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Le regole della MotoGP: una sfida 'aperta'. Perché è sbagliato puntare l'indice verso la luna e guardare solo il dito


Ducati-Gigi Dall'Igna E' bello essere fra i più vecchi giornalisti della MotoGP, perché oltre alle interviste si fanno anche delle lunghe chiacchierate con gli amici, che a volte sono piloti, altre team manager. Come in questo caso. L'argomento all'ordine del giorno, inevitabilmente, non poteva che essere la recente decisione della Ducati di correre 'Open' e la successiva polemica sul nuovo software messo a disposizione anche degli avversari ma che, di fatto, avvantaggerebbe in questo momento principalmente la casa di Borgo Panigale. Il mio interlocutore terminava il discorso con un "Paolo, ma non ti sembra scorretto? La solita furbata degli italiani…". "Sì - gli ho risposto - anche se non viola nessuna regola. Ma non è una novità. Solo nel recente passato il codice che dovrebbe regolamentare la partecipazione di case e team privati al motomondiale è stato modificato in corso d'opera per permettere alla Suzuki (quando correva) di arrivare in fondo al campionato con i suoi motori che avevano il pessimo vizio di rompersi. E cosa vogliamo dire dell'eliminazione della 'rookie rule' che ha permesso a Marc Marquez di correre con l'HRC e vincere il mondiale? Ne vogliamo parlare?". Il mio interlocutore è rimasto in silenzio. Poi ovviamente sono partiti i distinguo. La Suzuki, poveretta, non dava fastidio a nessuno. Marquez ha corso, ma anche Simoncelli di fatto disponeva di una moto ufficiale. E' vero in entrambi i casi, naturalmente. Ma per la casa di Hamamatsu sarebbe stata una umiliazione pubblica partire dai box, in diretta TV e quanto al povero Marco, chissà, magari avesse vestito i colori dell'HRC non avrebbe avuto tutta quella fretta di dimostrare. Il problema, dunque, potrebbe sembrare regolamentare. La rookie rule, per dirla come va detto, era una stronzata. Ma è una fesseria anche il limite di età della Moto3 (un po' come se nella boxe un peso mosca fosse obbligato a tutti i costi ad evolversi in un peso massimo). Come se ciò poi fosse una garanzia per far crescere dei campioni. Semmai è il contrario: affolla di vorrei ma non posso la MotoGP. Tanto quelli bravi bruciano le tappe comunque. E vogliamo parlare del monomarca Moto2, che fornisce lo spettacolo di una Honda-Cup senza generare i ricavi pubblicitari di un Trofeo, né permettere l'assegnazione di un mondiale marche di valore commerciale? Prendersela con il regolamento però è sbagliato. Il problema è che nel motomondiale si punta l'indice verso la luna ma poi tutti guardano l'indice. Il vero nodo non viene mai affrontato, ma che dico, solo sfiorato. Perché il dramma, quello vero, non è il regolamento, per quanto esso sia scritto male. Ciò che è catastrofico è la gestione del campionato. Questo, infatti, è ormai da lungo tempo fuori dalle mani della Federazione Internazionale. Vito Ippolito conta quanto il due di coppe quando vale bastoni. E lo dico stimando il Presidente, che è un vecchio e caro amico. Il potere, infatti, è tutto accentrato nelle mani della Dorna con una parvenza di diritto delegato ad organi che, o sono pagati nel vero senso della parola, come l'Irta, l'associazione dei team, che con la Dorna ha un accordo economico per la gestione del paddock, oppure sono completamente privi di potere. La mancanza di una controparte reale, o semplicemente di un contrappeso politico, costringe l'organizzatore spagnolo a prendersi tutte le responsabilità. Intendiamoci, lo vuole lui, per il vecchio detto del "divide et impera". E qui vogliamo spezzare una lancia in favore di Carmelo Ezpeleta che non è, come molti dicono, il male assoluto del motociclismo, ma al contrario un manager preparato. Il suo problema è appunto il troppo potere…che lo costringe a dover subire, di volta in volta, i ricattucci delle case o dei team Satellite. L'obbligo nasce dal vuoto: non essendosi né una associazione né regole che la comandino, lui deve sottostare a continue e pressanti richiesti da parte di tutti. Il risultato è questo continuo comportamento ondivago, con buone decisioni, che molto spesso si rivelano armi a doppio taglio e rendono vulnerabile la Dorna a veri e propri ricatti. La fila di questuanti davanti agli uffici della società spagnola è continua. La richiesta è denaro quando proviene dai team Satellite, aggiustamenti delle regole quando a presentarsi sono le Case. E poco conta se il team manager che piange ha parcheggiata nel recinto VIP una Ferrari 458, una Porsche RS od una Audi R8: piangerà sempre per chiedere più denaro o maggiore attenzione per il nome che rappresenta. La soluzione, ovvia ma evidentemente così tanto da non meritare di essere presa in considerazione, è una vera associazione dei team, con un unico rappresentante legale. Regole fisse per la distribuzione dei diritti Televisivi. E un accordo fra Dorna, FIM e Case/Team che leghi tutti per un certo numero di anni. In F.1 esiste da anni, si chiama 'Patto della Concordia'. E non perché rappresenti la concordia, ma semplicemente perché la riunione si svolse a Place de la Concorde, a Prigi. Il primo fu firmato nel 1981. Non ditemi che c'è l'Irta. Forse, all'inizio, l'Irta era nata per questo, ma oggi è un'altra cosa. Necessaria ma un'altra cosa. Finché il motomondiale non darà regole fisse a tutti i suoi partecipanti, inclusi quelli che le regole devono scriverle, non ci potrà essere alcun regolamento equo. Né pace ancorché armata. E a farne le spese, prima di tutto, è l'amato motociclismo che oggi fa la figura di un barrio Venezuelano dove vige, di volta in volta, la legge del più forte, del più furbo o del più vigliacco. Ma a rimetterci, in fondo, sono proprio le Case perché se l'immagine che la collettività ha del nostro sport è quella di uno slum, le società blue chip, che dovrebbero finanziarlo, ne staranno lontane. La luna, in fondo, non è lontana. Basta volerci andare.

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