Nella vita di ogni appassionato di motori, ci sono alcune tappe che sono quasi obbligatorie. Luoghi che hanno scritto pagine e pagine della storia del Motorsport, che conservano un fascino inarrivabile. Basta pensare alla 24 Ore di Le Mans, o alla 500 miglia di Indianapolis, al Gran Premio di Monaco.
Ma se parliamo di moto, c’è una pista che non è una pista, che dovrebbe essere la meta di chiunque. Sto parlando dell’Isola di Man, il luogo che da oltre cento anni ospita il Tourist Trophy. Le immagini di questi piloti che affrontano i lunghi rettilinei circondati da case, muretti e alberi le avete viste tutte. Ma lo schermo della TV, del PC o del telefono non possono farvi percepire tutto quello che si prova nell’istante in cui siete ai piedi del Grandstand ed osservate quell’edificio che rappresenta il centro dell’universo per due settimane.
Il paddock è un mix di strutture moderne ed altre che potrei definire ‘vintage’, ci sono squadre super organizzate che di solito corrono nel BSB e poi ci sono tanti piloti che passano un’intero anno a progettare di poter correre al TT e lo fanno al massimo delle proprie possibilità. Passeggiando tra le tende, i van e tutto il microcosmo che rappresenta il Paddock, si respira un’atmosfera diversa, unica.
Di adrenalina ovviamente ce n’è tantissima, le giornate sono scandite dal rumore dei motori, dalle poderose SBK alle leggere Supertwin, passando per i Sidecar. Ma per quanto qui si tratti pur sempre di una gara in cui ognuno vuole vincere, ci metti poco a capire che ogni singola cosa è diversa. Sei al cospetto di una grande famiglia, perché i road Racers sono esattamente questo. Si spostano assieme, si aiutano quando una moto ha un problema. I piloti privati vanno a chiedere aiuto alle strutture ufficiali e loro rispondono presente.
Hai una BMW e ti serve una pedana? Basta andare dai ragazzi di FHO Racing, quelli che fanno correre un certo Peter Hickman, e loro sono pronti ad aiutare. Non sono leggende metropolitane, ma pura verità che ho potuto testimoniare con i miei occhi. Tutto si costruisce per quel momento in cui il commissario batte la pacca sulla spalla del pilota e gli spalanca la strada verso Bray Hill, la feroce compressione che segue il rettilineo di partenza. Ma non si tratta solo di vincere o perdere, non si tratta solo di fare l’ennesimo record.
Già essere lì, semplicemente in griglia, è pura gioia per chi ha magari sognato per una vita intera quel momento. Sappiamo tutti che il conto da pagare è potenzialmente altissimo, ma la paura lascia subito spazio all’adrenalina pura. Ti si chiude lo stomaco mentre sei a Quarter Bridge e vedi i piloti arrivare fortissimo, staccare come se fossero in pista (ma a pochi cm dal muro esterno) e poi spalancare il gas in uscita, sotto l’applauso di un pubblico che è in estasi per ognuno di questi piloti. Vedi i piloti allontanarsi, sotto la spinta di cavalli che forse sono anche troppi, ma godi nell’osservarli mentre domano l’anteriore che cerca di puntare il cielo ad ogni dosso.
Nel paddock la giornata scorre tranquilla tra una sessione di prove e l’altra, tra una gara e l’altra. Rivalità ovviamente ne vediamo tanta tra i piloti, nessuno vuole perdere. Ma la sera se giri per Douglas, che è una meravigliosa cittadina di mare, puoi entrare in un pub e vedere Hickman e Dunlop che stanno bevendo birra assieme, dopo essersi sfidati a medie superiori ai 220 km/h nel Senior TT. La passione dovrebbe fare questo, unire e non dividere. Si fa il tifo per tutti, non c’è un singolo idolo, ma un manipolo di fortunati che stanno coronando il proprio sogno e che alimentano i sogni di tutti i fortunati che sono lì ad osservarli.
