Ora che siamo all’ultimo atto e manca solo il Gran Premio di Barcellona per chiudere questo mondiale 2024, immaginiamo che Pecco Bagnaia possa vincerlo e chiudere l’anno con 11 vittorie.
Un record in negativo qualora l’ultimo successo coincida con la conquista del titolo da parte del suo amico e rivale Jorge Martin.
Non stiamo lì a fare la punta alle matite sottolineando che il pilota di Prima Pramac ha vinto correndo per un team Satellite: quello di Paolino Campinoti lo è solo sulla carta, visto che dal punto di vista tecnico ha l’identico materiale della Ducati in rosso.
Del resto non è la prima volta che un secondo team, chiamiamolo così perché è più corretto, vince il titolo. Ce la fece Valentino Rossi nel 2001, correndo per i colori di Nastro Azzurro. Ed è del tutto ininfluente che la sua squadra fosse il gruppo di Jeremy Burgess, orfano di Mick Doohan perché il team factory, Repsol Honda, era composto da Alex Criville e Tohru Ukawa.
Se vogliamo risalire ancora più indietro nel tempo, nel 1989 Eddie Lawson vinse il mondiale con una Rothmans-Honda, ma il team ufficiale era composto da Wayne Gardner e Mick Doohan. Quello di Lawson, pur con la stessa sponsorizzazione, era iscritto come team Honda-Kanemoto, il mitico preparatore nipponico-americano.
Bagnaia, dunque, non è stato battuto da quello che gli americani chiamano underdog, ma da un pilota con lo stesso materiale e le identiche possibilità. Dunque come è stato possibile che un pilota con così tante vittorie, più di tre volte quelle del rivale diretto, sia arrivato a giocarsi il titolo?
La risposta, ovviamente, è scontata: il motomondiale, con l’introduzione della gara Sprint è ormai un altro sport. Prima, anche se con difficoltà visto i punteggi ancorati al passato che premiano i primi 15, vincere era comunque un imperativo categorico. Oggi, con ben 37 punti a Gran Premio (12+25) è molto più importante commettere pochi errori. Una cosa di cui Pecco quest’anno non può vantarsi.
La matematica ci dice che Martin ha fatto molti più punti nelle Sprint, e con questi ha compensato il minor numero di vittorie, ma in realtà Bagnaia può recriminare qualche errore evitabile.
Non parliamo della prima gara europea, a Portimao, con la collisione con Marc Marquez, ma quella di Aragon con il fratello Alex ha sicuramente pesato moltissimo visto che Pecco arrivò a +5 su Jorge e ne uscì a -23.
Lasciamo perdere la dinamica e le colpe, o il concorso di colpa: la situazione era tale che quel sorpasso, con una differenza abissale di prestazione e con molti giri ancora da effettuare, fu sicuramente un azzardo evitabile. E non è un caso che proprio nella Sprint di Barcellona Pedro Acosta si sia lamentato che la manovra di Marc Marquez nei suoi confronti sia stata come quella di Bagnaia con Alex.
Certo, dal divano commentare è facile, ma come dicevamo il format di questo mondiale ormai non premia più il più veloce, e bisogna ricordarselo sempre. Evitare i rischi inutili visto che il programma attuale comporta molti più rischi del precedente, e non solo per il raddoppio delle gare.
Questo è il motivo per il quale l’attuale format va rivisto, se si vuole premiare effettivamente il pilota più veloce.
Lasciamo perdere l’opzione scarti, perché peggiorerebbe la comprensione della classifica, ma sicuramente il punteggio deve essere rivisto.
Altra cosa da rivedere, oggi, è l’assegnazione della pole che, valendo sia per la Sprint che per il Gran Premio ha un peso eccessivo nell’economia del fine settimana.
Molto meglio è il sistema utilizzato nella Superbike, dove la pole vale per Gara1 e la Superpole Race, ma poi lo schieramento di Gara 2 si ottiene con i primi 9 della Superpole e gli altri a seguire. Ciò riequilibria eventuali errori e permette ai più veloci di partire comunque davanti.
Saranno effettuati questi aggiustamenti? Al momento è impossibile dirlo. Alla fine il motociclismo sta diventando sempre più show e sempre meno sport ed è indubbio che anche così, lo spettacolo quest'anno ci sia stato.
Ph. @Pierluca Brunetti