L’arrivo di Danilo Petrucci nel MotoAmerica è stato salutato con grande entusiasmo dall’organizzatore del campionato, l’ex tre volte campione del mondo della 500 Wayne Rainey, da tutto lo staff ed anche dai suoi avversari.
L’idea di presentarsi con sul retro del casco la scritta ‘Handyman’ - tuttofare - , dopo i suoi successi in diverse categorie, Dakar inclusa, ha suscitato unanimi consensi, e del resto gli americani non hanno potuto non apprezzare il carattere genuino ed i modi da bravo ragazzo di Petrux.
Fin dal primo istante Danilo è stato accolto a braccia aperte: è uno di noi, è stato detto.
Il motivo di tanto favore è apparso subito chiaro: Petrucci era la pietra di paragone del valore dei piloti americani, se possiamo batterlo, od anche stare con lui la considerazione sul livello del campionato crescerà.
L’ondata di consensi non si è affievolita dopo la duplice vittoria ad Austin ed è proseguita anche dopo la più difficile gara a Road Atlanta, dove Petrux ha espresso le prime critiche sulla gestione (motore esploso per essere stato tenuto acceso per troppo tempo in griglia).
La situazione è precipitata però in Virginia, dopo le dure critiche del pilota Ducati dopo il suo incidente avvenuto dopo aver tagliato il traguardo in terza posizione in uno dei punti più veloci del tracciato.
Non ripetiamo le critiche di Danilo, le abbiamo riportare parlandoci a caldo subito dopo i fatti. Rispettando la sua sincerità senza indulgere sul pittoresco: i piloti sono così. Se li prendi al volo, non appena si tolgono il casco, ottieni sicuramente un commento sanguigno, ma forse non completamente aderente ai fatti.
Per avere un chiarimento abbiamo interpellato Paul Carruthers, che segue la comunicazione del campionato e Wayne Rainey in persona ha dato la sua versione dei fatti, con grande onestà, come ci aspettavamo. MotoAmericano non è la MotoGP, né pretende di esserlo. Non è nemmeno il mondiale Superbike. I circuiti sono quelli che sono - o volere o volare - ma nel BSB non sono messi tanto meglio, a volersi esprimere chiaramente.
MotoAmerica è perfettibile, come tutto del resto, ma bisogna conoscere le competizioni negli States per dare un giudizio corretto. Per fare un esempio, in una delle mie prime visite a Daytona - oh, Daytona! - idolatrata in Europa, rimasi sconcertato. L’organizzazione era per lo più al livello delle nostre derivate di serie di Vallelunga, dove correva Franco Uncini, e Checco Costa alla 200 Miglia fece decisamente di meglio.
In realtà ancora oggi non capisco il sacro fuoco che Kenny Roberts mise nel cercare di migliorare la sicurezza del motomondiale a partire dal 1978, devo dire spalleggiato da Barry Sheene, che pure non lo amava. E’ vero: si correva a Spa, ad Imatra, a Rijeka, circuiti pericolosi, ma in quei tempi non è che Kenny corresse fra muri di gomma negli States.
Più che altro credo che Roberts se la prendesse con la FIM di allora, il presidente era Nicolas Rodil Del Valle, perché rappresentava solo sé stessa, i piloti erano pagati pochi spiccioli, e dovevano fare la fila per prenderli, a fine gara, e questo a King Kenny non andava giù, perché comunque in America l’organizzazione era più ‘down to Earth’.
Lo è ancora. Forse sarebbe stato meglio che, dopo il fattaccio, Danilo approcciasse Wayne direttamente, magari urlandogli in faccia cosa non andava, invece di lamentarsi sui social. Rainey lo avrebbe sicuramente ascoltato, perché Petrux non è un ‘piangina’. Ed in un certo senso la sua lamentela è stata mal interpretata: è stata lo sfogo di un ternano verace, di un ragazzo sincero che non tiene sulla punta della lingua il suo pensiero. Le critiche ci stanno tutte, per carità, ma bisogna capire lo slang di Danilo. Era arrabbiato, perché ha rischiato di brutto, ma conoscendolo dieci minuti dopo gli era già passata.
Ora, come conseguenza, facendo del buon giornalismo, roadracingworld.com ha fatto parlare gli avversari di Danilo Petrucci e l’immagine che ne emerge è quella di un pilota che, avendo avuto un paio di battute d’arresto, si lamenta. Certamente gli americani difendono il loro campionato, l’unico nel quale possono correre e sperare di crescere. Ed anche le loro parole vanno passate nel setaccio.
Non stiamo a riportare tutto, chi ha voglia può leggersi le critiche a Danilo QUI - e il titolo è: MotoAmerica: i piloti non appoggiano le critche di Petrucci, ma vorrei soffermarci su una dichiarazione, quella di Josh Hayes.
“Quindi, capisco che (la sua dichiarazione N.d.R.,) viene dalla velocità che aveva e dalla dilatazione del tempo (intende dire: 3” sono una vita quando si scivola a 280 Km/h). E poi è italiano, quindi è drammatico. Penso che sia un po' una testa calda e ingiusta in un certo senso, ma allo stesso tempo capisco la sua situazione”.
E’ uno scapaccione ed un buffetto, quello di Josh, ma quel suo ‘e poi è italiano, quindi è drammatico’, è uno stereotipo, pasta, pizza e mandolino che noi italiani e Petrux non merita, non meritiamo.
Gli americani ci hanno dato un mucchio di eccellenti piloti, che hanno incrociate le ruote con i nostri migliori. Qualcuno, da entrambe le parti, ha perso la vita quando in entrambi i continenti le condizioni di sicurezza non erano quelle di oggi.
‘Mess with the best, die like the rest’.
Petrucci nel MotoAmerica è una bellissima occasione per tutti, Europei ed Americani. Prendiamo le parole di Danilo per quello che sono: uno sfogo, con sicuramente una verità intrinseca. Wayne Rainey saprà raccoglierla, lo ha già fatto. I colleghi di Danilo anche devono capire che la critica, ancorché quando presentata male, è un valore aggiunto anche per loro.
Quando Kenny Roberts, al Gran Premio di Spagna, si tolse la corona d’alloro che allora usava cingere il collo dei vincitori e la gettò ai piedi di Rodil Del Valle e del re di Spagna, non fece un gesto da principe, ma fu l’inizio di un cambiamento che portò vantaggi a tutto il motociclismo.