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SBK, La storia di Bimota: dal sogno di Tamburini alla realtà con Kawasaki e Motul

VIDEO - Con l'ingegner Marconi abbiamo ripercorso la magnifica storia di Bimota, dalle prime moto assemblate a mano da Tamburini al successo di Gobert in SBK. Anche Davide Tardozzi ci ha raccontato la sua avventura che lo portò a sfiorare il titolo con la YB4

SBK, La storia di Bimota: dal sogno di Tamburini alla realtà con Kawasaki e Motul
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La storia di Bimota meritava di essere raccontata bene, quindi abbiamo chiesto all'ing. Pierluigi Marconi di parlarne con noi a margine della presentazione della stagione SBK del Team Bimota By KRT Motul, a Rimini. Con Marconi il nostro Riccardo Guglielmetti ha ripercorso tutta la storia di un marchio che ha vissuto tanti alti e bassi nella sua storia, ma ha sempre messo sul piatto un livello di eccellenza incredibile grazie alla fantasia ed all'ingegno italiani. 

Il 2025 sarà un anno da ricordare, perché segna il ritorno in SBK della Bimota con la KB998 Rimini, ma con Marconi è stato bellissimo ricordare anche la prima vittoria firmata Davide Tardozzi con la YB4. Il buon Davide a sua volta ha accettato di parlare con noi dei suoi ricordi targati Bimota e di quel titolo purtroppo solo sfiorato. 

Ingegner Marconi, parliamo della storia di Bimota. Da cosa iniziamo?
"Possiamo iniziare quasi dalle origini anche se non le conosco perfettamente, ma direi abbastanza bene. Posso dire che un giorno ero a scuola, e ad un certo punto ho sentito il rumore di una moto che si sta mettendo in moto ed era una moto con un motore Honda 750. Mi sporsi fuori e c'era una Bimota, la prima Bimota che è stata fatta daTamburini e che è stata messa in moto proprio lì nel piazzale dove io andavo a scuola. Facevo la terza media ed era una moto con ancora poche modifiche, c'erano le pedanine, c'era una carenatura diversa, una sella diversa, solo piccole cose. Dopo la Bimota da quel momento è realmente nata ed è andata avanti e ha continuato a fare sempre più cose negli anni".

Era scritto nel destino per lei!
"Direi sì, io sono  perandato da loro perché volevo fare moto, ho sempre avuto una passione viscerale per le moto e questo fatto di sentire questa moto che veniva accesa, di vederla alla finestra e poi un giorno pensare di poter andare lì a lavorare è stato veramente un sogno che si è avverato". 

Tanti pensano a Bimota ed immaginano la SBK, ma c'era altro prima. 
"Si, c'erano le moto con motori Harley-Davidson con motore Yamaha, in quei tempi le competizioni erano tutte due tempi. La Bimota fondamentalmente non esisteva, esisteva un preparatore che voleva iniziare a fare delle cose ed entrare nel mondo dei due tempi era forse la cosa più facile e al contempo più difficile, nel senso che era difficile perché ti confrontavi subito nelle competizioni con campioni del mondo. Era facile però perché erano motori abbastanza semplici, loro potevano facilmente acquistare un motore e poi cominciare a costruire la loro ciclistica e così è nato il DNA Bimota".

Hanno dimostrato subito di saperci fare. 
"Sì è stato bellissimo perché sono riusciti a far vedere che sapevano fare qualcosa, facevano dei telai che vincevano, poi quelle moto lì non si potevano vendere, erano moto solo da corsa per cui non erano un vero business, era semplicemente l'inizio della storia del marchio, dove c'erano persone che riuscivano a fare moto e telai che potevano vincere nelle competizioni. Dopo con i quattro tempi sono venute le vendite ed è nata veramente l'azienda". 

Un salto in avanti, ed un debutto da sogno in SBK. 
"È stata veramente un'esplosione perché la Bimota veniva da un periodo po' difficile, dove l'estro di Tamburini si stava un po' spegnendo. Stavano venendo fuori delle moto bellissime ma che non partecipavano alle competizioni, quindi stava un po' uscendo di scena. Ad un certo punto è arrivata la YB4 che invece era ultra competitiva, aveva un motore molto performante, il miglior Yamaha di quegli anni, e Bimota aveva fatto una ciclistica fantastica. Era il primo telaio perimetrale con una rigidezza estrema, delle bellissime sospensioni. Allora a quei tempi erano Marzocchi tutte ricavate dal pieno, stava già iniziando la storia di Bimota con le lavorazioni dal pieno. Aveva un bellissimo ammortizzatore Marzocchi col corpo in alluminio, cioè qualcosa di già molto speciale per quel periodo. E in più un'iniezione elettronica che ancora nessuno aveva, che derivava fra le altre cose dalle auto, era un'iniezione di Marelli che veniva montata sulle automobili ed era stata applicata sulla YB4". 

Quella YB4 era una moto fantastica. 
"La cosa anche interessante è che Tardozzi vinse alla grande dominando a Donington, ma il tutto sulla scia di Virginio Ferrari, che l'anno prima aveva vinto nel TT F1, con una moto ancora a carburatori, con carburatori in magnesio. Ma la moto aveva già dimostrato che era veramente velocissima. Poi Virginio di quegli anni era veramente fantastico, un pilota che stava cercando la sua consacrazione e con la Bimota l'ha trovata. Ha vinto il primo campionato TT F1, quando ancora non era Superbike, però era un bellissimo campionato". 

