Diciamolo senza troppi giri di parole: il team ufficiale Ducati nel 2025 parte già con una mano e mezzo sul Campionato del Mondo di MotoGP. Volendo spingere l’immaginazione a sondare i limiti più estremi della realtà, dopo la detronizzazione subita ad opera del team Pramac nel 2024, le circostanze che potrebbero ostacolare la caccia degli uomini in rosso al tris di affermazioni in quattro anni, non sono che due.
La prima è quella di un clamoroso abbaglio tecnico, alquanto improbabile dato il gap aperto da Ducati sulle case costruttrici concorrenti e, soprattutto, considerato il livello di sapienza ed esperienza accumulate sul progetto dal genio ingegneristico di Luigi Dall’Igna. Realisticamente parlando, dunque, la Ducati non dovrebbe avere troppi problemi a conservare la superiorità nei confronti di quella che ad oggi ha l’aria di essere la più minacciosa delle rivali, l’Aprilia numero 1 di Jorge Martin, il quale sarà però impegnato nel processo di adattamento ad una moto ancora da raffinare nel carattere, incostante e troppo spigoloso.
Resta solamente un secondo scenario ad inquietare i sogni di Ducati, un incubo allevato in seno, quello della potenziale lotta fratricida che potrebbe innescarsi tra le due punte di diamante schierate sotto il tetto dello stesso box: Francesco Bagnaia e Marc Marquez.
Sulle soffici montagne innevate di Madonna di Campiglio i piloti hanno svelato insieme l’abito della nuova dama, quest’anno di un rosso più intenso, fitto, come un rossetto da sera color carminio. A dispetto della sensualità evocata dalla Desmosedici, loro hanno mantenuto l’atteggiamento diplomatico già emerso nel martedì di test a Barcellona. Marquez nasconde la ferocia sportiva che lo attraversa con bagni di umiltà, contrariamente al suo temperamento in moto è entrato in punta di piedi nella squadra Factory ed elogia i pregi della guida di Bagnaia, frenata e velocità di percorrenza; il torinese, a sua volta, non vuole farsi scomporre dall’aura del nuovo arrivato, resta signore come da indole, è accogliente, ospitale, dribbla le domande scomode e riconosce al ‘vecchio’ Campione le magie nelle curve a sinistra.
La cosa fondamentale, dicono, è collaborare per lo sviluppo della GP25. La gestione del rapporto, nelle mani di Davide Tardozzi, per ora è serena. Eppure, è evidente che i due si stiano iniziando a fiutare, scegliendo di lasciar covare per vie sotterranee un conflitto che senza dubbio esploderà in pista, non appena sarà ora di strappare dal volto queste maschere samaritane e far crollare l’ordine di pace apparente. Due rivali sono necessari l’uno all’altro, rappresentano lo stimolo per migliorarsi reciprocamente, per spingere sé stessi al limite estremo delle proprie capacità, e da adesso la vicenda di uno apparterrà anche alla vicenda dell’altro.
Ma le rivalità interne, quelle intestine, hanno tratti peculiari, non a caso il greco antico aveva coniato due diversi vocaboli per distinguere il conflitto col nemico esterno, polèmos, dalla lotta fra figli della stessa patria, stasis. Il grado di intensità intrinseco alla seconda tende a radicalizzare i termini della sfida e assume un forte connotato storico-simbolico. C’è un antico e veritiero adagio che recita: “il compagno di squadra è il primo avversario”. Nel caso specifico, la riaffermazione di Bagnaia lascerebbe incompiuta la risurrezione di Marquez e un nuovo dominio di Marquez impedirebbe a Bagnaia la piena consacrazione nell’Olimpo degli indimenticabili eroi su due ruote. Ci si gioca, insomma, da compagni-rivali, una sella eterna nella storia del motociclismo.
Non è di certo la prima volta che nel Motorsport due campioni si trovino a convivere fianco a fianco. Di ‘fratelli coltelli’ se ne sono visti parecchi, su tutti ricordiamo Senna e Prost al volante della dominante McLaren impacchettata Marlboro, lo scontro che a cavallo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 scrisse fondamentali pagine di epica delle corse. Ma è nel campo delle due ruote che abbiamo deciso di trattenerci per proporvi una breve lista di antagonismi fra compagni di team. Ci siamo chiesti: mettere due galli nel pollaio è più un pericolo o un’opportunità di crescita per le case costruttrici e per i singoli? L’agonismo delle rivalità interne eleva il livello complessivo degli attori in scena o rischia, da dentro, di ‘esaurirli’ entrambi?
