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Giacomo Agostini 40+40: il Re dei Re ancora in testa fra le leggende

Erano i tempi, quelli, in cui eravamo tutti molto giovani e molto felici. Le moto facevano un baccano d’inferno, 4 Tempi e 2 Tempi senza silenziatori, c’era il rito della preparazione della miscela e della scelta dei getti. I circuiti non erano tutti sicuri, ma venendo dal TT alcuni lo sembravano

Giacomo Agostini 40+40: il Re dei Re ancora in testa fra le leggende

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Camminava tranquillo sul rettilineo di Vallelunga, dirigendosi verso la prima fila, come d’abitudine. Davanti a lui Fiorenzo Fanali spingeva la MV Agusta mentre al fianco gli camminava Luigi.

Giunto nella posizione della pole Fiorenzo tolse la carta crespa dalle manopole - a quei tempi i meccanici si sporcavano ancora le mani, e Fanali mai avrebbe voluto consegnare al suo pilota le manopole unte di grasso  - e Ago salì in sella.

Casco a scodella, occhiali, guanti Cinque Anelli bianchi con il camoscino su indice e medio per pulire gli occhiali.

Io ero in tribuna. Calò il silenzio.

I piloti scesero dalle moto e si affiancarono, chi a destra e chi a sinistra, spingendola leggermente a ritroso, dopo aver inserito la marcia, per mettere il motore in compressione. In quel momento si poteva sentire volare una mosca. Un momento magico. Avevo il cuore in gola.

Poi, improvviso, il rumore del drappo sventolato che dava il via e la vita ad una muta ululante nella quale svettava il tamburo della MV e un attimo dopo erano tutti lì che sfilavano nel curvane verso i Cimini e noi tutti con gli occhi fissi verso la Trincea per vedere chi sarebbe sbucato per primo.

“In testa c’è Giacomo Agostini!”, urlò lo speaker ed io in quel momento capii che l’amore per la moto mi era entrato nelle vene e non ne sarei più guarito. Vallelunga diventò il mio luogo della memoria, Agostini il mio idolo e salendo sul Corsarino 50 ZZ che mi avrebbe riportato a casa pensai a cosa fare per inserire stabilmente le due ruote nella mia vita.

Provai, più avanti, naturalmente a correre ma ognuno ha la sua strada e quella non era la mia. La mia mi portò, in tenda, era il 1977 a Silverstone. C’erano Barry Sheene, Pat Hennen (che vinse), Johnny Cecotto, Steve Baker, Parrish. Agostini non vinse ma era evidente che anche giocando in casa con Sheene impegnato nella difesa del suo primo titolo Barry scherzava con lui con familiarità ma anche con una certa riverenza.

Non era ancora sorta la stella di Marco Lucchinelli, Franco Uncini ancora correva in 250 e Mino si avviava verso la fine di una carriera straordinaria e irripetibile. Peraltro quel 1977 fu il primo anno in cui il GP d’Inghilterra non si corse al Tourist Trophy. Dopo averne vinti 10 Ago, spalleggiato proprio da Sheene aveva deciso di boicottarlo dopo la morte di Gilberto Parlotti.

Da lì in avanti Giacomo avrebbe corso ancora un po’, prima di dedicarsi alle auto e infine alla creazione di un team - il Marlboro Team Agostini - nel quale albergò il suo ex grande rivale, Kenny Roberts e l’astro nascente Eddie Lawson.

Sempre avanti a tutti, Giacomo, con una serietà e capacità che ancora oggi non trova uguali. Perché se Ago è stato senza ombra di dubbi ‘il più grande’ in pista, nomignolo che condivide con Alì, la sua abilità alla guida di una moto è seconda solo a quella di lui nel ruolo di manager.

 

Eddie forse non sarebbe d’accordo, Lawson e Mino non legarono mai del tutto, ma Kenny lo sperimentò nei due ruoli e anche Freddie Spencer, seppure non riuscì ad approfittarne, ancora oggi ne parla con rispetto.

Erano i tempi, quelli, in cui eravamo tutti molto giovani e molto felici. Le moto facevano un baccano d’inferno, 4 Tempi e 2 Tempi senza silenziatori, c’era il rito della preparazione della miscela e della scelta dei getti. I circuiti non erano tutti sicuri, ma venendo dal TT alcuni lo sembravano. E poi c’erano le ‘groupies’ nel paddock, zero divise, i meccanici giapponesi seduti in terra che mangiavano con le bacchette e moto da 50, 125, 250, 350, 500 e persino quei pazzi dei sidecaristi da ammirare.

E la volete sapere una cosa? Giacomo, a 40+40 è ancora in testa al gruppo, come quella volta che lo vidi spuntare dalla Trincea, piegare al Semaforo, svoltare stretto al Tornantino e poi saettare fra la esse verso la Roma, ed il traguardo.

Guida tranquillo, Ago. Cento di questi giri.

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