Tu sei qui

Ricordi di un pomeriggio di mezzo inverno, a Valencia, osservando le pieghe di Marquez


marquezpiega1Penso di essere entrato nella terza età della mia carriera di giornalista, anzi ne sono sicuro. Me ne sono reso conto mercoledì sera, proprio alla fine della terza giornata di prove di Valencia. Finito il rituale delle interviste, stavo cercando di riorganizzare le idee quando è arrivato via mail il comunicato della Repsol con la foto di Marquez in piega con la RC213V versione 2014, quello con la spropositata presa d'aria, per intenderci. - Porcozzio che piega! mi sono detto osservando l'immagine che conteneva. Ora non è la prima volta, quest'anno, che rimango sorpreso dalle inclinazioni che riescono a raggiungere i ragazzi della MotoGP. E non è solo Marquez a grattare l'asfalto con il gomito. In giro ce ne sono altre molto belle e fino ad ora la mia preferita era stata una di Stefan Bradl. Una piega a sinistra con gomito in terra e spalla vicina al cordolo. Questa di Marc a fine test però mi ha letteralmente affascinato. Marquez infatti cerca di tenere il gomito ben vicino al corpo - non come quelle pagliacciate degli amatori della domenica - per guadagnare preziosi centimetri di inclinazione ed il risultato è che la sua spalla destra è a meno di un palmo da terra. Un palmo vero perché è lontano dal cordolo. La potenza dell'immagine - ne abbiamo discusso mille volte con l'amico Gigi Soldano - vale più di cento pezzi ben scritti. Così sono rimasto a guardare l'insieme uomo-moto letteralmente affascinato. Poi altre immagini hanno cominciato a riempirmi la mente. Sheene-RobertsLa prima è stata quella degli stivaletti - roba quasi elegante, leggeri, senza protezioni - di Mike Hailwood, limati dalla parte del mignolo fino a scoprire il piede. Subito dopo mi è tornato in mente il ricordo di Barry Sheene che in Jugoslavia, a Rijeka, ritagliava una visiera usata per fermarla sul ginocchio con del nastro americano per usarla come slider. Kenny Roberts, più rude, si fermava al nastro. Quindi, in rapida successione, la prima vera invenzione, Dainese, come sempre: il 'porcospino' in plastica sulle ginocchia di Toni Mang. Nostalgia canaglia. Valencia è sparita, i grandi bilici, le hospitality, si sono rarefatte mentre, dopo essermi alzato, guardavo dalle vetrate il paddock sottostante. Ho rivisto le roulotte, persino la tenda di Sadao Asami. Ci dormiva con il meccanico, accanto alla sua Yamaha. DunlopKR73-76Al mio fianco è apparsa una pila di Dunlop KR73, quelle che venivano definite le 'gomme e pera'. Un triangolo, minima resistenza sul rettilineo, grande (per allora) superficie di appoggio in curva. Non consentivano una discesa in piega lineare. Si frenava a moto dritta e poi, sbam, dentro la curva, sperando che tenesse. Altra dissolvenza. Una pila di Michelin PZ2 anteriori, scolpite, ma destinate ad essere accoppiate alle slick posteriori SV9. Piegavamo a 45°, tutti, mica solo i campioni e finalmente comprendevo appieno la poesia di Giacomo Agostini che descriveva il gesto come 'vedere il cielo verticale'. Una magia. Non so quanto sono rimasto a pensare a queste cose. Mi è tornato in mente Boet Van Dulmen, rigido come se avesse una scopa lungo la schiena e poi per associazione ho pensato che anche Graziano Rossi piegava impalato. Le immagini che ricordavo erano tutte di piloti-farfalle con la gamba aperta a squadra, il ginocchio il terra. 45° perfetti che li potevi misurare con il goniometro. Sono tornato alla scrivania. Mi sono seduto. Per me i 45° sono il confine assoluto fra l'equilibrio e la caduta. L'ultima Thule dell'ardimento. L'amatore ci riusciva qualche volta, e conosco perfettamente la sensazione: deve averla provata identica Felix Baumgartner quando si si è gettato nel vuoto da 38.969 metri. Ho guardato nuovamente la foto di Marc Marquez con la spalla a pochi centimetri dall'asfalto. I limiti dell'uomo si spostano continuamente in avanti, ma non è solo questione di tecnologia e tecnica. E' la testa a fare gran parte del lavoro. Fino a qualche anno fa se avessimo visto un uomo parlare ad alta voce per strada avremmo pensato: questo è pazzo. Ora sappiamo che probabilmente ha un auricolare e sta parlando al telefono. Appartenendo all'epoca pre-cellulare provo sempre un certo imbarazzo, osservando la scena. Mi domando se Valentino Rossi, che pure ha vissuto senza interruzioni l'evoluzione della moto, dalla 500 due tempi alla MotoGP, non provi la medesima, leggera, sensazione di fastidio. Un sottile disagio, come quello che si prova, a volte, guardando in basso da un punto di osservazione molto alto. La chiamano vertigine. In realtà è un istinto atavico: ci tiene lontano dal pericolo.

Articoli che potrebbero interessarti

 
 
Privacy Policy