Un altro ricordo quasi struggente riguarda Anthony Gobert. 
"La SB8 è stata praticamente l'ultima moto che ho progettato per Bimota, perché poi c'è stata la mia uscita da Bimota in quegli anni e l'azienda ha continuato a lavorare. Sono riusciti a costituire questo team per correre nel mondiale, hanno preso un pilota eccezionale, ma veramente molto molto difficile da gestire. Però sono riusciti a fare un bellissimo campionato, ad iniziare molto bene con Gobert e quella gara a Phillip Island è stata fantastica. Erano partiti con le gomme da bagnato, le previsioni erano che forse avrebbe smesso di piovere, ma non ha smesso di piovere e quindi Gobert è riuscito a andare veramente velocissimo e a vincere. È stata un'emozione enorme perché erano anni che la Bimota non riusciva a vincere e essere ritornata nelle competizioni e riportare la vittoria è stata veramente bellissima cosa. Poi con Gobert che era un pilota veramente eclettico, stranissimo, difficilissimo, però veramente veloce".

Adesso è l'epoca di Bimota e Kawasaki assieme. Cosa significa per lei?
"Se pensi al passato, il primo telaio traliccio del mondo è stato inventato da Tamburini per la Bimota, era un telaio con tutti i elementi di una struttura complicatissima sul canotto di sterzo, che chiedeva il canotto di sterzo, bloccavo il canotto di sterzo, ed è stato veramente una pietra miliare nella filosofia di progettazione di Bimota. Su questo telaio abbiamo avuto una storia lunghissima, praticamente 50 anni, quindi lo conosciamo benissimo, conosciamo tutti i modi di muoversi, di vibrare, di torcere, conosciamo perfettamente tutto. Quando abbiamo pensato di tornare in Superbike volevamo farlo bene, cioè nel senso sfruttare la nostra esperienza, quella di Kawasaki e quella di Provec, era molto importante perché oggi la competizione della Superbike è a livelli altissimi, se non prendi il meglio di tutto non puoi fare niente di sicuro, noi abbiamo preso quella parte tecnica che conosciamo meglio, quella del telaio composito, proprio per dire immediatamente facciamo così e non sbagliamo di molto, poi dopo chiaro si fa la messa a punto". 

Ma vanno d'accordo la filosofia giapponese di Kawasaki e quella italiana di Bimota?
"Dunque noi siamo passati da diverse cose, abbiamo acquistato motori Yamaha, eravamo dei clienti di Yamaha, ci raccontava più o meno cosa facevano, noi vedevamo cosa poteva essere interessante per noi e lo acquistavamo, però acquistavamo delle cose. Acquistavamo un motore, acquistavamo un cruscotto, acquistavamo un sistema di aspirazione, queste sono delle cose che compravamo, dopo averle comprate le vedevamo, riuscivamo a capire cosa fossero e potevamo utilizzarle. Con Kawasaki è cambiato il mondo, con Kawasaki non acquistiamo delle cose, con Kawasaki acquistiamo una tecnologia, abbiamo un disegno, abbiamo delle caratteristiche, sappiamo come funziona, sappiamo come possiamo applicarlo e quindi abbiamo subito il massimo da quella tecnologia, poi dopo noi ci costruiamo attorno il resto. Il rapporto culturale è molto diverso, noi siamo fantasiosi, veloci, pazzoidi, ricordiamo un po' quel passato. Ne abbiamo anche vissute tutte, tutte le sventure, ma anche qualche cosa concreta. La fantasia alcune volte serve perché altrimenti le cose sono tutte uguali, non ci può essere progresso, quindi siamo riusciti ad unire la qualità, la metodologia giapponese con la fantasia e la velocità italiana e da collante c'è stato il team Provec, che è spagnolo, fantastico, con il carattere come gli italiani, che sanno mediare le situazioni. Quindi abbiamo fra tutti i giocatori trovato il miglior collante possibile, perché tutti e tre vogliamo vincere, tutti e tre sappiamo fare delle cose, ognuno di noi sa fare delle cose diverse e quindi come fare a non andare d'accordo, impossibile". 

Ci sono anche partner importanti come Motul. 
"Si, al tempo stesso ci sono anche diversi partner che hanno comunque creduto in questo progetto, come Motul, che ha voluto appunto rilanciare alla grande e fare sentire appunto il proprio supporto. Li vorrei ringraziare tantissimo perché credo che inizialmente tutti fossero scettici, forse gli unici a non essere scettici eravamo noi, perché ci credevamo così tanto che pensavamo che fosse impossibile che non potesse funzionare. Però vista dall'esterno come dicevi prima, un italiano, un giapponese, un inglese, un tedesco, un francese, c'è di tutto dentro il nostro team, veramente di tutto. Come fare a metterli d'accordo? Però quando ognuno di questi attori ha una professionalità, alla fine è quella che li mette d'accordo, non è la lingua, non è la cultura, è solo la professionalità che ha e il nostro bello è che le professionalità sono diverse, quindi i nostri partner tecnici ci hanno creduto e li ringrazio molto e credo che alla fine anche loro saranno soddisfatti del lavoro che potremo fare".

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