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Perché lo spettacolo è figlio del talento e non sempre della tecnologia

CHI HA PAURA DELLA MOTOGP? Le moto della classe regina non fanno più paura. Quest'anno hanno già vinto in 5: Bastianini, Oliviera, Aleix Espargarò, Quartararo e Bagnaia. Nel 2021 in 8: Vinales, Quartararo, Miller, Oliveira, Marquez, Martin, Brad Binder e Bagnaia. Viviamo in una generazione di fenomeni?

Perché lo spettacolo è figlio del talento e non sempre della tecnologia

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La domenica successiva al Gran Premio di Silverstone, nella nostra usuale Live con Carlo Pernat e Matteo Aglio, ho fatto una affermazione che forse è stata poco chiara e, come sempre sui social, ha trovato favorevoli e contrari.

Non è la prima volta che succede, anzi è già accaduto altre volte per frasi pronunciate in una conversazione ed estrapolate dal contenuto: si sa, non sempre si parla come si scrive e nel calore della discussione non si fanno tanti distinguo perché si pensa sempre che l’ascoltatore abbia seguito l’intero filo del discorso. E ciò non sempre è vero.

La mia affermazione, con lo spannometro, era questa: bisogna intervenire sui regolamenti tecnici perché quelli attuali non premiamo in modo adeguato il talento.

Da alcuni ciò è stato inteso come un freno all’evoluzione. Una cosa che, chiunque mi conosca, sa che è completamente fuori dalle mie corde perché adoro la tecnologia e penso che vietare, per esempio, lo ‘shapeshifter’ anteriore della Ducati senza modificare il libro delle regole, ma solo perché le altre Case si sono lamentate è stato un errore madornale. Così come sbagliato è stato l’intervento della Dorna per dirimere la questione, ma si sa a volte Carmelo Ezpeleta deve dare un colpo al cerchio ed uno alla botte.

Comunque torniamo al cuore del discorso: le moto attuali non premiano completamente chi ha più talento. O meglio: sarebbe più opportuno dire che il regolamento attuale, nel suo complesso non premia i piloti più talentuosi.

Ma come si è arrivati ad un regolamento che mette (quasi) tutte le Case sullo stesso livello? Semplice, per magnificare lo spettacolo!

Giusto, anzi sbagliato perché fra centralina unica, monogomma, praticamente unico fornitore per sospensioni e freni, concessioni ,la traiettoria del nostro sport ha deviato dalla rotta iniziale.

I motivi di vari, piccoli, cambiamenti che hanno portato fuori dall’orbita la MotoGP sono vari, ed anche indipendenti fra di loro.

Il peccato originale, comunque, rimane uno: pensare che il pubblico voglia vedere vincitori diversi ogni domenica! Equiparare oggi vinco io, domani tu e domani l’altro un nuovo Carneade a: ‘dare spettacolo’ e fare, contemporaneamente, appassionare i tifosi e convincere le Case a proseguire il proprio impegno è un errore.

A smentire l’ultima affermazione del resto basti ricordare il ritiro della Suzuki: ha speso meno delle altre case, si è portata a casa il mondiale con Mir, ha tuttora due ottime piloti ed un manager eccellente, Livio Suppo, eppure ha detto basta!

Fatto salva questa prima affermazione: spettacolo non è tanti vincitori diversi, bisogna aggiungere un corollario.

E questo è: il pubblico ama i ‘serial winner’, i vincitori seriali, a cui vanno opposti gli antagonisti. Pensiamo a Rossi, Biaggi e Capirossi: il bello, il cattivo ed il buono, quello che persino nelle polemiche più feroci (Harada) riesce a non farsi odiare.
Ne volete altri? Rossi e Stoner, Rossi e Marquez. Nel passato Rainey e Schwantz, prima ancora Roberts e Spencer e poi Spencer e Lawson. E lasciamo perdere Agostini che è sempre stato il riferimento per tutti.

Ciò conferma che non serve avere decine di vincitori all’anno. Basta che i vincenti siano buoni.

Ora chiarito questo punto, sul quale sicuramente qualcuno non sarà d’accordo, ma la storia non la ho scritta io, passiamo al discorso tecnico. La MotoGP con il ‘giardiniere’ Dorna ha sfoltito i rami della classe regina sino a farne un bellissimo albero tondo che può essere ammirato da ogni lato. Perfetto. Il fatto è che questo comporta che molti piloti riescano a salirci sino in cima seguendo un percorso tracciato dai tecnici al box. Nel contempo tanta perfezione ha come conseguenza che basta non riuscire a seguire quel percorso per vedere vanificati i propri sforzi.

