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MotoGP, Charte: "non ci saranno più rientri miracolosi, qui non c'è nessun pazzo"

"Non vedremo più cose come quella di Marquez a Jerez né quella di Lorenzo ad Assen. I piloti sono umani, solo più preparati: ricordate come Maverick è caduto l'anno scorso in Austria, e si è rialzato come se nulla fosse successo?"    

MotoGP: Charte:

Il dottor Angel Charte è il nuovo angelo dei piloti, il nuovo dottorCosta, insomma. Ma è molto diverso da colui che creò la prima Clinica Mobile. Il tempo passa, la medicina migliora e cambiano anche i modi di approcciarsi ad uno sport pericoloso come il motociclismo.

La principale differenza fra Charte e Claudio Costa è che il secondo è nato nel periodo del motociclismo eroico: quello dei piloti che correvano con le clavicole e le mani rotte. O peggio. Per il dottoCosta l'imperativo categorico era far tornare in sella il pilota il prima possibile, rispondendo alle sue richieste. Charte ragiona diversamente, crediamo in seguito anche alla spinta mediatica che si genera dopo gli incidenti più gravi.

Ce lo fa conoscere Mela Chercoles in una lunghissima intervista su AS, riassunta qui, nella quale affronta tanti temi. E' parlando di fatti recenti, come gli incidenti di Lorenzo e Marquez,  che viene fuori la sua filosofia. .

“Dopo gli ultimi gravi incidenti che abbiamo avuto, compreso quello di Marc Marquez, ho incontrato il direttore generale della FIM e il dottor David MacMagnus (capo della commissione medica della FIM N.d.R.), e gli ho detto che dovevamo cambiare, e lui mi ha ascoltato. Gli ho chiesto di fare più test sui piloti quando tornano da un infortunio grave e che non è sufficiente fargli fare quattro movimenti che non portano a nulla. Abbiamo portato neurochirurghi, oculisti e traumatologi, tutti consulenti dalla nostra parte. Anche se il porta ci porta i rapporti del suo specialista, spetta comunque a noi consultare i nostri consulenti e decidere se è idoneo o meno a scendere in pista”.

La conseguenza sembrerebbe che non ci saranno più rientri miracolosamente brevi.

“No, né come quello di Marquez a Jerez né quello di Lorenzo ad Assen. Dopo Lorenzo ad Assen nel 2013, un protocollo più rigoroso era già in atto”.

Però a Marquez fu permesso di ripresentarsi a Jerez dopo solo quattro gironi da un intervento chirurgico all’omero destro.

“Marquez è un caso speciale che ha fatto scorrere fiumi d'inchiostro ovunque. Tutti hanno avuto un'opinione al riguardo. Quando Marquez è tornato dopo la prima operazione, era perfettamente in forma. I rapporti che abbiamo ricevuto erano corretti e, quando era salito in moto, era andato forte. Il tempo prudenziale era passato secondo il codice medico, i test furono fatti e Marquez fu ritenuto idoneo perché superò tutti i test. È molto facile parlare dopo l'evento. Stiamo cambiando il codice medico e ora siamo più esigenti. Poi è successo quello che è successo. Ma ora sta andando abbastanza bene e gli ultimi controlli che ha fatto con un ottimo traumatologo, il dottor Antuña, sembrano andare bene”.

Curare Marquez crea una pressione aggiuntiva?

“Marquez è un soggetto complicato e difficile perché è un personaggio. La pressione aumenta molto per il medico e poi tutti si sentono in dovere di dire la loro. Con l'ultima diplopia di Marquez, ho sentito degli oftalmologi che non l'hanno visto dare la loro opinione ed è diventato una specie di circo. Non credo che sia etico, perché non do mai la mia opinione su patologie che non tratto. Marquez sa quello che ha e conosce i rischi che corre. Il suo oftalmologo glielo ha spiegato perfettamente ed è un professionista. Quello che ha non significa che se cade avrà un'altra diplopia. Potrebbe accadere a lui, ora, tra dieci anni o mai più”.

Sostiene la teoria che i motociclisti sono atleti diversi?

“No, no. I piloti sono umani. Quello che succede è che sono preparati fin da piccoli e sanno anche come cadere. Ricordate come Maverick è caduto l'anno scorso in Austria, e si è rialzato come se nulla fosse successo? Ciò che è molto importante per i piloti, che sono spaventati come te e me, è che gestiscano perfettamente la loro paura. Sanno sempre quanto rischiare e come rischiare. Non c'è nessun pazzo qui, nessun pazzo”.

 

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