La Dakar ha osservato sabato la tradizionale giornata di riposo e allora ne abbiamo approfittato per fare due battute con uno dei grandi protagonisti di questa 44^ edizione. Stiamo parlando di Danilo Petrucci. È stato lui l’ospite del Bar Sport, in attesa di tornare in sella stamani.
Per l’occasione Petrux ci ha raccontato questa prima settimana con retroscena e racconti inediti.
“Quando ti dicono che la Dakar è dura non pensi sia così tosta, dato che alle 4 di mattina sei in moto e fa davvero molto freddo tipo 3-4 gradi – ha esordito – più o o meno questo è lo scenario con cui dobbiamo fare i conti per quasi 12 giorni. Mi stanno pure cascando i capelli (sorride). Dopo questa prima settimana non mi aspettavo di dovermi confrontare con spazi così immensi, tanto che l’altro giorno sembrava di essere sul Lago Salato e non vedevo niente in sesta piena a 167 km/h”.
Danilo, questa Dakar non è iniziata nel verso giusto. È corretto?
“Sembrava che questa Dakar fosse stregata, considerando la rottura dell’astragalo a inizio dicembre. A tal proposito, dopo un infortunio del genere, sarei dovuto rimanere fermo sei settimane, senza appoggiare il piede, invece ho fatto una corsa contro il tempo per esserci. Appena arrivato a Jeddah sono risultato positivo al tampone, diventando il primo atleta a correre col Covid. Infine c’è stato il problema al fusibile nel corso della seconda tappa. Quel giorno ho provato a fare di tutto pur di ripartire. Alla fine quando mi hanno riportato al bivacco piangevo”.
Quelle lacrime di delusione si sono poi trasformate in lacrime di gioia.
“Se non avessi fatto questa gara adesso sarei uno struzzo con la testa sotto la sabbia (scherza). Voglio però svelarvi un retroscena. Quando ho vinto il 6 gennaio l’ho scoperto per telefono. Mi trovavo in Ambasciata, perché ero andato a ritirare il passaporto dopo averlo perso nel deserto. Il fatto è che all’entrata dell’Ambasciata ho dovuto lasciare giù il mio cellulare e quando l’ho ripreso in mano all'uscita ho scoperto di aver vinto leggendo tutti i messaggi. In quel momento ero con l’autista del camper che tornavo al bivacco ed è stata la vittoria peggio festeggiata nella storia”.
Danilo, pensavi di essere subito competitivo come hai dimostrato?
“Penso di aver un buon talento nel fuoristrada, ma non mi considero un crossista da Mondiale. In una gara del genere l’esperienza la vedi sulla lunga distanza. Ad oggi penso di essere stato bravo a trovare il giusto assetto, dato che ho fatto la differenza nei tratti tecnici, grazie anche all’esperienza della MotoGP. Sulle dune invece soffro. Ricordo che l’altro giorno abbiamo attraversato una tempesta di sabbia con Sanders che mi era davanti a 20 metri e non lo vedevo. In seguito avevo dietro di me Branch e Short, i quali a fine prova mi hanno detto: “Non ce la facevamo a starti dietro”, mentre io pensavo facessero apposta per seguire la mia scia”.
Danilo, domanda secca: tra il Merzouga e una wildcard al Mugello cosa scegli?
“La seconda! Sono stato l’ultimo ad aver vinto al Mugello col pubblico sugli spalti e con Marquez al pieno della forma in pista. Quella è stata la stagione in cui Marc e la Honda erano davvero superiori alla Ducati. Detto ciò non nego che mi piacerebbe fare il Rally del Marocco come preparazione della Dakar per il 2023. Quest’anno non ho nulla da perdere, mentre i miei avversari tutto, anche perché basta un semplice errore per mandare tutto in fumo”.
Tre giorni fa hai vinto la tappa. Che sapore ha questo successo?
“Questa vittoria ha avuto un fortissimo richiamo, molto più rispetto al Mugello. Fino a poco tempo fa ero quello del miglio verde, l’uomo morto che cammina. In molti mi consigliavano di cambiare sport, ma sono riuscito a vincere, togliendomi dei massi dalle scarpe”.
Dakar vs MotoGP, cosa cambia?
“Alla Dakar ci si aiuta, si sta insieme, mentre in MotoGP il tuo compagno è il primo nemico. Qua alla Dakar sto imparando giorno dopo giorno e vorrei riprovarci il prossimo anno. La Dakar richiede grande preparazione e ieri l’ho capito ancora una volta, quando ho dovuto fare da apripista. Sono caduto e mi sono aperto un gomito. Ero incazzato con gli Organizzatori per le condizioni del terreno, dato che non siamo vacche che diventano poi bistecche. Ad un certo punto non sapevo nemmeno più dove andare e ho detto, adesso metto maps e torno indietro. Alla fine abbiamo fatto 600km per raggiungere il bivacco di Riad”.