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MotoAmerica, 200 Miglia di Daytona: Quando Giacomo Agostini batté Kenny Roberts

LA STORIA Nel fine settimana si correrà una 'classica'. Nel 1974 un italiano andò a Daytona e fece capire agli americani cosa significasse chiamarsi  Agostini. La storia del suo trionfo con la Yamaha, la stessa del marziano Kenny Roberts, che dopo quella gara si sentì più umano

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Domenica prossima 50 piloti si sfideranno in una delle più iconiche gare del motociclismo: la 200 miglia di Daytona. Sarà l’80esima edizione di una ‘classica’ che è cambiata molto negli anni e per la prima volta sarà valevole per la classifica Supersport del MotoAmerica. Già perché oggi la 200 miglia si corre con le piccole 600 che quest’anno saranno affiancate anche dalla Ducati Panigale V2 e dalla Triumph Street Triple 765, esattamente come nel nuovo regolamento del mondiale della categoria.

Si può dire che la prima edizione ‘moderna’ sia stata quella del 1970, vinta dal leggendario Dick Mann che portò alla vittoria l’altrettanto leggendaria Honda CB 750 - la prima moto moderna - calzando stivaletti da pugile.

Prima di lui c’era stata una lunga sequela di moto americane, dalla Indian, all’Harley-Davidson, con qualche incursione di vetuste Norton e Triumph. In quegli anni troviamo nomi come Gary Nixon e Cal Rayborn, ma anche - e parliamo del lontanissimo  1948 - Floyd Emde, papà di quel Don Emde che rivoluzionò la sfida sulle sopraelevate portando alla vittoria una piccola Yamaha bicilindrica, nel 1972, l’anno prima che si ripetesse con la stessa moto nientemeno che Jarno Saarinen.

Anche Pasolini tentò l'avventura americana, ma senza successo, proprio nel 1973. la 200 miglia di Daytona non era una gara da prendere sotto gamba.

Da sin.: Pasolini, Dave Sehl, Cal Raiborn, Mert Lawwill, Mark Breisford ©Don Emde (see the link below)

Giacomo Agostini, che aveva appena concluso la sua traiettoria con la MV Agusta, la combinazione perfetta tra il dna del miglior pilota al mondo e l’incredibile feeling con la sua amatissima moto, arrivò nel 1974 con una Yamaha 700.

La domenica era la giornata di Agostini in Italia

Nel mezzo degli anni 70’, la domenica degli italiani era accompagnata da una solida certezza. Se quella domenica fi fosse stata una gara di moto, l’avrebbe vinta Giacomo Agostini. Che fosse 350 o 500, non importava, non cambiava nulla. Tanto a vincere era praticamente sempre lui. Come più tardi fece Valentino Rossi, lasciando la Honda per la Yamaha, Agostini giunse ad Iwata lasciando il conte Agusta con la sua 4 tempi ed un inglese di nome Phil Read a pilotarla per affrontare la sfida del 2 Tempi, motore totalmente diverso ed allora agli albori del suo sviluppo..

La scelta di andare in Yamaha

Come Valentino Giacomo  iniziava a mal digerire le chiacchiere messe in giro secondo cui lui vincesse solo grazie alla moto italiana, ritenuta due spanne sopra tutte le altre presenti in griglia. La Yamaha aveva avvicinato Agostini nel 1971, ma solo due anni dopo l’italiano raggiunse l’accordo ed accettò di lasciare la pluridecorata MV Agusta per andare in direzione Iwata a raccogliere il testimone lasciato dallo sfortunato ma talentuosissimo Jarco Sarineen. Volato in Giappone, Giacomo Agostini iniziò a cucirsi la moto addosso ed a portare il proprio enorme know how in case degli storici avversari che fino a qualche mese prima bastonava in pista.

La prima gara del nuovo binomio giappo-italiano si sarebbe corsa a Daytona, in occasione della 200 miglia del 1974. Daytona era un feudo per i piloti USA, e Kenny Roberts era designato come compagno di Team di Agostini e uomo leader del team almeno per quella gara. La stampa USA accolse Giacomo Agostini a Daytona con epiteti di ogni genere, coadiuvati da un Kenny Roberts particolarmente gentile nel dichiarare apertamente: ”Agostini non conosce il circuito e non conosce la sua moto: me lo mangerò crudo”.

D’altra parte si parlava di un italian boy, bello e dannatamente vincente, che arrivava negli States forte di 14 titoli di campione del mondo. Ma conosciamo bene la considerazione che hanno negli USA per tutto il racing che si svolge fuori dai confini nordamericani, per cui le loro dichiarazioni potrebbero quasi sembrare gentili se rilette oggi. Giacomo Agostini si limitò ad incassare in modo signorile e a passeggiare per il circuito, osservando l’asfalto, le curve ed i punti di staccata. Tanti lo prendevano per turista, mentre lui stava preparando il colpaccio. Durante le qualifiche conquistò la quinta posizione e i media si scatenarono contro di lui offendendo il suo palmares e sottolineando come non fosse riuscito neanche a qualificarsi tra i primi tre.

Una sconfitta che ridimensionò l'astro nascente Kenny Roberts

Ma allora come oggi, le gare si vincono alla domenica e dopo aver passato un fine settimana a mettere a punto la Yamaha, Agostini giunse allo start della 200 Miglia carico come non mai ed in perfetta sintonia con la 750 made in Iwata. La sua biancorossa Yamaha scatto benissimo e Giacomo Agostini prese presto la testa della corsa, non lasciandola per tutti i 52 giri del terribile tracciato di Daytona. Roberts tentò in tutti i modi di non farlo scappare, ma non era ancora “il marziano” e fu sconfitto esattamente come tutti gli altri umani presenti in griglia.

Vinse Agostini, l’unico vero Alieno schierato in pista. Lo stesso che quando si correva di domenica una gara di moto, semplicemente la vinceva lui. Anche Roberts dovette ritrattare i suoi intenti di cannibalismo pre-gara, dichiarando: “non posso credere che Giacomo Agostini sia un essere umano”.

Un bellissimo libro sulla storia della 200 miglia di Daytona lo ha scritto proprio Don Emde: lo trovate QUI

 

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