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MotoGP, Biaggi: “Io e Rossi due cretini, abbiamo fatto il gioco dei giornalisti”

VIDEO - Max ricorda il suo debutto in 500: “Il mio record a Suzuka? Non è come quello di Saarinen. Il presidente di HRC mi promise di sostenermi, ma poi si rimangiò la parola data”

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Sono passati 25 anni da quel 05 aprile del 1998 in cui Max Biaggi ha fatto il suo debutto in 500 con la Honda privata del team Kanemoto. Il giorno perfetto del quattro volte Campione del Mondo della 250cc, che nel suo weekend d’esordio a Suzuka ha centrato pole position, giro veloce e prima vittoria in Top Class. Un record assoluto, nonché uno dei momenti simbolo della sua carriera, che il Corsaro ha ricordato con noi nell’ultima puntata del nostro Bar Sport (che potete guardare integralmente qui sopra). Un mix di aneddoti, curiosità e considerazioni, che si è aperto con il ricordo dell’incidente, proprio a Suzuka, in cui Max corse con una spalla lussata.

“Era il 1997. Era la seconda gara del campionato dopo la Malesia, che vinsi su Harada al debutto con la Honda. L’Aprilia rimaneva la moto da battere, perché noi eravamo più carenti di motore e di potenza. La storia simpatica è che i giapponesi avevano bisogno di un po’ più di potenza per Suzuka, che era una pista un po’ più veloce e in quelle due settimane avevano fatto dei cilindri differenti, che mi avevano dato da provare il venerdì del Gran Premio - ci ha raccontato Biaggi - Alla mattina feci il rodaggio, i soliti cinque giri, poi feci tre curve e quando chiusi il gas in quarta marcia, la ruota si bloccò e venni lanciato. Mi ero rotto la spalla, che era uscita di sede, ma la voglia era talmente tanta che in Clinica Mobile dissi a Claudio Costa che volevo correre. Mi fece la visita e mi disse: ‘Max tu vuoi correre? E io ti faccio correre’. Mi fece una fasciatura e corsi con la spalla fuori sede. Sabato provai a fare qualche giro, ma partii in penultima fila perché era complicato e faceva un male cane. La domenica c’era un medico che mi fece un’iniezione. Montai in moto come se non avessi quasi niente e chiusi 7° in volata. Fu un bel recupero e quei punti mi valsero il Mondiale”.

Come vedi il fatto che adesso i piloti non rientrano più così?
“Sono tempi diversi. Basta pensare che adesso, come metti il naso fuori dalla carenatura e guardi quello che ti sta accanto sul rettilineo esce la scritta ‘under investigation’. Non era così una volta. Una volta era un po’ più genuino. Adesso, va bene la sicurezza, ma la tua interpretazione di quel momento di gara è sempre in mano a qualcun altro. Sono periodi diversi, dove anche la tecnologia sta prendendo il sopravvento. Io sono che sicuro che se prendessi l’ingegnere capo di un’azienda e guardassi nel suo subconscio il suo sogno sarebbe di fare una vettura da corsa senza il pilota”.

La MotoGP, con tutta l’elettronica, ci sta un po’ arrivando. Quando tu sei salito per la prima volta sulla 500 in Australia di elettronica ce n’era davvero poca. Non comandava l’ingegnere.
“Il mio primo approccio con la 500 in Australia fu un test preparato alla meno peggio, giusto per capire di che roba si trattava. Aveva una potenza pazzesca, il peso ridotto e provarla a Phillip Island, con quel rettilineo lungo, quando metti la terza e scollini sembra di decollare, perché andavano veramente forti. È vero che prima la gestione del tuo destino era più in mano al pilota, ma è pur vero che nei paddock della 500 trovavi più piloti ingessati o infortunati che sani in moto. Nella storia della 500, difficilmente un Top rider si faceva tutta una stagione senza un infortunio. Però se la 500 era la classe regina ed era proibitiva per tutti, adesso, con i nuovi regolamenti, i motori 4T, l’elettronica e le ali, è vero che è diventata più semplice, ma abbiamo anche più piloti sullo schieramento”. 

