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Marquez, dall'inferno al ritorno: ecco perché risorgerà come Sheene e Doohan

I suoi detrattori gridano: carriera finita! Ma Marc supererà questa odissea come i grandi fuoriclasse del passato, da Sheene a Doohan. Perché non importa con quanta forza tu colpisca un campione, si rialzerà sempre

Marquez, dall'inferno al ritorno: ecco perché risorgerà come Sheene e Doohan

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La notizia del terzo intervento per Marc Marquez ha riacceso la diatriba fra coloro che urlano fine della carriera per ‘Magic’ e chi - siamo fra questi - pensa che un incidente, per quanto brutto sia, non mette fine ad un bel niente.

Secondo noi tutto dipende dal carattere, anche se è vero che in certi casi - ci viene in mente subito Freddie Spencer - il sopraggiungere di una improvvisa inabilità, per Fast Freddie fu una tendinite assolutamente perniciosa, possa trasformare un assoluto fuoriclasse in un pilota ‘normale’.

Perché non c’è dubbio che un pilota, ieri come oggi, deve poter contare su una assoluta integrità fisica. Anche se ogni incidente è diverso ed ha effetti diversi sulla guida.

Pensiamo al polso di Kevin Schwantz, che ad un certo punto lo costrinse al ritiro, alla caviglia di Mick Doohan, che non gli impedì di vincere cinque mondiali consecutivi ed alla spalla di Ben Spies, che lo convinse a mettere la parola fine alla sua carriera.

Noi crediamo che il carattere sia la cosa più importante perché è attraverso la volontà che si superano i problemi e persino le infermità. E se è vero che anche l’uomo più forte ha il suo punto di rottura è l’animo la vera lastra di acciaio armonico attraverso la quale la nostra umanità assorbe i colpi più duri.

Oddio, questa è una frase alla dottorCosta, ma è avendo accanto un medico come lui che ci siamo formati, e dunque ci appare inevitabile accostare la fisicità a quella parte di ‘io’ immortale che ci consente, come il motto olimpico “Citius, Altius, Fortius” - Più veloce! Più in alto! Più forte! - di spostare in avanti i nostri limiti.

Dunque, Marc Marquez al rientro dopo la terza operazione, 8 ore di intervento, una ulteriore riabilitazione di perlomeno tre mesi con l’aspettativa di perdere da uno a tre Gran Premi. E, non dimentichiamocelo: un anno intero di assenza dalle piste.

Ce la farà? Ce la può fare? Dipende dal carattere, e l’animo di Marc  è fatto di adamantio, come le unghie di Wolverine.

Ancora una volta diamo uno sguardo al passato, per riguardare la vita di un pilota che risorse due volte, dopo due terribili incidenti, e ci riuscì grazie al suo carattere: Barry Sheene.

Era il 1975 quando Barry cadde sulla sopraelevata di Daytona: si disintegrò,
rompendosi il femore sinistro, il braccio destro, la clavicola e due costole, ma si riprese e tornò a correre sette settimane dopo. OK, qui parliamo di ‘semplici’ fratture che non posero fortunatamente alcun problema, ma l’incidente fu devastante. Sheene, successivamente, vinse due mondiali nella 500 nel 1976 e 1977. Sette anni dopo, ne 1982, a Silverstone, durante delle incredibili prove libere miste nelle quali erano in pista moto di diverse categorie il fuoriclasse britannico centrò la moto di Patrick Igoa. Rischiò, in quella occasione di perdere entrambe le gambe che furono rimesse insieme a pezzettini dal chirurgo ortopedico Nihel John Cobb all’ospedale di Northampton.

Neanche a dirlo Barry successivamente tornò in pista ma inizialmente non era in grado nemmeno di tenere in equilibrio una moto con le sue gambe. Lo ricordiamo a Donington, alla guida di una Yamaha RD 350 in un giro dimostrativo...assistito dal suo fraterno amico, Steve Parrish, sul sedile del passeggero perché Barry non avrebbe potuto fermarsi!

Ciò che gli permise di tornare quello che era - si ritirò nel 1984, la sua carriera era già all’ultimo atto - fu il suo carattere. Barry Sheene affrontava ogni cosa con il sorriso, un atteggiamento che ai giorni nostri riconosciamo solo a Valentino Rossi. Ma non è necessario sempre sorridere.

Mick Doohan sorrideva poco, ha sempre sorriso poco durante la sua carriera agonistica, ma quando ebbe nel 1982 il grave incidente ad Assen che per poco non gli costò la gamba destra, diede sfoggio di tutta la sua magnifica grinta.

Fu il dottor Costa a salvargli la gamba dall’amputazione, è vero, ma fu Mick ad affrontare il lungo calvario - le due gambe cucite assieme per assicurare l’irrorazione all’arto malato - che lo portò addirittura a tentare di vincere comunque il mondiale di quell’anno che aveva lasciato con 65 punti di vantaggio su Wayne Rainey.

Nell’anno successivo Mighty Mick dovette reimparare a guidare la moto portando, lo sapete, il pedale del freno dalla pedana di destra al manubrio di sinistra, azionandolo con una leva a pollice. Aveva una infermità, zoppicava vistosamente giù dalla moto, ma tornato alla vittoria, nel GP di San Marino al Mugello nel 1993, dalla stagione successiva non fece prigionieri per cinque lunghi anni.

Ciò che vogliamo dire è che è lo spirito guerriero ad animare i fuoriclasse. E che non conta la gravità della ferita né, in parte, le conseguenze quanto piuttosto il desiderio di superare le avversità. Di dimostrare, prima di tutto a sé stessi, di potercela fare.

Ecco perché Marc rientrerà dopo questa odissea, superando l’ordalia del rientro così come gli abbiamo visto vincere tanti Gran Premi: con un sorriso.

 

Credits: Foto da "Barry Sheene, Motorcycle Racing's Jet-Set Supertar" di Michael Scott (Haynes Publyshing

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