È inverno, è venerdì e sono le 18:30. L’ora tremenda del rientro, l’ora dei drappi di fari rossi e bianchi srotolati in immobili code sulle strade romane, è servita. La condizione, dunque, appare alquanto insolita per trovare un concessionario di moto stracolmo di gente sino all’uscio, gonfio come le guance d’un bambino impegnato a trattenere l’aria durante una subacquea gara d’apnea. Eppure, al civico 59/60 di Piazza Pio XI, c’è.
La motivazione della strana circostanza è presto spiegata dalla locandina dell’evento affissa sulle vetrine lucide lucide dello showroom: “Venerdì 7 febbraio aperitivo con Max Biaggi. Vieni a trovarci dalle 18:30 e incontra Max dal vivo!”.
A dire il vero, dell’evento organizzato presso la nuova sede di “Che Moto!”, noi di GPOne eravamo già al corrente, non siamo di certo passati da lì condotti dalle traiettorie del caso. L’occasione di vedere “il Corsaro” svelare ad un pubblico di appassionati una delle 30 Aprilia RSV4 X Ex3ma (che qui vi avevamo minuziosamente descritto quando fu presentata tra i cordoli di Misano) prodotte in livrea celebrativa per il trentennale del mondiale vinto nel 1994 e poterci anche scambiare qualche battuta, è troppo ghiotta per lascarsela scappare.
Lo stra-partecipato riscontro del richiamo, tuttavia, suscita lo stupore chi scrive. Certo, direte voi lettori, Max Biaggi non è esattamente uno sconosciuto, tantomeno a Roma, dove rappresenta l’icona casalinga del motociclismo, e per di più i fratelli Fiorenzi - Enrico e Massimo - proprietari della filiera concessionaria in questione, è dal 2009 che sono divenuti nella Capitale un’istituzione ed un riferimento per gli affezionati a tutti i brand del gruppo Piaggio & Co: Piaggio, Vespa, Moto Guzzi e, dulcis in fundo, Aprilia.
Davanti a tre addendi di un simile peso - il sei volte Campione del Mondo, la quinta essenza del travaso di Aprilia Racing nella produzione di serie e il credito di Che Moto! – non vi è in effetti poi molto da stupirsi se la loro somma è una folla trasversale nel genere e nell’età che anziché concludere quanto prima la propria settimana lavorativa sul divano di casa scelgono un venerdì pomeriggio di inizio febbraio per ritrovarsi in piedi e stretti stretti dentro un salone di moto.
Eppure, due righe di riflessione questa calda riunione credo continui a meritarla, sì, perché, vedete, un fenomeno simile mostra quanto lo sport, in questo caso le corse di moto, rappresenti nel mondo contemporaneo una cosa culturalmente seria, perché non vi è nessun altro fenomeno sociale ancora oggi in grado di generare icone che si fissano nel tempo, durature, che resistono, cioè, contro l’effimera orda di novità a invecchiamento precoce. Simboli di passione che portano a muoversi, a viaggiare, a gioire e dannarsi, a sacrificare ore di riposo, per essere vicino a quel pilota, quella squadra o quel calciatore, che arriva a rappresentare un orizzonte di senso per tante e tante vite, per tante e tante memorie di donne e uomini.
Ma veniamo al dunque. Guardando l’aspetto di questa regina delle due ruote balza subito all’occhio un intreccio fra tempi storici lontani, gli anni ’90 della livrea (tinteggiata su un profluvio di carbonio), che evocano la tabaccaia RS250 “Perlanera” vestita Chesterfield, e le linee iper-contemporanee disegnate dalla ricerca aerodinamica, che nel motociclismo odierno è divenuta un’area di sviluppo fondamentale.
Nello specifico la RSV4 Ex3ma, oltre ad corredo tecnico di assoluta avanguardia, adotta la carena ad effetto suolo che seppur in forma ridotta sfrutta lo stesso concetto che esordì sulle indimenticabili vetture di Formula 1 degli anni ’70.
“Si, questa speciale RSV4 eredita la livrea della RS250 2t con cui nel 1994 vinsi il mio primo mondiale in Aprilia. Ma fatta salva la condivisione dell’abito, qui siamo davanti ad un oggetto completamente diverso, figlio del progresso tecnico. A quei tempi nel motociclismo l’aerodinamica era un fronte inesplorato, non c’erano le ali, né tantomeno l’effetto suolo. Queste scalanature qui - dice il romano sfiorando con l’indice della mano il bordo del gradino scolpito lungo la fiancata laterale della carena, - derivano dalla MotoGP e sono fatte apposta per far sì che una volta in curva i flussi d’aria che scivolano tra il suolo e la carena risucchino la moto verso l’asfalto. Oltre a tutta la deportanza sviluppata dalle ali specialmente a moto dritta, ora anche in piega ti senti spinto verso il basso, è una sensazione incredibile che sicuramente aiuta a sviluppare grip e di conseguenza ad andare più forte.”
Immaginando un amatore veloce che sale in sella, avendo a disposizione un po' di tempo per prenderci la mano, può questa moto qui regalare sensazioni simili a quelle di una vera moto da corsa?
“Io ho avuto l’opportunità di provare l’Extrema sulla pista di Cremona e secondo me per feeling è quanto di più vicino ci sia in commercio ad una MotoGP. Certo, permangono i distinguo del caso: la MotoGP porta ogni dettaglio all’estremo, parliamo di altri pesi, qui siamo sui 165kg rispetto ai 150kg della classe regina, in più lì si toccano vette di quasi 300cv e questa Rsv4 ne ha 230. Dunque, rimane un bel delta, ma non dobbiamo dimenticarci che nel Motomondiale parliamo di prototipi pensati e studiati appositamente per la competizioni, mentre questa è una moto stradale alla quale sono stati applicati tutti i concetti più sofisticati, dalla ventilazione per i freni all’elettronica APX made in Aprilia, che permette al pilota di personalizzare ogni singolo settaggio per ogni singola curva. Quando si è alla guida e si va in cerca della velocità potersi cucire addosso una moto a proprio piacimento offre un enorme vantaggio. E poi la bimba qui può raggiungere anche i 340Km/h, non male (ride).”
