Il motomondiale ha accolto favorevolmente l’arrivo del team americano Trakhouse in MotoGP e non potrebbe essere altrimenti perché il Circus a due ruote è sempre più in cerca di internazionalità e vuole entrare nel mercato statunitense, seguendo quanto fatto dalla Formula 1. Il problema è che il motomondiale sembra un campionato italo-spagnolo se guardiamo alle nazionalità dei suoi piloti.
Le entry list per il 2023 da poco pubblicate confermano questa regola non scritta e questo vale soprattutto per la classe regina. Su 22 partenti, il prossimo anno gli spagnoli saranno ben 10 e gli italiani 6, pari rispettivamente al 45% e al 27% del totale. Sommandoli si arriva al 72%, cioè 3 piloti su 4 sono italiani o spagnoli. Le altre nazionalità rappresentate sono poca cosa: ci sono 2 francesi, un giapponese, un australiano, un sudafricano e un portoghese.
Se vogliamo fare un confronto con la Formula 1, la differenza non potrebbe essere più grande: i 20 piloti iscritti, infatti, rappresentano ben 14 nazioni diverse. Ce n’è per tutti i gusti: se Francia e Gran Bretagna sono le più numerose per partecipanti, non mancano Australia, Stati Uniti, Canada, Giappone, Olanda, Germania, Spagna, Messico, Cina, Giappone, Danimarca, Monaco. Insomma, sullo schieramento c’è buona parte del mondo.
Il motomondiale sta cercando di uscire dai suoi confini tradizionali, ma non è un caso se da quando esiste la MotoGP solo tre piloti non italiani o spagnoli hanno vinto un titolo: Casey Stoner, Fabio Quartararo (entrambi formatisi in Spagna) e Nicky Hayden (che sembra la classica eccezione che conferma la regola).
Anche nell’immediato futuro la situazione non sembra destinata a cambiare, e non solo perché sono stati due spagnoli (Pedro Acosta e Jaume Masia) a vincere i titoli nelle categoria minori. Il prossimo anno in Moto2 gli iberici occuperanno quasi la metà dello schieramento: saranno 13 su 30, il 43%. Se aggiungiamo anche i 3 italiani, si supera la metà del totale, il 53%. La stessa percentuale che raggiungeranno anche in Moto3, anche se con qualche differenza. Perché sui 26 piloti iscritti al campionato gli spagnoli saranno 9 (il 34%) e gli italiani 5 (il 19%). Facendo il totale dei piloti nelle 3 classi, italiani e spagnolo rappresentato il 60% (il 41% solo gli iberici).
C’è da dire che le due classi minori possono vantare maggiore varietà rispetto a quella regina, con 13 nazionalità rappresentate in Moto2 e 10 in Moto3, ma logicamente non è scontato che questa diversità arriverà anche in MotoGP se a vincere sono sempre gli spagnoli e gli italiani, che non hanno colpe a essere i migliori.
Dorna e FIM si sono accorti da tempo di questo problema e bisogna ammettere che si sono mosse per cercare di invertire la rott con le Talent Cup (oltre all’europea, ci sono quelle asiatiche, britanniche e quella dedicata al Nord Europa), ma soprattutto con i campionati MiniGP, che si corrono in tutto il mondo con una finalissima a Valencia, in concomitanza con l’ultimo GP della stagione. Se quest’anno la classe 190 è stata dominata dallo spagnolo Luca con gli italiani Pritelli e Savino sul podio, la 160 è stata vinta dal malese Irfan, davanti al giapponese Togashi e al tedesco Zaragoza. Per vedere i frutti di questo progetto nel motomondiale serviranno anni, ma un primo passo è stato fatto. A patto che poi si aiutino questi piloti a correre in Spagna, ancora il centro nevralgico di un campionato che vorrebbe essere mondiale.