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Il Mugello 'decapitato' del dosso: il prezzo della sicurezza

Il tracciato toscano è la picchiata della Casanova e la doppia dell'Arrabbiata, ma anche il dosso prima della San Donato dove le MotoGP decollano. Ora i piloti vogliono smussarlo. E' un delitto? Si può fare? Non si appiattisce l'Eau Rouge, o no?

Il Mugello 'decapitato' del dosso: il prezzo della sicurezza

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Fra tutti i vecchi circuiti del motomondiale il Mugello è quello che negli anni è cambiato di meno. Anzi non è cambiato affatto. Il suo disegno originale, dovuto all'ingegner Gianfranco Agnoletto, è immutato dalla sua nascita, datata 1974.

Ricordiamo bene l'anno perché avemmo la fortuna di girarci con una Ducati 750 SS. Allora il direttore dell'impianto era Remo Cattini che durante il briefing ci raccomandò una sola cosa: non uscite di pista.
Non era, Remo, in realtà preoccupato della nostra incolumità fisica, ma piuttosto di quella del suo impianto: "se tirate giù i paletti (in legno!) e le reti, le dovrete pagare", disse.

Una cosa che per uno squattrinato ventenne ebbe un effetto deterrente peggiore di quello di un muretto di cemento.

Il Mugello anni '70 non era sicurissimo. Gli spazi di fuga erano risicati e le reti servivano, appunto, per fermarti. Sempre che, nella caduta, avessi la fortuna di imbucarle e di non incappare in un paletto, incappucciato in in tubo di gomma verde, presumiamo, a distanza di anni, per una questione estetica.

Era comunque magnifica già allora, questa pista, e la Ducatona, spinta dai suoi 87 cv non perdeva nemmeno tanti giri dei suoi 'oltre 9.000' quando, verso la fine del rettilineo, c'era lo scollino prima della San Donato.
Da allora ad oggi sono passati 45 anni e nel frattempo abbiamo visto sparire, in ordine sparso, per motivi di sicurezza, il vecchio Nurburgring, ovviamente, Rijeka, in Jugoslavia, Nogarò e il Paul Ricard, in Francia, l'Estoril in Portogallo, Suzuka in Giappone, Jacarepaguà in Brasile, Kyalami in Sud Africa, Salisburgo in Austria, Spa-Francorchamps in Belgio e potremmo continuare.

Altri, come Assen, o Misano, sono sopravvissuti, ma a che prezzo?
Il TT olandese oggi non è nemmeno lontano parente della 'Cattedrale' di un tempo.
E Imola, la nostra Imola, il 'piccolo Nurburgring' di Enzo Ferrari, è stato sfigurato dalle varianti.

Ogni volta che abbiamo 'perso' un circuito è stato un dolore paragonabile a quello di un vecchio campione che si ritira.
E di ogni tracciato abbiamo ricordi indelebili: le vecchie Acque Minerali, la Double Droit del Paul Ricard, l'Eau Rouge di Francorchamps, la esse prima del traguardo di Salisburgo, dove nella violenza e rapidità nell'inversione le 500 alzavano la ruota e quel curvone in salita con il guard-rail a filo...

Erano punti, questi, che ti facevano battere il cuore. Ma il continuo cammino verso la sicurezza li ha cancellati assieme alle piste che li ospitavano.
Cambiare o sparire, questa sembra la legge. Ed è giusta anche se ci ha privati di tracciati mitici.

Così quando nel 1977 Barry Sheene e Giacomo Agostini, ancora scosso dalla morte di Gilberto Parlotti, calarono la mannaia sull'Isola di Man accogliemmo Silverstone con entusiasmo, ma oggi quando ci torniamo ogni anno, trovandolo devastato dalle modifiche, ci domandiamo: è giusto?

Così ieri quando Andrea Dovizioso e Marc Marquez hanno congiuntamente denunciato lo scollino della San Donato troppo pericoloso con le moto attuali abbiamo pensato: il Mugello è la picchiata della Casanova e la doppia dell'Arrabbiata, ma anche quel dosso. Smussarlo, togliendo dunque una difficoltà, sarebbe un delitto.

Poi, un attimo dopo, abbiamo ripensato alla potenza, più che triplicata rispetto alle 750 di allora, ma anche alla MV Agusta di Agostini che sfiorava i 100 cavalli ed anche alle 500 di Doohan, che era sotto i 200.
Ed è allora che mi sono reso conto che se quel dosso deve essere il prezzo per vedere ancora negli anni a venire i piloti sfrecciare al Mugello, così com'è, a 356,5 Km/h, beh, non è troppo alto.

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