Nel corso dei trent’anni che scorrono fra questa iconica livrea celebrativa e l’epoca attuale, il motociclismo si è trasformato. Di questo cambiamento c’è qualcosa che ti ha colpito in particolar modo? Qualcosa che preferivi del passato o che magari invidi del presente?
“Diciamo che chi ha vissuto il motociclismo degli anni ’90-2000 rimpiange quelle gare in cui il corpo a corpo era più libero, dove quando te la giocavi con un avversario di pari livello potevi osare manovre limite, ricorrere alla creatività. Oggi basta una frenata troppo stretta, o troppo larga, ed immediatamente la direzione gara interviene con l’avviso “under investigation” e quando arriva al traguardo il pilota non sa se è penalizzato o meno, se da primo o secondo arriverà terzo o quarto. La dinamica che dunque si innesca nella mente del pilota è più conservativa, perché ti senti sub iudice, corri con il dubbio che un colpo magari audace, estroso – nei limiti della correttezza, si intende - possa farti retrocedere incorrere in una penalità.
Da pilota che come te ha potuto guidare la 500, la MotoGP, la Superbike e la Formula1, qual è la più grande differenza tra questi incredibili mezzi?
“Bella domanda, ci vorrebbe mezz’ora per rispondere! (ride). Allora, le moto bene o male si somigliano. Fra loro la più grande differenza che le sensazioni mi ricordano è che la 500 era una moto molto leggera - circa 130 kg – con una erogazione molto più appuntita, partivi da regimi bassi per poi avere un’esplosione brutale di potenza quando il contagiri arrivava in alto, e allora la moto si imbizzarriva, impennava, si torceva tutta… era molto difficile. Nelle moto di ora l’erogazione è molto regolare e progressiva, in più l’elettronica da una grossa mano a calmare la potenza a disposizione. Tuttavia, è la Formula1 a segnare il vero scarto. Ricordo quando la provai al Mugello. si arrivava alla staccata della San Donato e rispetto ai 150m che in moto usavo come riferimento per iniziare a frenare, con la Formula1 si staccava ai 50m. Nonostante la velocità di punta fosse la stessa che si raggiungeva in MotoGP, bisognava tenere il piede tutto giù per altri 100m, che è un abisso. All’inizio arrivavo, frenavo e mi accorgevo di averlo fatto con troppo anticipo perché la macchina ci metteva niente a fermarsi, e allora riprendevo il gas e rifrenavo più avanti. Dovetti ritarare l’occhio e tutto il mio sistema di riferimento, perché lo spazio-tempo d’arresto della Formula 1 è micidiale, imparagonabile con quello di qualsiasi altro mezzo. Poi, può sembrare una sciocchezza, ma ricordo che in auto provai fastidio a sentirmi legato dalle cinture mentre guidavo, mi sentivo in trappola”.
Ecco, il corpo. Nelle moto è a tutti gli effetti un organo della guida. Un organo che spesso voi piloti, con sacrificio, riuscite a far “lavorare” nonostante le ferite. Abbiamo la medicina, ci sono i dottori, sicuramente, ma pensi ci sia qualcosa di più che fa del pilota di moto un ‘unicum’ per quanto riguarda la gestione degli infortuni e del dolore?
“Nelle moto c’è sempre stata questa… - la ricerca della giusta parola sembra essere molto importante in questo pensiero - chiamiamola follia. Ad ogni modo quando subentra la sicurezza bisogna stare attenti. Se penso alle auto, per rimanere in campo motorsport, effettivamente non ho mai sentito parlare troppo di questo. Mentre nel motociclismo, nel passato come ora, c’è sempre stata gente che ha corso con dei chiodi, con delle viti, con delle fratture fresche. Non saprei - dice il numero 3 con l’aria di chi sembra dover trovare spiegazioni per una cosa a lui del tutto normale - credo sia passione, non solo voglia di rischiare, magari anche la voglia di non perdere punti per centrare un risultato. Anch’io una volta ho corso domenica togliendo un chiodo nella mano il sabato - “Mugello 1999” la precisissima chiamata di un tifoso dal pubblico - partivo molto dietro e arrivai secondo. Peccato all’ultima curva, dove ero primo ma mi cedette proprio il braccio della mano fratturata. Il podio non lo vidi perché quand’era il momento di salire mi sono sentito male (ride)”.
C’è nella vita di Max Biaggi una grande nostalgia, qualcosa che ora gli manca e a cui pensa da quando ha smesso di correre?
“Sai, non sono così nostalgico da avvertire in modo acuto la mancanza di qualcosa, credo che in quel caso vorrebbe dire avere dei rimorsi. Invece se guardo al passato lo faccio con il sorriso. Magari mi potrebbe mancare un Gran Premio d’Italia quando sul podio alzi la coppa e vedi lì sotto migliaia di persone che festeggiano insieme a te un successo. Quella è una cosa bellissima che non tornerà mai più, ma il fatto che sia un ricordo non ne scalfisce la bellezza”.
Noi abbiamo concluso, Max invece ne avrà ancora per un’ora abbondante, ci sono una valanga di foto per cui posare, una corte di cartoline, caschi, poster, modellini, magliette, cappellini che implorano il suo autografo.