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MotoGP, Lorenzo: "avessi vinto con la Ducati prima del Mugello sarei ancora in pista"

"Potrei aver fatto meglio, perché la perfezione non esiste, ma anche molto peggio. Rossi imbattibile nell'ultimo giro, Marquez ha una ambizione smisurata. Se non hai vinto molto ritirarsi è difficile"

MotoGP: Lorenzo: "avessi vinto con la Ducati prima del Mugello sarei ancora in pista"

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“Venti anni fa non avevo potuto correre le prime due gare, perché non avevo l’età. Quando arrivai qui a Jerez, saltando ancora le prove del venerdì, andai a vedere quelli che sarebbero stati i miei rivali: Poggiali, Pedrosa…erano i miei eroi. Nell’ospitalità di Sacchi mi fecero trovare una torta, poi mi accompagnarono sotto al Motor-home di Max Biaggi, che era il mio idolo. In gara arrivai 15° dietro a Marco Simoncelli e a 25 secondi dal primo, Cecchinello”.

Inizia così il racconto di Jorge Lorenzo il giorno della sua introduzione fra le ‘GP Legend’, a Jerez, sabato scorso e, naturalmente, Porfuera non manca l’occasione di pronunciare una di quelle sue frasi ad effetto che lo hanno reso un personaggio particolare nella MotoGP. C’è chi lo ha amato per la sua spontaneità e chi non lo poteva soffrire, ritenendolo un montato.

“Ho realizzato numeri che non immaginavo nella mia carriera - ha detto - tranne Rossi pochi ci sono riusciti, e sono contento: tanti sono campioni, ma non tutti i campioni sono leggende”, che è l’equivalente del ‘c’è chi può e chi non può: io può’.
 
Scherziamoci sopra per Jorge, o Giorgio o come vogliate chiamare il maiorchino: ci troviamo di fronte, comunque, ad un campione spettacolare che dice sempre ciò che pensa, anche se spesso non pensa abbastanza a ciò che dice. Ma è il suo bello. Jorge è uno 'vero'.

Quante interviste abbiamo letto nel mezzo delle quali c’era una sua frase roboante, oppure semplicemente, fuori dalle righe? Ce lo aspettiamo dai piloti, anche se, e personalmente diciamo, sfortunatamente, non sono tutti così.

L’ego è fondamentale per un pilota: ce l’avevano, ma lo esprimevano in forme diverse, Barry Sheene e Kenny Roberts. Il primo con incredibile humor e simpatia, il secondo con modi sbrigativi e scorbutici, se non era in vena. Ma erano entrambi personaggi stellari, grandissimi campioni e, al di là di tutto, bravi ragazzi. Come Giorgio.

Quando questi giganti capirono di essere particolari, unici, irripetibili? Lorenzo può dirvi il giorno: il 20 settembre del 2003.

Lorenzo: "in Brasile, dopo la mia prima vittoria, capii di poter vivere con la moto"

“In Brasile, in occasione della mia prima vittoria, sul circuito di Jacarepagua, compresi che avrei potuto fare dello sport che amavo, il mio lavoro. Che avrei potuto viverci”.

Quel giorno Giorgio batté Casey Stoner. Fu una volata tre, il terzo era Alex De Angelis, il quarto Pedrosa. Decisamente tutti piloti di razza. Il ragazzino prometteva bene.

“La persona a cui devo di più è mia madre, ma professionalmente devo tutto a mio padre, con cui poi ho avuto un problema di relazione personale. La concentrazione è sempre stato il mio punto di forza. Partire, picchiare duro, il martello, e poi continuare a guidare dolcemente, il burro. Hammer and butter. La vita è un compromesso e la moto è uno sport pericoloso. Correre in altro modo per me sarebbe stato impossibile, ma ho reso impossibile la vita a molti vicino a me, durante la mia carriera, proprio a causa della mia concentrazione totale. Il mio primo team manager è stato Zeelemberg: ho iniziato a vincere con lui. Ora che mi sono ritirato, senza pressione e potendo fare ciò che voglio del mio tempo, sono felice. Non spingo le persone al limite. Per chi non ha vinto abbastanza è difficile ritirarsi, per i campioni del mondo come me è più facile godersi la vita”.

Jorge come Max dice cose sconvenienti, a volte, ma non se ne accorge

Jorge Lorenzo al suo meglio. E’ sempre lì, nell’ultima frase che pronuncia, che ti sorprende. In questo senso ricorda molto quello che poi è diventato il suo miglior amico, Max Biaggi. Dice delle cose vere, a volte sconvenienti, ma nemmeno se ne accorge. Se ti piace, indipendentemente dal fatto che sia tuo amico o meno, lo filtri: sai che non c’è cattiveria nel suo modo di essere. Come quando dietro al suo campo, in seguito ad una frase di Claudio Domenicali, apparve la scritta, “io non sono un grande pilota, sono un campione”.

C’è dell’insicurezza in queste parole, ma anche tanta grinta.

“Valentino è stato una bestia, un gran frenatore: con lui vincere all’ultimo giro era impossibile - ricorda, e poi aggiunge con perspicacia - se non eri forte di testa con lui era un problema, ma io di problemi non ne avevo col casco in testa una volta in pista”.

Un ragionamento che fa capire cosa mancava invece al pilota che Jorge ritiene il migliore di sempre, Casey Stoner. Ma nell’abbecedario di Lorenzo alla parola fuoriclasse c’è un altro nome.

Lorenzo: "Marquez è fortissimo, un amimale, la sua ambizione è smisurata"

“Marquez è tecnicamente fortissimo ed è un animale speciale nel pilotaggio. Vuole vincere sempre. La sua ambizione è smisurata”.

Indicazioni da chiudere con un suggello: “due fuoriclasse è stato un piacere averli come avversari e batterli”.

Casey e Marc, due imperfetti a confronto con Jorge, che hanno fatto ciò che hanno fatto con quel pizzico di incoscienza, talento ed il provvisione che Lorenzo non ha mostrato sempre, ma che possedeva anche lui.

Quella volta ad Assen, nel 2013, quando mi ruppi la clavicola in prova. Non volevo perdere punti da Pedrosa, volai ad operarmi e poiché dopo l’operazione mi sentivo bene, tornai in Olanda e feci 5°. Sono stato matto, poi al Sachsenring, subito dopo, caddi e piegai la piastra che avevo nella clavicola”.

Una carriera esemplare quella del maiorchino: cinque titoli mondiali, 2 in 250 e 3 in MotoGP, 152 podi,68 vittorie, 47 nella classe regina, 69 pole, 51 secondi posti, 33 terzi. Numeri importanti.

“Potrei aver fatto meglio, perché la perfezione non esiste, ma anche molto peggio”, sottolinea ora che, come hobby, corre nella Porsche Cup. Per il momento le prestazioni non sono stratosferiche, ma anche così migliorerà perché è Jorge Lorenzo ed anche se ora è un turista la testa è sempre quella. Al matrimonio, ai figli, non pensa ma gli è già chiaro che non vorrebbe vederli correre.

“Eviterei che diventassero piloti, io ho rischiato la vita, ho avuto delle lesioni, il motociclismo è uno sport meraviglioso e guidare la moto da un piacere immenso, ma non sponsorizzerei la loro carriera”. Ammette.

Un uomo ancora giovane perfettamente integrato nella sua nuova realtà di facoltoso e vincente ex, senza rimorsi o altri desideri? Non ne siamo sicuri.

“Se avessi vinto con la Ducati prima di quel Mugello, bissando poi a Barcellona ed al Red Bull Ring forse sarei ancora in pista”.

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