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Ho guidato una macchina del tempo e assomigliava ad una Vespa rossa

Avevo un vespino 50 che si guidava come un carrello di un supermercato. Erano i tempi, quelli, in cui la Kawasaki 500 Mach III si era meritata un nomignolo non esaltante, ma diciamocelo: nulla che un vespista non fosse in grado di affrontare

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Avevo 17 anni circa quando, tirando sù la serranda del garage, mi apparve una Vespa 50 rossa. Non ci pensai un attimo: la tirai fuori e mi andai a fare un giro. Era un tre marce e stabile quanto un carrello del supermercato per via di un probabile precedente incidente: non andava dritta, ma c’è da dire che anche le altre Vespa non è che andassero poi meglio.

La mettemmo in dima e, sì, il telaio era un po’ storto, ma nulla che non si potesse aggiustare in quel telaio di lamiera stampata. Successivamente la Vespetta fu riverniciata, bianca e dotata di un motore leggermente più performante.

Erano i tempi, quelli, in cui la Kawasaki 500 Mach III si era meritata un nomignolo non esaltante, ma diciamocelo: nulla che un vespista non fosse in grado di affrontare.

E comunque quell’ultima dotazione di famiglia era il tentativo di mio padre, ex pilota dei tempi d’oro, di allontanarmi un po’ da quel Ducati 350 Desmo - camme, Dell’Orto da 34, scarico libero, gomme Dunlop a pera KR73 davanti e dietro (lo avevo visto fare da Mike Hailwood a Daytona e tanto bastava) - e, ovviamente, senza cavalletto centrale, che toccava in piega e sbatteva quando facevo il salto del ponte dell’Aurelia che porta a Fregene. Il mio TT in sedicesimo.

Non dissi mai, a mio padre, che ritenevo la guida di quel Vespino che superava i 100 all’ora dopo il ‘trattamento’ decisamente più impegnativa del Desmo che invece in curva seguiva la traiettoria, come si suol dire, come su un binario. Solo su una cosa i due mezzi si assomigliavano: rifiutavano sistematicamente ed istericamente di andare in moto al primo colpo della pedivella di avviamento.

La procedura era identica quando il motore si rifiutava di partire: prima dentro - con la vespa era la rotazione della manopola sulla sinistra del manubrio - e spinta disperata fino all’accensione.

Con il Desmo, tutto sommato, era un affare semplice: si dava una culata sulla sella e otto su dieci il motore prendeva, e se non prendeva la compressione ti inchiodava lì. Con il Vespino era una corsa affannosa che forse ha migliorato le mie capacità aerobiche spingendomi alla maratona. Era un corri corri corri molla la frizione culata ricorri spingi spingi spingi ecco che prende borbotta spingi spingi spingi ecco che va ecco che va ecco che va fuma fuma mortaccisua drinnnnn driiiin din din aria fresca sul viso. Porcozio devo cambiare un’altra volta la candela.

Non è che fosse un problema, eh: ne avevo sempre una di scorta nel bauletto sotto la sella che conteneva, appunto, la candela con relativa chiave, una bottiglietta di miscela e l’immancabile catena per fissarla ad un palo. Perché, anche all’epoca, le fregavano.

Tutto sommato la Vespetta ti faceva fare sport, mica come il Desmo 350 che quando non andava in moto la pedivella ti fracassava una tibia rendendoti zoppo per quindici giorni. Che fascino le due ruote di quei tempi.

Con questi precedenti, avvicinarsi alla Vespa GTS è un po’ come rincontrare una vecchia fiamma e trovarla, incredibilmente, ancora molto molto desiderabile. Una rossa affascinante nonostante l’età che ti mostra sfacciata le sue forme senza una smagliatura.

Così è naturale sfiorarle la…carrozzeria prima di saltarle sopra. Per scoprire, subito, che quel gancetto sullo scudo che ti piaceva aprire ogni volta, è ancora lì. Ed è per questo che nelle foto trovate il mio zainetto. E dove deve essere, fra le gambe. Siamo vespisti o cosa?

Naturalmente il tempo la ha cambiata - e chi non cambia il tempo? - va in moto al primo tocco dell’avviamento (ma a gas chiuso, il contrario del vespino), e la prima sensazione di guida è identica: quel ‘vuoto’ dell’avantreno che negli anni ’70 era un avvertimento e oggi invece si mantiene costante, a tutte le velocità, trasformato in pura, semplice, agilità di guida. Un miracolo.

Beh, poi c’è dell’altro ovviamente. I freni frenano. Il posteriore, che da secoli non è più a pedale puoi pestarlo fino a fare fischiare la gomma e l’anteriore è addirittura modulabile. Non va più giù l’avantreno di colpo, senza peraltro rallentare il mezzo.

Mi dicono che queste conquiste la Vespa GTS, anche quella non in rosso coraggioso, ma persino quella in beige avvolgente, le abbia fatte da anni. Mi scuserete: è difficile avvicinarsi alle vecchie fiamme, il rischio è di rimanerne delusi. Ma non è stato il caso.

Con la Vespa GTS super ci siamo fatti una gita fuoriporta piacevole, ad andature anche sostenute, senza avvertire mai quella sensazione di precarietà di contatto con il suolo che era invece tipica.

Certo, una differenza, anche grossa, fra il passato ed il presente esiste: il Vespone oggi viene comperato mediamente dai 45enni in sù, i migliori, quelli che si rifiutano di guidare un monopattino con i risvoltini, mentre il Vespino era roba da ragazzi sempre con la chiave della candela in mano.

Se volete bearvi delle descrizioni, tecniche e non, però, dovete CLICCARE QUI ed andare alla presentazione. Per me la Vespa è quello che vi ho descritto. Non ha più i difetti di un tempo, ma sicuramente non li ha da molto, ma io del resto era da molto che non ne guidavo una. Mi dicono che costi un botto, rispetto alla concorrenza che pure non esiste perché Vespa è unica, ma ditemi, cari coetanei, se riscontraste una vecchia fiamma ancora incredibilmente desiderabile, non aprireste il portafogli per regalarvi quella emozione?

 

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