La prossima sarà una grande stagione dal punto di vista sportivo, non c’è dubbio. Basterebbe da sola la curiosità che ha generato il passaggio di Marc Marquez alla Ducati, seppure satellite del team Gresini, a certificarlo.
C’è chi lo ha detto apertamente, come Martin e chi velatamente, rispettando il suo ruolo di campione in carica, come Bagnaia, ma tutti i protagonisti delle ultime stagioni non attendono altro che di misurarsi con colui che, a torto o a ragione, è ritenuto il miglior pilota degli ultimi 10 anni.
Il 2025 sarà bellissimo, dunque, per chi vuole meritarsi i galloni di campionissimo, o fuoriclasse, o comunque vogliate chiamare il pilota che alla fine della stagione si meriterà il numero 1…a meno che, ovviamente, non sia proprio il 93. Anche se lo riteniamo poco probabile. Non tanto perché Marc alla soglia dei 30 anni si trovi nelle condizioni di Eliud Kipchoge, il 39enne Goat della maratona recentemente detronizzato dal 2h00’35” del 24enne Kelvin Kiptum, quanto perché negli sport del motore conta anche il mezzo.
Comunque sia sarà una lotta tutta da seguire, nella quale, rischiano di perdere di più i giovani leoni, senza scuse, rispetto al vecchio - si fa per dire - capobranco reduce da anni di battaglie ed infortuni.
Vedremo. E poi dopo il 2025 seguirà un 2026 di assestamento e, a seconda dell’esito della sfida, un ulteriore riaccendersi dell’interesse o un affievolimento dello stesso. Fatto sta che l’anno veramente critico per la MotoGP sarà il 2027 con l’arrivo del nuovo regolamento del quale alcune norme sono trapelate, come la riduzione della cilindrata a 850 cc, ma che dovrà essere divulgato presto e interamente se la Dorna e la FIM vogliono veramente attrarre nuovi competitori.
In questi giorni sto leggendo il bel libro di Yoko Togashi, ‘Un Giorno Vinceremo’ che racconta il dietro alle quinte del ritorno della Honda alle competizioni, nel 1979, con l’avveniristico progetto della NR 500 quattro tempi a pistoni ovali.
Ecco, il 2027 sarà veramente uno spartiacque per il motomondiale perché, con il nuovo regolamento fra le mani, il prossimo anno una nuova Casa dovrà decidere se entrare o meno, se rischiare l’all in, senza preoccuparsi dell’eventuale brutta figura, come fece la Honda, raccogliendo poi i frutti nel 1983 con Freddie Spencer e la sua tricilindrica 2 Tempi, oppure aspettare. Ma aspettare cosa?
Attualmente la classe regina del motomondiale ha bisogno di qualcuno che lanci un guanto di sfida alla Ducati, come fece la Honda nel 1979 sfidando le consorelle giapponesi Suzuki e Yamaha che dominavano con i motori a due tempi. Fu una sfida vera, ideologica ancor prima che sportiva. Ed il fatto che la Honda la perse, dovendo poi ripiegare anch’essa sul due tempi, non toglie nulla all’epica di quella storia. Perché poi, appunto, tornò a vincere.
Ora la questione è più complessa perché temiamo che all’interno dei consigli di amministrazione delle grandi Case le decisioni vengano prese più per questioni economiche e di marketing, che ideologico-sportive. Ma è tutto qui l’errore.
Noi, come tifosi-appassionati, vogliamo assistere alle grandi sfide che non riguardano solo i piloti, ma appunto anche le Case che devono prendersi la responsabilità di rischiare.
Otto Ducati, quattro KTM, Aprilia, Honda e sole due Yamaha, destinate a raddoppiare probabilmente a spese della Ducati nel 2026 non bastano. Non è questione di nomi: vogliamo vedere qualcuno gettare veramente il guanto. Esporsi.
Come fece in fondo l’Aprilia con il suo progetto ‘Cube’, la tricilindrica di Noale RS3.
