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Picco: “Si chiama ancora Dakar, ma è cambiato tutto”

Roadbook digitali, un bivacco a 5 stelle e un nuovo limite di velocità fissato a 160 km/h: ecco come è la 29esima Dakar del 67enne vicentino, che affronta la sfida con il team Fantic e la Racing Coordinator, Milena Koerner

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Il prologo di oggi ha ufficialmente dato inizio alla 45esima edizione della Dakar, che vede al via anche l’inossidabile Franco Picco, intervenuto nel nostro “Bar Sport” insieme alla Racing Coordinator Fantic, Milena Koerner. La prima esperienza nel deserto della manager di origine tedesca e la 29esima partecipazione del 67enne vicentino al Rally Raid più celebre del mondo. “Per me è bello ritrovarmi con tanti amici, ma mi chiedono tutti: ‘cosa ci fai lì alla tua età?’ Me lo sono fatto scrivere anche sulla moto: 67. Non è un numero a caso e ogni anno cambia… È questione di lavorare molto più di testa e sfruttare quello che si sa” ha commentato Picco, che ha appreso positivamente l’introduzione di un nuovo limite di velocità nella Dakar 2023.

Hanno messo il limite a 160 km/h e, con questa strumentazione, il pilota e l’organizzazione vengono avvisati da un segnale sonoro quando si tocca questa velocità. Sono modifiche per la sicurezza, per cercare di limitare gli incidenti e potrebbe anche essere una buona occasione per cercare di livellare le differenze tra le moto ufficiali e quelle standard o di serie -  ci ha spiegato il pilota veneto, al via con la Fantic XEF Rally 450 - Era già stato fatto un passaggio dalle bicilindriche alle monocilindriche limitate a 450 cc, ma le ultime 450 volano come i bicilindrici di 10-20 anni fa, quindi era inutile. Anni fa si pensava che limitando la cilindrata a 450 ci si fosse mossi verso la sicurezza, invece l’anno scorso mi sembrava di aver sentito che alcune moto ufficiali hanno toccato anche i 180 km/h. Non è mai successo un incidente a quella velocità Anche quelli mortali, secondo me, si sono verificati alle classiche velocità medie tra i 100 e i 130 km/h, dove trovi le buche o qualcosa di inaspettato. Però è comunque meglio cercare di mettere un limite anche a queste cose”. 

Tante sono le modifiche apportate nel corso degli anni per cercare di rendere più sicura la mitica maratona nel deserto, che oramai da quattro edizioni si corre interamente in Arabia Saudita. Percorsi ben diversi da quelli di un tempo, con una navigazione assistita dai roadbook digitali.

“Nelle vecchie Dakar si correva sempre su delle piste in cui capivi dov’eri guardando una cartina geografica del Nord Africa. Adesso, invece, non è permesso utilizzare nessuna cartografia ed è anche un po’ strano che ci siano degli e-book - ha chiosato Picco - L’organizzazione va alla ricerca di terreni che difficoltosi e ti ci fa transitare dovendo usare un GPS che viene fornito con i sistemi bloccati, per permetterti di vedere soltanto quel che c’è scritto nel roadbook. Se ti perdi, devi andare alla ricerca e nel caso in caso in cui tu sia smarrito, puoi chiedere lo sblocco e ti si apre la cartina. Oppure, c’è addirittura un telefono satellitare con cui puoi chiamare l’organizzazione o è l’organizzazione stessa a chiamarti, se vede che ti fermi e sei fuori rotta, perché loro ti tengono sott’occhio e ti chiamano per capire cosa è successo”. 

Tutto un altro mondo rispetto al modo in cui si affrontava un tempo la competizione:Il sistema è completamente diverso ed è sicuramente più difficile - ha ammesso Franco - Adesso ti fanno fare molte zone fuori pista, le famose ‘erbe di cammello’ o comunque dune, dove non ci sono piste e si va alla ricerca dei waypoint. L’anno scorso, su una tappa di 400-500 chilometri, bisognava trovare un centinaio di waypoint e se non li becchi o non ci passi vicino - a 90 o 100 metri, sono uno diverso dall’altro - a fine gara l’organizzazione se ne accorge e arrivano le penalità. Per questo c’è la classifica che poi viene confermata alla luce delle penalità, che possono essere dovute alla velocità, ai waypoint mancanti o all’orario di partenza o di un trasferimento. È abbastanza diverso rispetto a prima... Diciamo che della Dakar c’è solo il nome, il resto è cambiato tutto”.

Lo ha constatato anche Milena, che si era preparata per una trasferta molto più tosta di quanto non si sia rivelata fin qui: “Mi aspettavo un’organizzazione molto più spartana, invece mi sono trovata un bivacco a 5 stelle, con campi di beach volley, bocce e ping-pong. C’è una tenda per il catering da 900 posti, dove cucinano praticamente per 24 ore - ha raccontato la manager - Stanno lavorando tantissimo sulla sicurezza, perché, oltre alla linea diretta con l’organizzazione di cui ha parlato Franco, mi hanno detto anche che ci sono 12 elicotteri, per poter eventualmente recuperare qualcuno, e tre aerei che assicurano il funzionamento delle comunicazioni via radio”. Questo nasce dalla decisione di tenerci fuori per non correre rischi - ha aggiunto Picco - Hanno allestito un bivacco, che si chiama ‘Sea Camp’, a 80 km da Yanbuʿ, nel deserto, in riva al Mar Rosso. E dovendo star qui 4-5 giorni hanno messo anche dei divertimenti, come un mini supermarket, la lavanderia, la sala giochi, o il parrucchiere”. 

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