Fornire risposte univoche a domande di questo calibro significherebbe seguire una via semplicistica. Ma in nostro soccorso arrivano i nudi fatti ad accompagnare tramite vicende del passato lo sguardo sul futuro. Ed è un fatto che i tre casi che ripercorreremo hanno tutti lo stesso epilogo - sicuramente giunto al termine di cammini logoranti, ma vittorioso per quelle squadre che audaci hanno preferito l’attacco alla prudenza, schierando in pista due bomber anziché un’unica punta.
Procediamo in ordine cronologico: Capirossi-Harada, Loris è disposto a tutto
Il 1998 della classe di mezzo è un anno che inizia 5 anni prima. Nel 1993 Loris Capirossi è l’enfant prodige del motociclismo italiano e dopo due titoli in 125 viene promosso dalla Honda in 250, a 20 anni si gioca da favorito quella che avrebbe potuto essere la terza corona in quattro stagioni di Motomondiale. Avrebbe potuto, appunto. Sulla sua strada si interpone un binomio tutto giapponese, Tetsuyu Harada su Yamaha, che all’ultima gara, recuperando un ritardo di 10 punti in classifica, capitalizza al massimo il lungo di Capirex alla curva Bugatti del circuito di Jarama (probabilmente tradito dalle gomme) e grazie ad un passo eccezionale si aggiudica la gara che soffia al rivale il titolo in 250. Ma la storia non finisce qui.
Nel 1997, dopo due stagioni opache in 500, Loris Capirossi fa un passo indietro e dimezza la cilindrata. La moto è l’Aprilia RSV 250, il team è l’Aprilia Racing e il compagno di squadra, guarda un po', Tetsuyu Harada. I destini si rincrociano. Si arriva così al fatidico 1998, l’anno del riscatto, ma anche l’anno di uno dei finali più polemici del Motomondiale. Siamo in Argentina per l’ultima corsa in calendario. Loris comanda la classifica di 4 punti. Fino a quel momento la sua era stata una stagione magra di vittorie (solo 2), ma costruita sulla costanza di 8 podi. Esattamente opposta quella di Harada, che nonostante gli errori seppe restare in gioco grazie a 5 primi posti.
Capirex scatta dalla pole position, senonché la velocità di Valentino Rossi e qualche sbavatura di troppo lo retrocedono in terza posizione ad una manciata di curve dal traguardo, proprio dietro l’Aprilia gemella di Harada. Arriva la terzultima piega del tracciato, e con l’ultimo briciolo di speranza, nonostante i diversi metri che li separavano, Capirossi tenta una staccata disperata. Più tardi disse: “Se non ci avessi provato, non me lo sarei mai perdonato”.
L’attacco è davvero aggressivo e l’epilogo si fa inevitabile: i due entrano in contatto, Harada cade violentemente a terra, mentre l’italiano è costretto ad allungare. Con il compagno di squadra, ancora in ghiaia ad inveire contro la manovra considerata folle, Capirex riprende la pista, e taglia il traguardo in seconda posizione. Al box regna la confusione, la casa di Noale bollerà come anti-sportivo il comportamento del numero 65 e deciderà di rescindergli il contratto avviando una lunga diatriba legale, ma il risultato verrà infine convalidato dalla FIM: Loris Capirossi è Campione del Mondo per la terza volta in carriera.
Ama Superbike, Spies-Mladin: oltreoceano a gomiti larghi
L’America, le due Suzuki GSXR1000 bianche e blu del team Yoshimura, un giovane rampante e un navigato dominatore. E’ questa l’arena nella quale dal 2006 al 2008 si giocò la disputa fra Ben Spies e Mat Mladin. Se ci fermassimo davanti all’albo d’oro dell’allora Campionato AMA Superbike, in verità noteremmo un netto 3-0 inflitto dal primo al secondo, insomma, non avremmo la sensazione di trovarci al cospetto di una trama avvincente, densa di ribaltamenti e suspance, di cadute e rivincite, di corse decise all’ultimo metro. E’ vero, 2006, 2007 e 2008 furono gli anni in cui ‘Texas Terror’, dopo un breve intro di 2 stagioni con i milloni, decise di suonare l’assolo. Ben Spies fu un crack per la categoria, interrompendo il regno di Mladin, che dal 1999 al 2005, Semper fidelis al suo Gixxer, aveva imposto un dominio di 6 titoli.
