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Adrian Newey e l’accordo con Aston Martin: conta più l’ingegnere del pilota?

Il tecnico finirà alla corte di Lawrence Stroll, solo che la corte in questione diventerà anche un po’ sua. Nel moderno Motorsport forse non è più il pilota a contare più di ogni altra cosa

Auto - News: Adrian Newey e l’accordo con Aston Martin: conta più l’ingegnere del pilota?

Adrian Newey è un genio della Formula 1 e su questo nessuno ha dubbi. Le sue vetture hanno (quasi) sempre rappresentato il riferimento assoluto in griglia, la migliore interpretazione possibile del regolamento in vigore ed anche l’esaltazione pura di genio e fantasia al servizio delle prestazioni in pista. Quando ha annunciato di lasciare Red Bull Racing, tutti i Costruttori hanno sognato di poter annoverare Newey nel proprio organico, anche perché in F1 presto arriverà il nuovo regolamento tecnico ed avere Newey in squadra in un momento di grandi cambiamenti può rappresentare la chiave per vivere un lungo periodo di dominio.

La corsa per avere Newey ha visto coinvolte tutte le più prestigiose squadre, ed in molti pensavano che alla fine fosse la Ferrari la destinazione per Adrian. Il tecnico ha però preso una decisione diversa, e l’ha fatto perché quanto promesso da Lawrence Stroll semplicemente non poteva essere promesso degli altri. Il magnate non ha ‘solo’ ricoperto d’oro Newey, con un contratto pluriennale che secondo i ben informati lo porterà a guadagnare circa 30 milioni di dollari all’anno.

Non è stata solo offerta economica a giocare un ruolo importante, perché c’è un altro aspetto che non ha precedenti, che ha convinto Newey e si tratta della possibilità di diventare socio del Team Aston Martin. Uno scenario che sarebbe stato impossibile da realizzare in qualsiasi altra squadra, ma che Stroll ha potuto garantire al tecnico. Perché? Semplicemente perché a differenza di tutte le altre squadre dove ci sono tante teste a comandare, ma nessuno può prendere decisioni in completa autonomia, Stroll è padre padrone della squadra e può disporre di questa nel modo che ritiene più opportuno per vincere.

Un fatto che rappresenta un momento storico per tutto il Motorsport, perché per la prima volta un ingegnere entra in un team assumendo anche un ruolo attivo nella società e per di più con un ingaggio da sogno. Fino a pochi anni fa era impensabile arrivare a scenari di questo tipo, per il semplice fatto che storicamente solo i fenomeni al volante potevano sognare cifre e status di questo tipo. Ayrton Senna nel 1993 riuscì a strappare un contratto a Ron Dennis che lo vedeva percepire un milione di dollari a Gran Premio dalla McLaren, da rinnovare gara dopo gara. Ma Ayrton era Ayrton e con il suo incredibile talento, in quel 1993 targato Williams e Prost, riuscì a vincere 5 Gran Premi a bordo di una vettura molto più arretrata rispetto a quella del rivale Alain. Senza quel contratto non avremmo potuto assistere al mitico Gran Premio di Donington di quella stagione, un vero pezzo da cineteca.

Qualche anno dopo, fu Michael Schumacher a diventare l’uomo su cui puntare e Ferrari lo prese per il 1996 con un ingaggio faraonico, all’epoca si valutava in circa 40 miliardi (si, c’era ancora la lira!) all’anno. E questa non fu l’unica mossa di Ferrari, perché dopo il Kaiser, accolse in squadra anche Rory Byrne e Ross Brawn, artefici delle Benetton che avevano regalato due titoli al tedesco nel 1994 e 1995. Ma l’ingaggio di Byrne e Brawn non era neanche lontanamente paragonabile a quello di Schumacher.

Avanti veloce, si è passati attraverso varie rivoluzioni regolamentari in F1, diverse motorizzazione, l’avvento dell’ibrido, l’avvento delle Pirelli ed il ritorno delle vetture ad effetto suolo. In ogni occasione Newey ha lasciato il segno con le sue vettura, dalle McLaren di Hakkinen alle Red Bull di Vettel e poi di Verstappen. Tutti piloti fenomenali, in grado di vincere titoli su titoli. Ma a metterli in condizioni di riuscirci c’è sempre stato l’ingegnere, che con gli anni è diventato una sorta di uomo della provvidenza.

Cosa hanno in comune questo scenario in Formula 1 con quanto accaduto in MotoGP nelle ultime stagioni? Molto più di quello che si immagina, perché se in quel paddock Newey è unanimemente riconosciuto come una sorta di messia dell’ingegneria, un simile attestato di stima l’ha ricevuto in MotoGP solo Gigi Dall’Igna, l’uomo che ha fatto rinascere Ducati. Lo ha fatto con le sue idee, con la sua determinazione ed anche formando una scuola di ingegneri che l’hanno affiancato, perché dobbiamo pur sempre ricordare che Dall’Igna è a capo del progetto, ma è affiancato da tantissimi ingegneri che sviluppano le soluzioni che poi finiscono sulle Desmosedici in MotoGP e sulle Panigale in SBK.

Anche in MotoGP però il vento sta cambiando, magari più lentamente di quanto avvenuto in F1, ma in ogni caso andando in una direzione simile. KTM aveva puntato su Fabiano Sterlacchini, mentre Yamaha da questa stagione ha preso a bordo Max Bartolini. Entrambi storici uomini di Dall’Igna, entrambi scelti per far rinascere dei progetti puntando sull’ingegnere piuttosto che esclusivamente sul pilota. In Aprilia Romano Albesiano ha messo in pista un prototipo avanzatissimo ed è stato anche con l’arrivo di Massimo Rivola, ex Formula 1, che a Noale sono arrivati altri ingegneri direttamente dal Circus portando ad evoluzioni sempre più ardite dal punto di vista aerodinamico.

Perdonate il panegirico, ma serviva per far comprendere come in tutto il Motorsport la figura del pilota sia ancora importante, ma forse non fondamentale come in passato. I mezzi sono sempre più evoluti, lo vediamo sia in F1 che in MotoGP, e spesso il fenomeno al volante oppure in sella, non riesce più a fare la differenza come in passato. Per questo la figura dell’ingegnere acquista valore, dimostrando quanto sia oggi la tecnologia ed il genio a determinare vittorie e sconfitte, più che il talento puro del pilota.

C’è un colosso in MotoGP che forse ancora non ha compreso completamente questo scenario e parliamo di Honda. La Casa giapponese è l’unica che vede un organigramma tecnico quasi esclusivamente composto da ingegneri giapponesi. Lo fa perché per Honda lo sport è propedeutico allo sviluppo del prodotto di serie, infatti tanti giovani ingegneri che passano attraverso la HRC poi finiscono a diventare progettisti nell’ambito di moto e scooter di serie. Questa filosofia ha portato alcuni di loro a diventare addirittura Presidente del gigante nipponico. Però questa mentalità sta pesando come un macigno sulla competitività di Honda, che senza dubbio avrebbe bisogno del ‘suo’ Dall’Igna.

Il Motorsport è in continua evoluzione, ma la sensazione è anche che in futuro i piloti rischino di perdere importanza a favore degli ingegneri, figure che sono sempre state fondamentali ma che adesso iniziano ad essere centrali in qualsiasi progetto. Non stiamo dicendo che sia un male, ma di certo rappresenta un enorme cambiamento che sembra sempre più inevitabile. 

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