I riflettori sono puntati sulla pista con i piloti protagonisti a colpi di staccate, incroci, sorpassi e molto altro. Dietro le quinte però c’è un mondo che spesso non si vede, rappresentato da coloro che dedicano il loro impegno a servizio della moto affinché non ci siano intoppi.
Stiamo parlando ovviamente dei meccanici, che trascorrono il loro weekend di gara tra olio, benzina, bulloni, cacciaviti e molto altro. Nel paddock della Superbike ne conosciamo diversi e tra questi compare Daniele Cafaro, capomeccanico di Andrea Iannone nel team Go Eleven. Fiorentino di nascita, persona verace e al tempo stesso ironico e divertente, che non lesina certo alla battuta.
Assieme a lui abbiamo condiviso questa chiacchierata: Daniele ci ha portato nel box del team piemontese, svelandoci tutti i retroscena di un mondo che spesso poco si vede e si conosce dall’esterno.
“La mia storia inizia circa 20 anni fa, dopo le scuole medie – ha esordito - partecipai infatti a un corso di meccanica a Pesaro, che selezionava 20 persone su 100 partecipanti . Da lì parte la mia avventura tra Endurance, lavorando anche con Mauro Noccioli, che per me era un idolo. Poi andai in Velmotor, dove approdai in SSP, in seguito RMU, poi Stirpe nell’Europeo fino ad arrivare a Go Eleven”.
Cafaro, come viene gestito il vostro lavoro in pista?
“La cosa fondamentale nel nostro lavoro è l’organizzazione nel corso dell’inverno, perché in questo modo eviti di essere di corsa dovendo poi fare le nottate. In linea di massima il mercoledì prepari la struttura, il giovedì le moto per il weekend, in seguito il venerdì fai gli ultimi controlli per poi arrivare al primo turno di libere. Da lì parte poi il fine settimana di gara. A mio avviso nel mondo della corse la cosa importante è la pulizia. Magari può essere noiosa, ma capisci subito lo stato del materiale con cui lavori”.
A volte tocca anche fare le nottate…
“Assolutamente sì, infatti qualche volta abbiamo fatto after (sorride), soprattutto in passato. Diciamo che l’Endurance mi ha aiutato ad avere il ritmo”.
Qual è l’aspetto che più apprezzi del tuo lavoro e quello che più fatichi a digerire?
“La cosa fondamentale è che la moto non si fermi, evitando quindi che debba portarla al box il carro attrezzi. La cosa più noiosa sono invece i test, perché nell’arco di una giornata devi fare tante cose e in modo ripetuto. Magari provi la moto alta, poi bassa, poi lunga, poi corta. A volte capita che non hai mai uno stacco”.
Come funziona il vostro lavoro?
“Quando il pilota rientra al box lui parla col capotecnico e quest’ultimo si interfaccia direttamente con me per chiedermi di intervenire sulla moto in base alle indicazioni ricevue. Se invece ci sono delle modifiche a pedana o manubrio, quello è il pilota a dirlo direttamente a me. In seguito il lavoro viene organizzato”.
Quale pensi sia la chiave del vostro impegno in pista?
“Direi la gestione e la preparazione, anche se a volte c’è l’imprevisto con cui dover fare i conti. Noi però giochiamo sempre d’anticipo, infatti gli attrezzi sono già tutti suddivisi e i pezzi montati, perché tutto il lavoro svolto prima ti consente poi di essere efficace”.
Nel mondo delle corse il meccanico non può sbagliare. È vero?
“Il meccanico non dovrebbe mai sbagliare, diciamo così… È un po’ come il portiere nel calcio: se il meccanico sbaglia la moto si ferma e se il portiere commette un errore prende gol. Ovviamente nel corso dell’inverno studiamo la moto e col team ci ritroviamo spesso, proprio per evitare che subentrino problematiche. L’aspetto fondamentale è comunque l’amalgama, perché ogni componente del team conosce pregi e difetti dell’altro e di conseguenza questo aiuta a vicenda”.
Quest’anno è arrivato Iannone nel box. Che tipo di pilota è?
“Lavorare con un pilota come Andrea è stimolante e di conseguenza alza il livello. Sai di avere un pilota top, che ha richieste importanti, di conseguenza ci ha fatto crescere molto, vista anche la sua esperienza maturata in precedenza in team Factory. Ovviamente c’era tanta attesa nei nostri confronti, ma nel corso della stagione siamo riusciti a trovare unione e sinergia per aiutarci a vicenda. Penso che alla fine abbiamo fatto un ottimo lavoro senza farci vincere dalla tensione”.
Come lo definiresti il buon Andrea?
“The Maniac, ovvero il soprannome che porta. Penso che il suo essere maniacale nelle cose aiuti: forse all’inizio non capisci il perché di determinate richieste, ma poi realizzi quella che è la crescita a cui ti porta”.
Adesso puoi dircelo: cosa è successo nella Superpole Race di Phillip Island con la manopola?
“Andrea è uno che sforza tantissimo sulle manopole e ci siamo poi accorti che in pratica lui le girava. Purtroppo in quell’occasione avevamo delle manopole molto morbide, probabilmente avevamo scelto anche un dettaglio sul manubrio che si sfilava ed è andata come sapete. Di sicuro abbiamo imparato da quel weekend a non ripetere un simile errore”.
Cafaro, che tipo di consiglio daresti a un giovane che sogna di diventare meccanico nel mondo delle corse?
“Innanzitutto devi avere una passione smisurata per questo lavoro, così come la voglia di imparare e la pazienza. Durante l’anno facciamo fare degli stage ai giovani e spesso vedo troppa frenesia da parte loro. Questo lavoro però non funziona così: serve pazienza e soprattutto si parte dai lavori più umili e noiosi per formarsi”.
Parliamo di sforzo: è più quello fisico o mentale?
“I primi anni c’era tanto sforzo fisico, poi diventa mentale. Dico così perché arrivati a un certo punto il nostro diventa un lavoro di routine e di conseguenza devi essere bravo a non abbassare la soglia di concentrazione, perché è lì che poi caschi sulla buccia di banana”.
Quanto pensi sia cambiato il vostro lavoro da quando hai iniziato?
“Penso sia cambiato molto. 20 anni fa, a mio avviso, il meccanico riusciva grazie alla sua manualità a inventarsi l’escamotage per fare la differenza. Oggi invece devi essere ligio alla linea che ti dà la Casa per essere al top, di conseguenza diventi una sorta di montatore”.
photocredit: Elisa Ceschel