Dalla pista alla strada: è questa la filosofia Bimota, nonché l’approccio che il celebre costruttore italiano ha adottato per costruire la KB998 Rimini. La moto con cui quest’anno ritorna nel Mondiale Superbike. Una sfida ricca di ambizioni che ha cominciato a prendere forma circa un anno fa, quando “avevamo deciso che era il momento di ritornare in Superbike e abbiamo iniziato a lavorare a questo progetto” ha ricordato Pierluigi Marconi, direttore operativo di Bimota, in questa lunga chiacchierata con il nostro Riccardo Guglielmetti.
“Questo è un progetto che ci ha riportati al passato, perché noi siamo nati facendo moto da corsa che poi trasformavamo in moto stradali, apportando il minimo indispensabile di modifiche per poterle omologare”, ci ha raccontato l’ingegnere, papà di questa affascinante creatura nata dalla joint venture tra la Casa di Rimini, Kawasaki e il team Provec Racing: “Avendo la fortuna di essere supportati da una squadra fantastica come KRT, che ha già vinto sei Mondiali, e da Kawasaki, che ci ha messo a disposizione una motorizzazione e un’elettronica eccezionali, abbiamo pensato che forse era proprio il momento giusto per ricominciare a fare come in passato: iniziare a sviluppare subito la moto da corsa, per poi trasformarla in una moto stradale. In modo tale che, alla fine, l’utente si troverà ad avere veramente una moto da competizione, sviluppata da due dei migliori piloti della Superbike. Questa è stata la partenza e adesso siamo qui: abbiamo iniziato le prime prove del 2025 e, anche se il tempo non è stato fantastico, lo sviluppo sta continuando”.
Bimota guarda al futuro senza dimenticare il passato e questo si nota subito dando uno sguardo al telaio composito in alluminio e acciaio della KB998.
“È il nostro marchio di fabbrica: la nostra storia si è sviluppata attorno a questi telai. La chiave oggi sono gli pneumatici e le sospensioni, che dobbiamo sfruttare nel modo migliore e noi abbiamo deciso di costruire questa struttura composita, che conosciamo molto bene, proprio per arrivare a trovare il prima possibile le giuste rigidezze per poter dare un buon grip all’anteriore e una buona trazione al posteriore”.
In questa Superbike che si sta sviluppando sempre più velocemente, qual è l’ostacolo più grande da superare in termini di evoluzione?
“Vedo che in MotoGP stanno riducendo la cilindrata per diminuire le prestazioni, ma in Superbike credo sia impossibile farlo, perché altrimenti non ci sarebbe mercato: nessuno oggi comprerebbe una moto da 800cc di cilindrata. Per questo penso che una cosa molto importante sarebbe limitare i consumi, come la Dorna sta cercando di fare già da quest’anno. Credo sia la strada giusta, perché migliora i consumi e l’inquinamento consentendoci di mantenere la cilindrata da 1000cc. Per noi è una grande sfida, perché dobbiamo sviluppare un motore che sia nei termini di funzionamento giusti per questo”.
Questo progetto è la somma di mondi diversi che si incontrano, come l’Italia e il Giappone.
“Per me è una cosa fantastica, perché il giapponese è una persona che sfrutta tantissimo l’esperienza acquisita e ha la capacità di portare la tecnologia a un livello molto elevato e con un’affidabilità estrema. L’italiano, invece, è più fantasioso e poi c’è il team spagnolo, che ha una cultura molto simile a quella italiana ed è stato un attore fondamentale nello sviluppo di questa moto. Abbiamo formato una squadra che penso sia eccezionale, perché dal punto vista tecnico-motoristico abbiamo il Giappone, che ha la miglior tradizione in assoluto. E da quello logistico, prestazionale e ciclistico, abbiamo la fantasia europea portata da Italia e Spagna. Parte del merito di questo progetto è sicuramente della proprietà giapponese, che ci ha sempre lasciati liberi di lavorare. Ci hanno chiesto cosa volessimo fare e noi abbiamo risposto loro che avremmo potuto provare a costruire la moto, se ci avessero dato il motore, il team e l’elettronica. È così che è nato questo trittico Kawasaki-Bimota-KRT”.
Un altro aspetto che colpisce della KB998 sono le ali mobili, che ricordano molto le Formula 1 degli anni ’90.
“Queste alette variabili vanno nella direzione di aiutare sia il designer del telaio, che ha bisogno di carico per avere più trazione e più grip in frenata; sia il motorista, al quale interessa avere la minor resistenza aerodinamica possibile in accelerazione e una moto che non si impenna. Sono pensate per sfruttare al massimo sia il motore che la ciclistica, dando vantaggi dal punto di vista aerodinamico in frenata, in ingresso e a centro curva e in rettilineo. La forma si rifà a quella dell’alettone posteriore delle Formula 1 del passato per via della struttura, che deve roteare su un pivot centrale. Abbiamo fatto tutto in breve tempo ed è stato uno dei problemi più grossi per la messa in produzione del veicolo, perché dovevamo fare una moto stradale con queste alette”.
I test invernali sono stati molto incoraggianti e adesso tutti non aspettano altro che vedere quale sarà l’impatto della Bimota sul Mondiale Superbike.
“La nostra filosofia è quella di rendere la moto semplice da guidare e credo che questo sia proprio ciò che siamo riusciti a fare con la KB998. Fatto ciò, bisogna pensare alle prestazioni. Quindi credo che quest’anno saremo concentrati su questo aspetto. Però, penso che la partenza sia stata positiva”.
In questi mesi si è parlato tanto anche del nome della KB998 Rimini.
“Il nome è un’altra di quelle cose che abbiamo modificato rispetto alla Bimota tradizionale, perché siamo stati acquistati da Kawasaki, di cui non abbiamo soltanto il motore ma anche la tecnologia. Una volta, ognuna delle moto Bimota aveva un’identificazione del motore, ma oggi no. Quindi, abbiamo deciso di modificare il nome delle prossime moto e di identificarle con la cilindrata. In modo tale che l’identificazione sia più forte. Quanto a Rimini, è perché siamo a Rimini e crediamo che la cultura della città sia molto importante per il motociclismo”.
Si dice spesso che non è facile rapportarsi con i giapponesi. È così anche per voi?
“Per noi è facilissimo, perché il metodo che abbiamo instaurato con loro si fonda su delle certezze dimostrabili da entrambe le parti. Non si può partire dal presupposto che ‘so fare, quindi funziona’. Per avere certezze bisogna fare delle prove e per ogni prova che viene effettuata abbiamo un doppio controllo: quando noi facciamo qualcosa loro controllano e viceversa. Una volta disegnata la moto, ad esempio, l’abbiamo provata nella galleria del vento di Kawasaki e insieme a loro abbiamo sviluppato le soluzioni migliori per renderla veloce. Credo che questo sia il modo giusto per lavorare e che porti al risultato anche con metodologie diverse”.
Come definiresti questa Bimota in una parola?
“È un oggetto unico. Quando Lowes e Bassani sono scesi dalla moto hanno detto che avevano l’impressione di guidare la moto da gara e questo è proprio l’apice di quello che volevamo ottenere. L’hanno provata senza toccare nemmeno le sospensioni, perché era già perfetta così. Hanno girato sia sull’asciutto che sul bagnato e sono rimasti increduli per la sicurezza che dava nella guida sul bagnato. Quello di pensare di guidare una Superbike è il complimento più grande che si possa fare alla moto”.