiava un gigantesco cartellone con Barry Sheene che promuoveva il dopobarba Fabergè, che provai anch’io, trovandolo stomachevolmente dolce. Ma con le camice a fiori, in fondo, non stonava.

 

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