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Odio viaggiare, ma sono costretto a farlo perché il paddock si sposta ed io amo scrivere di moto


_S__0198E' già da qualche anno che considero i viaggi la parte peggiore del mio lavoro. Quando sono nei circuiti invece mi sento a casa. La sala stampa è il mio studio, il paddock il soggiorno, dove so sempre dove trovare un buon caffè ed altrettanto buone quattro chiacchiere. Se poi queste parole dette diventano una intervista o una notizia, tanto meglio, ma non è veramente né necessario né indispensabile. La maggior parte dei casi, anzi, sono fumo nell'aria ma non per questo sono meno utili. Servono a capire e se l'amico è nel contempo anche un informatore di cui ti fidi, sono uno strumento importante per poter poi scrivere in seguito.

foto 1 Perché non è sempre vero che il giornalista è quello che dopo, sapeva tutto prima. Veramente, con più di trenta anni di questa vita alle spalle non mi capacito ancora di aver trovato un modo così piacevole di lasciar passare il tempo. Perché non è mica un lavoro, questo. Piuttosto è un vizio.

Non può essere altrimenti: ormai lo odio, ma non posso farne ancora a meno. Odio dovermi spostare da un continente all'altro, per nulla, per vedere altri drogati, questa volta di velocità, che continuano a girare in tondo per fermarsi poi felici se hanno tolto un decimo di secondo dal proprio miglior tempo. foto 3 Odio gli aeroporti i ceck in, il controllo passaporti e dover ogni volta tirar fuori il computer per farlo passare sotto lo scanner. Ma poi c'è quel metallo ardente, fasciato da una carenatura, che noi tutti - piloti, giornalisti, meccanici, manager - adoriamo come una sorta di divinità: la moto. Te ne accorgi di questo rapporto speciale perché è attraverso di essa che facciamo famiglia e casa. Ed in questo senso i piloti sono i nostri sacerdoti, perché con lei riescono a comunicare quel che per noi è un sentimento inespresso. _S__0188 Poi però ci sono i viaggi. Il villaggio chiamato paddock comincia a sbaraccare già pochi minuti dopo il Gran Premio, si smontano i box e, nelle gare oltreoceano, le squadre fanno le casse. Finisce tutto lì dentro e mentre i nostri idoli vengono caricati con cura nelle stive per noi comincia la noia. Un paio d'ore in macchina, quasi sempre di notte dopo aver spedito i pezzi al giornale o pubblicato le notizie sul web, un altro albergo, un altro letto, un'altra colazione. E poi altre file. Viaggia. Scrivi. Ripeti. In questo momento siamo seduti in un angolo dell'aeroporto di Narita, felici di aver trovato una presa di corrente, come qualsiasi felice possessore di iPhone che si rispetti ed ancora incerti se il volo Quantas che abbiamo prenotato alla volta di Melbourne decollerà, a causa del tifone Vongfong. A Matteo hanno già cancellato il volo. Carletto Pernat, invece, per evitare lo stress aveva già deciso domenica pomeriggio che avrebbe passato il lunedì a Tokyo. Aiutato anche dal fatto di aver rimorchiato due ombrelline della Pramac. Le probabilità che la serata finisca come è stata progettata sono scarse, ma il genovese è un buon giocatore e del resto, come si suol dire, ha speso gran parte del suo denaro con le donne e (nel suo caso) la grappa. Il resto lo ha buttato. _S__0190 Io invece scrivo e la volete sapere una cosa? E' questo che volevo fare da stamattina, da quando mi sono alzato senza sapere - e ancora non lo so - se prenderò il volo stasera. Ogni tanto alzo lo sguardo sul corridoio e vedo una faccia nota. Prima di sedermi ho incontrato Alex Briggs, uno dei meccanici australiani di Valentino Rossi con tutta la famiglia ed abbiamo parlato del fatto che in Giappone, in fondo, non si mangia male e gli spaghetti sono sempre al dente, per la loro abitudine di cuocere poco il cibo. Al contrario di quanto fanno gli inglesi. E' stato decisamente uno scambio culturale di alto livello e quando mi è arrivata la carbonara, incredibilmente identica al piatto riprodotto in pura plastica all'ingresso del ristorante grazie al quale ho fatto la mia scelta mi sono domandato come fanno. Non a non far scuocere la pasta, ma a ricostruire il piatto finto, con tanto di condimento. E' proprio vero, non è importante la destinazione, ma il viaggio. Per questo non vedo l'ora di essere a Phillip Island. Conosco quel paddock come le mie tasche e la sala stampa è insolitamente comoda ed accogliente. Addirittura già so cosa farò prima di recarmi in circuito. La solita visita all'Isola di Capri, il ristorante della famiglia Fumagalli a Cowes. Poi una passeggiata sino alla banchina che dalla strada che costeggia la spiaggia entra nel mare e che è lì a due passi. Addirittura conosco i miei futuri pensieri. Diavolo, l'acqua deve essere proprio fredda, perché cavolo non veniamo a correre qui in estate? Ma se so già tutto perché sono qui e soprattutto, perché vado lì. Forse perché se non lo facessi lo strumento che uso per vivere - scrivere - si arrugginirebbe. Ed io non voglio che accada. Come diceva Hemingway andando dove devi andare, e facendo quello che devi fare, e vedendo quello che devi vedere, smussi e ottundi lo strumento con cui scrivi. Ma io preferisco averlo storto e spuntato, e sapere che ho dovuto affilarlo di nuovo sulla mola e ridargli la forma a martellate e renderlo tagliente con la pietra, e sapere che avevo qualcosa da scrivere, piuttosto che averlo lucido e splendente e non avere niente da dire, o lustro e ben oliato nel ripostiglio, ma in disuso. Per questo continuo a viaggiare. E incazzarmi, alle due di notte ora locale, quando i colleghi del Corsport mi chiedono il quarto pezzo 'perché sai bene che si decide sempre tutto all'ultimo momento'. In fondo se tutto va bene fra 24 ore sarò nuovamente nel paddock.

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