Pensiamo al decimo di atmosfera della gomma anteriore che si surriscalda per precipitare nelle retrovie un possibile vincitore.

Naturalmente i problemi come sempre hanno molti padri ma nessun colpevole: inutile cercare di addossare le responsabilità alla Michelin se, d’un colpo (e per di più in piena pandemia) ha visto aumentare enormemente il carico sulla ruota anteriore grazie all’aerodinamica ed a freni sempre più performanti.

Se vuoi andare ad oltre 360 Km/h del resto devi poterti fermare! E ci vai, a quei 360, perché le ali ti fanno tenere la ruota anteriore attaccata all’asfalto.

Intendiamoci subito: adoravo le impennate in uscita di curva con i piloti che si spostavano in avanti per contrastarle. Ma non è nostalgia: ve la ricordate la posizione di guida delle moto, non dico degli anni ’70, ma anche 80 e 90? Il pilota stava quasi sdraiato.

Ciò che vorrei spiegare, ma non so se ci riesco, è che ogni tanto, mentre la tecnologia ci propone nuove soluzioni, va fatto un reset regolamentare e ci sembra che sia giunto il momento. Il momento per premiare chi ha più inventiva, ed anche per premiare il pilota che ha più talento.

Questo perché quando si raggiunge, meglio, si sfiora la perfezione sempre più atleti riescono ad avvicinarsi al limite e questo non aiuta lo spettacolo, al contrario lo diminuisce. Lo appiattisce.

Guardiamo alla MotoGP con occhi scevri da tifoserie, per favore: dopo il ritiro di Rossi, Biaggi, Stoner, Lorenzo, i problemi di Marquez, non abbiamo avuto in MotoGP altri cinque fenomeni. Non ci siamo nemmeno andati vicini.

Abbiamo avuto belle gare, come il periodo Marquez-Dovizioso, perché uno aveva una moto fenomenale e l’altro era fenomenale. Un ottimo pilota, Dovi, contro uno eccelso, uguale spettacolo perché ciò che aveva Marc, compensava ciò che aveva Andrea.

E non capitava certo che uno dei due, come gli altri citati sopra, un giorno vincesse e l’altro facesse settimo!

E’ vero: nel motociclismo conta ancora molto il pilota. Se non fosse così la Honda (senza Marquez) non sarebbe nella crisi come è ora. Ma è altresì innegabile che le attuali MotoGP qualcosa che non va ce l’hanno. Come è possibile che le Ducati vadano forte con (quasi) tutti? E che la Yamaha solo con Quartararo, nonostante in squadra la casa di Iwata abbia con Morbidelli un vicecampione del mondo?

Ecco, bisognerebbe indagare a fondo su cosa non funziona nella attuale MotoGP, perché sicuramente non favorisce del tutto il talento. Non arriviamo a dire che è troppo semplice da guidare, perché non è vero, eppure qualcosa che non funziona c’è se per quasi l’intera gara vediamo le moto correre sui binari, mentre le Superbike, che pure girano più piano, ma poi non così piano, saltano da una parte all’altra della pista come grilli.

Ciò a cui dobbiamo arrivare è una difficoltà di guida che premi veramente i migliori talenti, che non sono dieci su 22 partenti. Questo è anche statisticamente impossibile.

Attenzione, perché io sono uno di quelli che quando vede la Moto3 nella quale i primi 14 arrivano in due secondi pensa che sia solo una grande ammucchiata, non uno spettacolo entusiasmante. Ma questo è dipeso dalle prestazioni e dall’eguaglianza delle moto, e spesso la vittoria e la sconfitta all’ultimo giro dipendono dal caso o da qualche manovra troppo azzardata.

Il discorso è lungo e complesso. Riguarda la MotoGP, ma anche le altre categorie che sono scomparse praticamente dai media generalisti. E questo non è un bene. Insomma, il motociclismo fino a qualche anno fa si reggeva sulle gambe di giganti che, per un motivo o per l’altro non ci sono più.

Ed il pubblico vuole i fenomeni, le lotte a due o tre. Il trono di spade, con i draghi, la sportività ed il fair play sì, ma non il ‘vogliamoci tutti bene’. Non è mai stato così e mai lo sarà.

Il pubblico che scarseggia sulle tribune ce lo sto dicendo a chiare lettere. Sta a noi capirlo o meno. Manca Valentino e manca Marquez, è vero, ma non è tutto qui.

 

 

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