Adesso la classe regina non sembra più così irraggiungibile come prima. Tu che impressione hai avuto quando sei salito per la prima volta sulla 500?
“Io volevo salire sulla 500 senza troppa fretta, infatti mi sono voluto riconfermare nella classe di mezzo per più anni, perché era la classe più combattuta, era molto bella e divertente, anche se non era la classe regina. Alla fine, nel 1998, passai alla Honda. Avevo già vinto il Mondiale l’anno prima in 250 e scegliere la Honda è stato quasi obbligatorio, perché era la moto migliore in quel periodo. Quando l’ho provata a Phillip Island, oltre a essere stato emozionante è stato anche sconvolgente per tutta la potenza che aveva a tutti i regimi rispetto alla 250. Io mi sono trovato subito bene con il motore Big Bang, ma per andarci forte ho dovuto capire qual’era la tecnica migliore, che in Australia non avevo ancora trovato. I due giorni di test prima del GP del Giappone mi sono serviti per incontrare i miei rivali, ma anche perché Suzuka con la 500 è un’altra cosa. Andò particolarmente bene ed Erv mi mise a mio agio sulla moto. Avevo delle esigenze un po’ diverse da quelle di Doohan, che era il campione in carica. Andammo via dai test con il primo tempo, ma l’incognita era la gomma soft. Nel 1997 avevo un grosso problema di chattering all’anteriore, mentre in 500 non esisteva e per me era come essere al Luna Park”.

Fino a Suzuka 1998, solo Jarno Sarineen era stato capace di vincere all’esordio. Ma tu facesti anche di più.
“Feci la pole, il giro veloce e vinsi la gara, dunque, se uno vuole essere puntiglioso, non avendo fatto la pole, non ha fatto il trittico. Il mio record è diverso dal suo”.

Cosa ti aveva promesso la Honda?
“Prima che iniziasse tutto a Suzuka c’era il Welcome Party con i piloti, il presidente Honda e di HRC. Durante la festa, chiesi al presidente di allora se la Honda avesse aiutato i piloti satellite, nel caso in cui fossero stati davanti in classifica e lui mi disse:‘se un pilota privato Honda sta davanti a quelli ufficiali, la Honda ti sostiene’. A metà campionato ero in testa al Mondiale e mi ero reso conto che Doohan e Crivillé avevano il motore screamer. Contattai il presidente per ricordargli la chiacchierata e mi disse che avevo frainteso. Non arrivarono le sospensioni, il motore, né niente e io a quel punto rimasi stupito, perché mai avrei pensato che la prima persona di HRC facesse un passo indietro”.  

Cosa hai pensato quando ti hanno dato la bandiera nera a Barcellona?
“Io ero talmente in buona fede che nella curva dopo il sorpasso, avevo già perso la posizione, ma non è valso a niente. Ci hanno messo tanto a darmi il ride trough, perché era già quasi fine gara. Non mi sono fermato perché volevo essere il vincitore morale di quella corsa. Qundo sono rientrato c’erano delusione e rabbia, perché con quella squalifica persi la possibilità di vincere il Mondiale”.

Anche Valentino ha perso un Mondiale nel 2015 in situazioni strane...
Nel 2015 non si è trattato di una bandiera... L'ho detto un mese fa: siamo stati dei cretini. Io e Rossi avevamo la lente d'ingrandimento sempre puntata e abbiamo fatto il gioco dell'avversario. Non Rossi di Biaggi o Biaggi di Rossi, ma dei giornalisti.

La vostra era una rivalità comunque sana, nonostante qualche episodio al limite. Come quando sei passato molto vicino a Valentino a Donington.
Le gare finiscono dopo la bandiera a scacchi. Lui non aveva passato la bandiera a scacchi. La gara andava prima finita. Io stavo finendo la mia gara.

Ma cosa è successo in quell'uscita di curva tra te e Valentino a Suzuka? Cosa voleva fare?
Lui mi voleva sorpassare e ha provato all'esterno, perché io ero all'interno. Quella è la curva che immette sul rettilineo d'arrivo ed è una curva lunga. Tu sai che se uno ti sta dietro, a metà rettilineo ti supera con la scia, ma lui voleva passarmi in quel punto. Ovviamente io ho allargato la traiettoria perché non volevo farmi passare. Ma lui ha insistito, finché io non ho allargato il gomito per fargli capire che ero lì. Lui voleva passarmi all'estero, però lì non si può passare. Quando Agostini si espresse su questa vicenda disse che lì non si poteva passare. Non aveva senso ed era anche pericoloso. Poi, se tu sei davanti, sei tu che detti la linea. Se vai verso l'esterno, l'altro pilota alleggerisce l'acceleratore e rientra.


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