Vogliamo, insomma, qualcuno che rischi ideologicamente una novità, che non si presenti insomma solo con un motore V4 più potente, anche se solo di 850 cc, od una aerodinamica più raffinata. Vogliamo qualcosa che ci faccia spalancare la bocca nella meraviglia.
Da un po’ di tempo si parla del possibile ingresso della MV Agusta nel motomondiale. Stefan Pierer, CEO di Pierer Mobility AG e KTM AG, attualmente possiede il 25,1% di MV Agusta Motor e rileverà la maggioranza delle azioni nel 2026. Pierer sta valutando la possibilità di promuovere il glorioso marchio MV Agusta (38 titoli mondiali piloti, 37 titoli mondiali marche) nel Campionato del Mondo MotoGP nel 2027 con un proprio sviluppo, lo ha dichiarato a Speedweek.
"Sì, non escludo la possibilità che MV Agusta entri in MotoGP come marchio proprio nel 2027".
Sarebbe bellissimo, se solo non fosse, ovviamente, una operazione di puro marketing, come quello di ostentare il marchio GASGAS sulle carenature del team Tech 3 di Hervé Poncharal, visto che quelle moto sono in tutto e per tutto delle KTM RC16.
Già perché che senso avrebbe un ulteriore clone sullo schieramento di partenza, ancorché con un marchio glorioso?
Storicamente non sarebbe neppure una novità visto che nel passato ne abbiamo viste di ogni: dalla Minarelli 125 diventata Garelli nel 1982, sino alla Gilera 250 iridata nel 2008 con Marco Simoncelli, in realtà una Aprilia al 100%.
Quindi delle due una: o qualcuno dei marchi presenti si decide a fare qualcosa di nuovo e rivoluzionario - regolamenti permettendo, perché l’appiattimento voluto dalla Dorna sta ora mostrando l’altra faccia della medaglia - oppure chi non c’è veramente decida di entrare.
Il nome che spesso si fa è quello di BMW, ma anche la crescente industria cinese. Insomma chiunque disposto a rischiare l’immagine con un progetto veramente innovativo.
Purtroppo siamo d’accordo con Wiesinger che riporta l’opinione del progettista di motori KTM Kurt Trieb: “Per come la vedo io, nel 2027 sulla griglia di partenza ci saranno solo moto a quattro cilindri con un alesaggio definito. I motori a tre cilindri sono quindi fuori discussione, anche se un concetto del genere sarebbe tecnicamente interessante".
Ma di chi è la colpa di questo appiattimento? Ovviamente del regolamento attuale che in virtù di una ipotetica riduzione dei costi non permette l’inventiva, che non sia l’unica che non è stata per tempo regolamentata: quella dell’aerodinamica!
Ed allora gettiamo alle ortiche la limitazione dell’alesaggio, che peraltro con la riduzione della cilindrata rischia di essere un boomerang e liberalizziamo un po’: numero di marce, numero di cilindri. I costi non aumenteranno. I costi sono in funzione del budget e vincerà sempre, nelle corse, chi investe se non di più, meglio. Piuttoso introduciamo un budget cap.
Lo so, questo è un concetto che il motorismo non vuole più abbracciare, ma è il motivo della sua esistenza: l’innovazione!
Oggi le uniche novità che vediamo e che sono strumentali alla vittoria sono abbassatori meccanici e aerodinamica: in quanto motociclista mi faranno godere sulla mia futura moto? No, od almeno, solo se deciderò di portare la moto al bar per farla ammirare dai wannabe.
Questo è quanto meritava di essere detto e scritto. Diamo al termine ‘prototipo’ , come stabilito dall’articolo 2.4.1 del regolamento FIM, il vero significato. Un pezzo unico, irreplicabile in grande numero. Qualcosa di difficile da sfruttare e portare al massimo. Non qualcosa di castrato che tutti, o quasi, possano portare al limite.
Togliamo le catene (metaforicamente), alla MotoGP.