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Quando lo spettacolo danneggia lo sport

Perché è importante far rispettare le regole. E perché sul banco degli imputati deve andare, per primo, chi non assolve a questo compito

Quando lo spettacolo danneggia lo sport

Un mondo senza regole è un mondo senza controllo. E ciò che vale nella vita, vale anche nello sport, che è la ‘guerra gentile’ che deve insegnarci, fin dai primo momenti in cui la pratichiamo, come vivere.

Ovviamente in un mondo ideale non ci sarebbe bisogno di troppe regole, relative sanzioni e persone preposte a farle rispettare.

Dovremmo vivere, come diceva Immanuel Kant, secondo un ‘imperativo categorico’; "agisci soltanto secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che divenga una legge universale”.

Una utopia, naturalmente. Si può essere d’accordo con il filosofo tedesco sul fatto che ‘un atto morale è uno che sarebbe giusto per qualsiasi tipo di persona, in circostanze simili a quelle nelle quali un agente si trova nel momento di eseguirlo’.

Ma siamo uomini. Abbiamo bisogno di leggi. E di organismi che le facciano rispettare.

Non voglio, a dodici ore dai fatti di Rio Hondo entrare in alcun modo nella polemica fra Rossi e Marquez. Che si sia trattato di un incidente di gara è lapalissiano perché si è verificato durante il Gran Premio. Che non fosse evitabile è un altro discorso.

Perché la non punibilità di una collisione fra due piloti - parliamo di corse non della ricerca sul cancro - è tutta qui: era evitabile o no? La colpevolezza e dunque la punibilità, deriva tutta da questo assunto.

Ma come abbiamo detto vogliamo parlare di altre responsabilità. E di altre colpe.

Su tutte, quella di aver lasciato comunque schierare Marc Marquez in una situazione in cui il regolamento è stra-chiaro: Marquez avrebbe dovuto essere allontano dallo schieramento. Senza se e senza ma.

Nel momento in cui lo si è lasciato partire - colpa gravissima della Direzione Gara - la stessa punizione del Ride through è un nonsenso. Prima lasci fare, poi multi. Non è logico.

La partenza andava abortita e Marquez spinto fuori dal grid. Questo se le persone preposte non fossero genuflesse nei confronti di piloti come Marquez o lo stesso Rossi. Fosse capitato a Tito Rabat come sarebbe andata?

Poiché, comunque, accettiamo in un discorso di massima l’errore iniziale della DG, la pena avrebbe dovuto essere un tempo in secondi di penalizzazione.
Trenta secondi? Nel principio di non creare rischi, Marc avrebbe fatto la sua gara solitaria, per poi ritrovarsi a +30”.

E’ evidente, invece, che il Ride Through, sommato alla perdita di posizioni dopo il sorpasso azzardato su Espargarò, ha avuto l’unico effetto di mettere ancora più sotto pressione il pilota spagnolo. Non lo giustifichiamo: stiamo semplicemente prendendo atto di una realtà. Parliamo di un pilota in ‘race mode on’.

La ciliegina sulla torta, poi, sono stati gli ulteriori 30” dopo la collisione con Rossi. Perché se è stato immediatamente giudicato dalla Direzione di Gara che NON si trattava di un incidente di gara, i 30”, ulteriori, secondi di penalità cosa rappresentano?

Ci voleva, indiscutibilmente, la bandiera nera. Sennò quando la si espone?
Cosa bisogna fare per meritarsela?

Questo discorso, ahinoi, ci riporta a Sepang 2015. Indipendentemente da chi avesse iniziato cosa, l’intenzionalità, palese, di Valentino Rossi di rallentare (seppure dopo provocazioni) un avversario, fin quasi a farlo fermare, determinandone, seppur involontariamente, la caduta, avrebbe meritato una bandiera nera.

Sono le regole. Salvo poi giudicare l’intensità e l’intenzionalità della provocazione di Marquez, che avrebbe dovuto essere oggetto di un’altra investigazione ed, eventualmente, di una punizione.

Regole. Conoscerle. Farle eseguire.

Delle volte ciò che sembra un disastro per - ahimè - lo spettacolo, si risolverebbe in un male minore con la vista lunga della saggezza. Che non ci sembra di rilevare nella attuale Direzione di Gara della MotoGP.

Dunque è giusto che sia dato un ‘warning’ a Magic Marquez: qualcosa che equivalga a dirgli, non sei solo, corri in modo responsabile. Il motomondiale è una ‘guerra gentile’.

Egualmente, seppure con tutte le attenuanti del caso, bisogna riportare nel paddock la legalità per quanto riguarda le azioni dei team e/o degli altri piloti. Non si va in delegazione chiedendo ‘provvedimenti’, ci si mette la faccia facendo reclami motivati, chiedendo sanzioni in base agli articoli del codice. Capito Yamaha? Lo sappiamo che fra giapponesi vige il ‘cane non mangia cane’, ma la vogliamo smettere con questo modo di fare sotterraneo ancorché visibile? Con questo 'io voglio punire il pilota, non la Casa rivale-amica'? Non sia mai che al primo incontro ufficiale non si possa bere del Saké assieme.

La Dorna ha le sue responsabilità, certo. Ci sono molte debolezze nella sua struttura. L’Irta non dovrebbe essere pagata dagli organizzatori, ma dalla FIM. Unico organo realmente super partes. E' un po' troppo immanente nella protezione dei suoi interessi. Ma questo è insito nella sua struttura: è una società economica. Il suo mantra sono i profitti. Ma questi sono aspetti che si possono esaminare con calma, e poi ve lo vogliamo dire: probabilmente nel motomondiale c'è chi è più realista del re. Lo stesso Carmelo Ezpeleta non desidera questi appecoronamenti verso il potente di turno, sia esso un pilota od una Casa.

E’ da tempo che andiamo dicendo che questa Direzione di Gara non è all’altezza del suo compito. Va sostituita e rifondata.

Perché i danni che fa vanno ben oltre ai punti persi da Rossi od una eventuale super squalifica di Marquez. Danneggia lo sport.

 

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