Tu sei qui

Il team VR 46 studia da 'ufficiale': se la Yamaha lo vorrà dovrà 'darsi' a Rossi

Il team VR46 Mooney è estremamente appetibile: funziona già come una azienda. E anche se ha l’esperienza delle due categorie minori, come sia stato capace di affermarsi in fretta in MotoGP è incredibile. Per questo azzardiamo una profezia: se la Yamaha vorrà prenderlo, dovrà dargli lo status di team ufficiale

Il team VR 46 studia da 'ufficiale': se la Yamaha lo vorrà dovrà 'darsi' a Rossi

Chissà se Lin Jarvis, managing director di Yamaha Racing, è stato contento del successo di Marco Bezzecchi nel Gran Premio di Argentina. Probabilmente sì, visto che è da tempo che ha messo gli occhi addosso al talento romagnolo.

D’altro canto però il suo compito - portare la VR46 a sposare la causa Yamaha alla scadenza del contratto con Ducati a fine 2024 - si fa sempre più arduo, perché squadra vincente non si cambia. Ed è indubbio che in appena due anni il team voluto da Valentino Rossi e gestito da Uccio Salucci si sia fatto rapidamente largo nelle difficili acque della MotoGP.

Non era scontato infatti che una squadra assemblata in pochi mesi con Pablo Nieto come team manager, assieme a Luca Brivio, Davide Munoz, ultimo capotecnico di Vale ora al fianco di Luca Marini e quel Matteo Flamigni, storico telemetrista del Fenomeno promosso anche lui a capotecnico per Marco Bezzecchi, funzionasse così bene.

Che dire: il famigerato principe e Aramco ora si staranno mangiando le mani…

Scherzi a parte, è una bella patata bollente quella che ha fra le mani Jarvis, ma anche la Dorna perché è indubbio che anche se è vero che sono i team a scegliere (e pagare) le moto vincenti, la MotoGP non può permettersi un campionato con 8 Ducati in pista e sole 2 Yamaha.

La politica di Borgo Panigale sta pagando con un dominio che si è palesato con la tripletta Bezzecchi, Zarco, Alex Marquez a Rio Hondo e che sta facendo venire il mal di testa alle Case giapponesi sempre più in difficoltà.

Se infatti la casa di Iwata si è salvata con le belle prestazioni di Franco Morbidelli redivivo - 4° sia nella Sprint Race che nel Gran Premio - ha Honda è anche messa peggio visto che il team Repsol-Honda, braccio armato dell’HRC, non ha potuto schierare i suoi piloti, Marc Marquez e Joan Mir, entrambi infortunati.

La discesa agli inferi dei dominatori del campionato solo fino a pochi anni fa sta continuando: ritiratasi la Suzuki, la prima insieme alla Yamaha a mettere in vendita moto da Gran Premio negli anni ’70, ’80, raggiunta poi dalla Honda con le sue tricilindriche 2 tempi RS 500, è foriera prima o poi di un ridimensionamento della loro presenza nel motomondiale.

La Suzuki addirittura lo ha dichiarato: ci ritiriamo per concentrarci  sull’elettrico. Ma mentre la Ducati lo fa presentando la fornitura della V21L nel campionato MotoE, le sue rivali di sempre sembrano più preoccupate del mercato che della propria immagine di aziende tecnologiche, faticosamente costruita negli anni.

E’ tutto il sistema giapponese in crisi: la rapidità delle scelte, anche nell’attivare fornitori esterni - Ducati si servì di Suter, mentre la richiesta della Honda di aiuto telaistico alla Kalex ha suscitato critiche - le ’interpretazione ardita dei regolamenti degli europei sta facendo scuola. Così che stanno cadendo gli ultimi tabù, quelli che volevano le aziende nipponiche restii a ‘rubare’ tecnici alle sorelle: Kawauchi, ex Suzuki, è stato ingaggiato dalla HRC, ma in Europa è prassi usuale lo scambio di ingegneri. E contrariamente a quanto accade in F.1 non c’è un periodo di ‘gardening’, così vediamo anche gli importanti capotecnici passare da un team all’altro praticamente con insediamento immediato nelle nuove strutture.

Intendiamoci: la cosa personalmente non ci preoccupa: il motociclismo non è mai stato ricco per quanto riguarda la presenza contemporanea di più case. Praticamente è sempre vissuto fra Suzuki, Yamaha e Honda, non sempre presenti contemporaneamente e con rapsodiche incursioni della Kawasaki. Così il fatto che oggi corrano contemporaneamente Ducati, Aprilia e KTM già da sole sarebbe garanzia di diversità.

Molto più della F1, infatti, il motociclismo è legato ai piloti, ai personaggi, così come l’automobilismo, pur avendo avuto grandi fuoriclasse, ha privilegiato le sfide tecnologiche fra Case e team: Ferrari, McLaren, Williams nel passato.

Il motociclismo fortunatamente non soffre della ‘ferrarite’, grave malattia che coinvolge il più grande gruppo di tifosi della massima formula. Mentre una F1 senza la Rossa di Maranello dunque è impensabile, la presenza della Rossa di Borgo Panigale, ancorché non auspicabile, è storia recente.

C’è solo un punto in cui la MotoGP deve ancora fare passi in avanti: nei team. Mancano grandi team manager - incredibile che Livio Suppo, ex Ducati, Honda e Suzuki non rientri - e anche i team satellite devono strutturarsi maggiormente.

Per questo, come dicevamo all’inizio, il team VR46 Mooney è estremamente appetibile: funziona già come una azienda. E anche se ha l’esperienza delle due categorie minori, come sia stato capace di affermarsi in fretta in MotoGP è incredibile. Per questo azzardiamo una profezia: se la Yamaha vorrà prenderlo, dovrà dargli lo status di team ufficiale. Non di team satellite con moto ufficiali: proprio la rappresentanza del marchio di Iwata nel mondo delle competizioni. Segnatevelo.

Articoli che potrebbero interessarti