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MotoGP, Paolo Ciabatti: “L’Afghanistan, gli ordigni, Dall’Igna e la Ducati”

L’INTERVISTA – “La mia giovinezza è stata tra i cunicoli, ero l’incubo dei carabinieri. A Herat ho vissuto in un container. Nel 2013 stavamo per andare a sbattere contro un muro. A Brno dissi a Gigi: cosa aspetti a venire in Ducati? Marquez mai cercato. Iannone non firmò il rinnovo. La prossima sfida? Superare il muro del suono con l’Eurofighter”

MotoGP: Paolo Ciabatti: “L’Afghanistan, gli ordigni, Dall’Igna e la Ducati”

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Tra gli artefici del rilancio di Ducati che ha poi portato alla conquista del titolo MotoGP c’è sicuramente l’impronta di Paolo Ciabatti. La sua la si potrebbe considerare a tutti gli effetti come una sorta di doppia vita con la Casa di Borgo Panigale, visto il suo ritorno dopo l’esperienza maturata con Infront in Superbike.

In questa lunga chiacchierata condivisa abbiamo ripercorso alcune delle tappe della sua carriera, partendo dalla passione dei motori con tanti retroscena che l’hanno accompagnato durante la sua vita tra due e quattro ruote.  Con le sue parole il direttore sportivo ci svela chi realmente è Paolo Ciabatti, andando oltre le tradizionali dichiarazioni di rito durante il weekend di gara.

“In tv mi vedete che parlo spesso, ma in realtà sono una persona molto riservata, a cui piace rimanere dietro le quinte – ha esordito – ovvio che ricoprendo un ruolo bisogna assumersi le responsabilità e metterci la faccia quando serve. Sia quando le cose vanno bene, così come quando vanno male”.

Dall’esterno sei una persona dotata di grande self control. Mai una parola fuori dalle righe. È proprio così?
“Cerco di essere una persona pacata, tranquilla, che non ama le discussioni. Ovviamente anch’io mi arrabbio, ma poi se ci pensi bene ti rendi conto che non serve discutere, perché la calma aiuta a ragionare e  a capire meglio ogni cosa”. 

Paolo, da dove nasce la tua passione per le corse?
“Ci furono due eventi che mi colpirono molto: il primo fu la scomparsa di Lorenzo Bandini a Montecarlo, il secondo invece il dramma di Ignazio Giunti, morto alla 1000 Km di Buenos Aires nel 1971 dopo essersi schiantato contro la Matra di Jean Pierre Beltoise. Volevo capire di più di quelle due vicende, così mi sono avvicinato al mondo delle corse. Poi, dal lato puramente passionale, non posso certamente dimenticare le emozioni legate al trionfo di Giacomo Agostini a Daytona e alla 200 miglia di Imola”.

Tu hai anche corso…
“Certo! Prima il cross, poi i rally. Proprio i rally hanno rappresentato una delle mie più grandi passioni ed è stato magnifico cimentarsi in questa specialità. Ricordo tra l’altro la trasferta alla Targa Florio, una delle gare simbolo”. 

Nel tempo hai sempre conservato una grande ammirazione per l’aviazione e il mondo militare.
“Esatto. Il fatto è che non ho fatto il militare. Purtroppo, quando facevo cross con i cadetti, sono caduto infortunandomi al piede, tanto da rimanere tre mesi in ospedale. Avevo un piede di ferro e di conseguenza sono stato esonerato dalla leva. Quel mondo però mi ha sempre affascinato, infatti ho cercato di studiarlo e approfondirlo sui libri di storia, in particolare il periodo tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale”.     

Alle Forze dell’Ordine hai comunque cercato di dare il tuo contributo?
“Più che contributo ero la loro disperazione, una sorta di incubo. Quando eravamo in Toscana io e un mio amico ci infilavamo in questi cunicoli alla ricerca dei reperti risalenti alla guerra.  Trovavamo veramente di tutto: proiettili, ordigni, bombe e le portavamo ai Carabinieri. Loro erano disperati, perché non sapevano più cosa fare con noi, dato che alcuni di questi erano inesplosi. Diciamo che c’era un po’ di sana incoscienza. Come avete capito ammiro molto il mondo militare e mi piacerebbe tra l’altro ricordare un’esperienza”.