Ma la lotta ci fu, e fu serratissima. Per accorgersene basta aguzzare la vista e sbirciare i punti di distacco a fine campionato: 7 nel 2006, uno nel 2007 e 5 nel 2008. Inoltre, la rivalità interna fu una vera e propria gallina dalle uova d’oro per il team Yoshimura, che siglò in tutte e 3 le stagioni il monopolio di vittorie. Fra i due non scorse mai buon sangue e se i gomiti larghi da combattimento furono una cifra stilistica di Spies, è con le parole che l’identità rustica di Mladin si fece spazio.
Ad ogni modo, ciò che resterà di questa rivalità oltreoceano, forse poco nota, come l’America verace e profonda di cui è emblema, sono i giri da cineteca che i due uomini Suzuki hanno seminato lungo i tracciati nel corso di 3 anni di gare. Per crederci basterà cercare sui vostri dispositivi le immagini della gara decisiva di Laguna Seca nel 2007 e poi gli elettrici 7 giri di Gara2 in California dell’anno seguente.
Rossi-Lorenzo: muri e trionfi in Yamaha
Le strade di Valentino Rossi e Jorge Lorenzo si incrociano nel 2008, per dare vita al più lungo dualismo intestino dell’era contemporanea. Yamaha affianca il fresco bicampione del mondo 250 al numero 46, impaurita che quest’ultimo potesse realmente cedere alle sirene della rossa di Maranello. Rossi non gradisce, considera irriconoscente la scelta dei giapponesi di mettergli accanto un pilota così forte e allora dispone che fra i due box venga innalzato il famoso ‘muro’, con l’obiettivo di impedire il travaso dei dati da un team all’altro.
Nella stagione d’esordio il ‘Por Fuera’ è velocissimo fin da subito e alla terza gara, in Portogallo, porta già a casa il primo trionfo. Tuttavia, il giovane mallorchino non ha ancora ben amalgamato impeto e controllo, e così arrivano due brutti infortuni alle caviglie che ne segneranno la stagione d’esordio, mentre Rossi si scusa per il ritardo e dopo due anni di digiuno torna sulla vetta del mondo.
L’anno successivo Lorenzo ha imparato la lezione attraverso il dolore, e si presenta maturo a sfidare il l’antagonista dell’altro lato del muro. Lo snodo cruciale della stagione arriva in un luogo ed in un tempo molto precisi, l’ultima curva del circuito di Montmeló. Lorenzo prepara con un pizzico di leggerezza l’entrata in curva da leader della corsa, ma Rossi con il sorpasso più fine e visionario della sua carriera lo infila e vince il Gran Premio. Quel sorpasso è qualcosa di più di un sorpasso, Rossi si infila nella psiche dell’avversario, dove l’anno prima era stato il dolore fisico a infilarsi. Jorge accusa il colpo, c’è ancora da imparare. Al Dottore il nono mondiale.
Nel 2010 i rapporti di forza si ribaltano. Valentino è reduce da un fastidioso infortunio alla spalla e Lorenzo inizia al meglio la stagione. A Le Mans, per il terzo appuntamento, lo spagnolo mostra i muscoli e con una gara magistrale lascia prima sfogare Rossi per poi andare in scioltezza a prendersi il gradino più alto del podio. La lotta fra i due, purtroppo, viene interrotta nel secondo turno di prove libere del Mugello. Rossi fa high-side, a 180 Km/h vola in aria alle Biondetti, fratturandosi tibia e perone. Salterà 3 gare. Lorenzo le vincerà tutte e 3, prenderà il largo e a Sepang si laureerà per la prima volta Campione del Mondo di MotoGP.
2011-2012: Rossi divorzia da Yamaha e tenta la grande impresa in Ducati, ma le cose non vanno assolutamente per il verso giusto. Ridimensionato dall’esperienza sulla Rossa, nel 2013 Rossi riapproda in Yamaha non potendo che accettare la posizione di leader del nuovo/vecchio compagno. Il primo biennio scivola via senza che vi siano dissapori. Ma è una calma inquietante ed infatti la tempesta scoppia nel 2015.
Sull’anno della discordia è stato detto e scritto tutto, forse troppo. Quel vento non ha smesso di soffiare ed ancora oggi, alla soglia dei 10 anni, la divisione del tifo fra Pecco Bagnaia e Marc Marquez vive di quel riflesso dall’ombra lunga. Tuttavia, l’intenzione del nostro pezzo era quella di sondare le potenzialità degli antagonismi di casa e certamente la convivenza Rossi-Lorenzo rientra con diritto in una casistica estremamente virtuosa. Quale costruttore scambierebbe mai 4 titoli mondiali per evitare di affrontare una grande burrasca? Insomma, a guardare la storia, la scelta della Ducati potrebbe essere un rischio, ma molto ben calcolato.