Allora ti viene voglia di farlo questo giro, di vivere il percorso di oltre 60 km del TT. E invece di pensare ad imitarli, scopri un’isola che è meravigliosa. Paesaggi da Irlanda, scogliere a picco sul mare, verde rigoglioso. Passi dalla lucida follia di correre a 300 km/h tra le case, ad una stradina stretta che costeggia la montagna, con un muretto bianco che ti divide da un corso d’acqua placido. Animali in libertà, un mulino stagliato sullo sfondo. Neanche Tolkien l’avrebbe saputa immaginare così bella. Sali verso la montagna, la strada diventa a senso unico e senza limiti di velocità. Ti lasci prendere dalla foga e magari esageri, ma poi ricordi di non essere John McGuinness ed abbassi il ritmo, ti godi solo un percorso che è meraviglioso. Non è una pista, non è stata disegnata da Tilke. Ci ha pensato madre natura ad offrire gli spazi per disegnare un nastro d’asfalto che bacia la montagna senza invaderla troppo. Ti senti ospite di un luogo che non è fatto per te, ma che ti accoglie ugualmente a braccia aperte.
Arrivi in alto e vedi tante moto vicine e capisci di essere lì. Al Victory Cafè, che non è semplicemente un baretto di montagna, ma il luogo che accoglie e custodisce la statua di Joey Dunlop, il Re della Montagna. Provi tanta emozione, hai visto le immagini di questo mito che affronta il TT in sella alla sua Honda, con un casco giallo a righe nere. Sai tutto di lui, sai quanto ha vinto. Ma poi c’è un bambino con il papà che si avvicina, ha gli occhi che brillano. Non ha mai visto Joey in azione, ma evidentemente suo padre gli ha raccontato tutto. Vedo questa scena e penso che c’è speranza per questo motociclismo che non soccombe sotto gli attacchi dell’esigenze commerciali, degli sponsor, di un sistema che inaridisce il cuore.
Di cuore al TT ce n’è troppo per poterlo rinchiudere, appassionati vengono qui da tutto il mondo. Ovunque tu sia in giro per l’Isola, senti parlare lingue diverse, vedi moto di ogni genere parcheggiate ovunque. Vedi un simpatico vecchietto che con due birre in mano si fa spazio tra la folla ed arriva in un punto in cui l’aspetta sua moglie, che è lì. E’ disabile, costretta su una sedia e di certo non sarà stato facile per lei arrivare qui e restare ferma ore per vedere passare questi piloti che sono alla fine il centro di tutto. Ma loro due sono lì, si gustano la birra assieme. Forse sono troppo romantico o forse lo sono loro due, non lo so. Ma io una scena del genere non l’ho mai vista in nessun paddock e mi viene la pelle d’oca.
Quando dopo aver visto le gare del giorno torni nel paddock la sera, c’è ancora tanta luce, fa buio tardi, siamo molto a nord e i tramonti sono lunghi e dolci. Dal Grandstand puoi vedere il mare in lontananza, ogni giorno è solcato da traghetti che vanno e vengono e riempiono le proprie pance di ferro con un numero di moto che non ritenevi possibile. Capisco chi critica questa gara, ma sono convinto che chiunque passi di qui almeno una volta nella vita sia destinato a cambiare per sempre il proprio punto di vista.
Se non dovesse succedere, basta citare il cartello che vi accoglie a Douglas quando scendete dal traghetto: “Benvenuti all’Isola di Man. Se c’è qualcosa delle nostre abitudini che non vi piace, c’è un traghetto che parte ogni mattina”. Nessuno legge questo cartello e torna indietro. La magia dell’Isola è questa e ringrazio davvero di cuore di averla assaporata di nuovo. C’ero stato nel 2013, esattamente dieci anni fa ed ero stato fortunato. Meteo perfetto, compagnia perfetta. Un ricordo sacro per me, che quasi temevo di rovinare.
Ma ho capito che questo non accadrà mai, perché ogni volta che vieni al Tourist Trophy, provi qualcosa di unico e semplicemente ti viene voglia di tornarci quanto prima. Ci vediamo presto.