Quale?
“Nell’estate del 2013 sono stato in Afghanistan presso la Base di Herat, condividendo le dinamiche di vita per quasi dieci giorni con le nostre Forze Armate. Lì ho capito veramente quale fosse il loro vivere, dato che  dormivo in un container con la mia branda, una doccia un bagno e lavandino. Ho anche avuto modo di uscire dalla Base sotto scorta. È stata un esperienza indimenticabile, in particolare per il valore che rappresentano i nostri militari nelle missioni di pace nel mondo”.

Come mai non sei diventato un politico o un ministro?
“Me lo domando anch’io (scherza). Lo farò nella prossima vita, sarò un diplomatico (sorride)”.

Non abbiamo ancora parlato della Ducati. Adesso è un momento di gioia, perché giustamente c’è da festeggiare i tioli MotoGP e SBK. Dieci anni fa la storia però era ben diversa.
“Come ben sapete sono tornato in Ducati nel 2013 dopo l’esperienza con Infront in Superbike. Quello è stato certamente il momento più complicato. Ricordo il viaggio in auto da Aragon a Barcellona, dove dentro di me c’era la consapevolezza che stessimo per andare a sbattere contro un muro. Serviva una sorta di cambiamento radicale, anche perché non sapevamo nemmeno che tipo di spiegazioni darei ai vari organi di informazione. Eravamo praticamente spalle al muro e di questo ne parlai con Domenicali”.

L’arrivo di Dall’Igna si è rivelato fondamentale.
“Certamente. Ricordo ancora la gara di Brno nel 2013, quando gli dissi: “Gigi, cosa aspetti a venire in Ducati?” Alla fine è arrivato, ha dato un rinnovamento evidente e oggi festeggiamo tutti insieme i trionfi SBK e MotoGP”.

In questa tua lunga carriera in Rosso ci sono poi state anche le trattative. Domanda secca: Marquez l’avete cercato?
No! Mai cercato seriamente. Semplicemente annusati a vicenda e nulla di più. Abbiamo invece cercato Vinales, ma lui non ha voluto”.

Qual è stata la trattativa più complicata nella tua avventura a Borgo Panigale?
“Mi dispiace per l’addio prematuro di Crutchlow per andare in Honda, così come il mancato rinnovo di contratto con Iannone. Ad Andrea gli arrivò la proposta di rinnovo prima dell’incidente con Dovizioso in Argentina, ma non ci fu l’accordo e poi lui decise di andare in Suzuki”.

Come sarà la Ducati del futuro? Chi saranno i nuovi Tardozzi e Ciabatti? Ci sarà Pirro nelle vesti di team manager?
“È una bella domanda! Gli anni passano anche per me e Davide e di conseguenza ci saranno da gettare le basi per il futuro. Bisogna infatti lavorare in prospettiva con l’obiettivo di dare il meglio alla Ducati, un’azienda apprezzata in tutto il mondo. La cosa che posso dire è che continuerò a dare tutto me stesso alla Casa di Borgo Panigale fino a quando loro vorranno il mio contributo. Poi, in futuro, è inevitabile come in tutte le cose che ci sia un avvicendamento. Michele è un tuttologo di Ducati e penso che per ora voglia continuare la sua carriera da collaudatore e pilota nel CIV senza volersi fermare. In futuro chissà”

Quale sarà la prossima sfida per Paolo Ciabatti?
“Superare il muro del suono con l’Eurofighter (scherza)”

Un’ultima considerazione: non abbiamo ancora citato Bastianini e Bagnaia. Non ti offendi se per questa volta evitiamo?
“Va bene così (sorride)”.

 

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