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Caso Fenati: chi ha assassinato il motociclismo?

L'assenza di un giudice 'super partes' mina (da tempo) la credibilità del nostro sport e origina i mostri. Fenati è colpevole, ma chiediamoci se abbiamo fatto di tutto per evitarlo

Caso Fenati: chi ha assassinato il motociclismo?

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Ho sempre amato la boxe, ritenuta da molti uno sport cruento appartenente al passato.

Io non la penso così: si sale sul ring indossando guantoni e paradenti, in un quadrato che delimita il campo dell’offesa, con regole ben precise e la presenza di un giudice.

Quando suona il gong ci si inizia a menare, per un tempo stabilito, scaduto il quale si torna al proprio angolo, ci si riprende e si ricomincia per un numero predefinito di round. C’è la certezza che l’avversario sia del nostro peso e che se si andrà a terra il match verrà interrotto.

Si hanno molte meno garanzie nella vita di tutti i giorni, dove fuori da un locale si può litigare ed essere pestati senza che nessuno intervenga, se non per scattarsi un selfie.

Lo sport per me questo deve essere, confronto, durissimo, con delle regole stabilite ed inflessibili. Uno scontro al quale si arriva preparati con sacrifici e lunghi allenamenti.

Amo anche l’atletica, perché spesso sull’anello rosso gli atleti rivali si allenano assieme. Fanno ripetute e lunghi, misurando la reciproca velocità e resistenza. Per conoscersi meglio e provare a battersi reciprocamente.

Non è che nello sport, sia detto a chiare lettere, non si bari o non si superino i limiti. C’è il doping, Tyson ha morso l’orecchio a Holyfield, ma mi piace pensare che sia un terreno di scontro pulito. Dove ci si possa battere in una ‘guerra etica’. Che detto per inciso è utile anche per far sfogare gli eccessi agonistici che portano spesso gli uomini l’uno contro l’altro in scontri nella società che di etico ormai ha poco o nulla.

Joan Mir ha spezzato una lancia in favore di Fenati, con belle parole: ci è piaciuto

Una volta si diceva: lo sport prepara alla vita. Niente di più giusto. Ne sono convinto, l’università non mi ha dato le lezioni che ho appreso nello sport.

L’unico ambiente al mondo in cui lo sconfitto abbraccia il vincitore e gli è grato perché lo ha portato al suo limite. Offrendogli così una visione chiara delle sue possibilità e l’occasione di superarle.

Lo sport fa rima con amicizia. Ed è l’unica attività al mondo in cui è lecito invidiare le qualità di un altro uomo, cercando poi di migliorare le proprie per misurarsi con lui.

Il motociclismo una volta era questo, o perlomeno ho vissuto lunghi periodi durante i quali è stato questo. Oggi, purtroppo, c’è una deriva che non mi piace, ed è originata dal fatto che non ci sono più arbitri imparziali, e che spesso si continua a pestare chi è a terra.

Spesso infatti chi arbitra è troppo colluso con altri interessi per poter giudicare con severità e garbo. E le polemiche durano all’infinito.

Inoltre lo sport non si evolve. Avvengono fatti inqualificabili che passano sotto silenzio o come ragazzate. Non voglio fare riferimenti diretti, ma a Misano ne sono successi perlomeno un paio che avrebbero meritato l’intervento dell’autorità. E non parlo di cose accadute in pista.

Se cose simili accadessero nel calcio squalificherebbero il campo, ma da noi il ‘campo’ non c’è e quindi? Bisognerebbe che la Fim intervenisse multando gli organizzatori (per aver consentito l’ingresso a teste di maiale che non sono arrivate da sole) e la Direzione Gara per la manifesta incompetenza/sudditanza quando cala la scure sui gesti di alcuni e dà un buffetto ad altri.

Ma la Fim non esiste più. Zerbi, che non era un santo, si incazzó abbestia per le liti Biaggi-Rossi e li obbligó alla pace. Fintissima, certo, ma testimonianza di una autorità. E vogliamo parlare di Balestre (Fia) con Senna? Gli negó la superlicenza, se ricordate. Serve polso, chi oggi fa il boss è in effetti un debole che si atteggia a potente, con sudditi asserviti perché non esistono regole per la spartizione certa del denaro.

Prima che capiate male il mio pensiero, giungo al punto.

Romano Fenati ha fatto un gesto inqualificabile, ed andava punito. Fors’anche più duramente. Ma più realisti del re il suo attuale team, la futura squadra e la Federazione italiana sono andati oltre.

Il motivo è semplice: la piazza, oggi rappresentata dai social. Perché non è vero che questa follia collettiva - insulti e peggio - sia una caratteristica del nostro tempo. Esisteva la gogna, e le impiccagioni effettuate appunto in piazza. Di che ci lamentiamo?

E’ solo un peccato accorgersi che all’orizzonte non c’è più nessuno in grado di ergersi a giudice dei tanti combattimenti - di ogni tipo - che accadono quotidianamente nel nostro sport.

Così non stupiamoci se sul ring della pista Romano Fenati tira la leva del freno a Stefano Manzi. Il giudice, oggi, è solo una presenza virtuale che prende decisioni spesso in modo non equanime. Si piega il regolamento, quando c'è, ai gusti individuali. Fatti simili vengono puniti diversamente. In modo lieve. O non puniti affatto. Questi ragazzi non avvertono l'autorità come una presenza immanente. Tant’è che nemmeno la TV a volte li scoraggia da avere atteggiamenti ‘disinvolti’.

Ai tempi era diverso: ciò che accadeva in pista non si vedeva, ma poi il fattaccio lo si scopriva ai box, quando i piloti si scontravano fisicamente, separati da amici e meccanici.

Ma già, oggi non si può. Non è bello. Non dà una buona immagine dello sport.Solo che ai tempi, poi, anche dopo le offese più feroci ci si stringeva la mano.

E coloro i quali erano attorno, vedendo il gesto, dimenticavano i rancori e dicevano: “dai, in fondo, sono bravi ragazzi”.

Ah, quelli della foto in bianco e nero sono Johnny Cecotto, Walter Villa e Michel Rougerie, a Spa, nel 1975. Non si usava la gamba in fuori ai tempi, il buon Walter, il 'reverendo' come lo chiamavamo perché aveva l'aspetto ed il carattere di un prete di campagna, stava semplicemendo dando un calcio a Johnny. Non ricordo se il venezuelano avesse all'epoca il cambio o il freno a sinistra. Ma certo colpendolo Villa lo avrebbe rallentato un bel po'. Erano al rampino della Source, a Spa-Francorchmps. Non si andava forte. Villa in quella gara arrivò terzo, ma vinse comunque il mondiale.

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