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MotoGP, La maledizione Honda: piloti leggendari, carriere in frantumi

Da Spencer a Doohan, passando per Pedrosa, Stoner, Lorenzo e Marc Marquez. Una lista di nomi da sogno, ma tutti accomunati da una grande sfortuna in sella alle Honda

MotoGP: La maledizione Honda: piloti leggendari, carriere in frantumi

Quando si parla di sport, è difficile accettare di parlare anche di fortuna e sfortuna. Pensando al motociclismo, sarebbe bello immaginare un pilota vincere o perdere unicamente per il proprio talento, per la capacità di spremere al massimo il potenziale della propria moto o anche per la innata capacità di sfidare a viso aperto qualsiasi avversario. Ma tutti sappiamo che in ogni disciplina sportiva, c’è anche un altro elemento a scrivere la storia, con una mano nascosta che però incide profondamente sul tratto segnato dalla penna. Stiamo parlando della fortuna, della sfortuna, del fato, del destino o di come diavolo vogliamo definirlo. 

La storia dello sport è piena di episodi legati alla sfortuna o alla fortuna e pensando agli ultimi due anni di Marc Marquez, non possiamo che ritenere la dea bendata sia più bendata che mai. Quanto accaduto a Marc rischia di minacciare il futuro della sua carriera in MotoGP e di mettere profondamente in difficoltà la Honda, che nel corso della sua storia sportiva già vissuto diversi traumi legati alla fine della carriera di piloti straordinari, una sorta di maledizione che se da un lato ha portato in sella alle moto della HRC alcuni tra i più grandi interpreti del motociclismo, dall’altro ha scritto la parola fine sulle fulgide carriere degli stessi.

Freddie Spencer: un lampo di puro genio, sfumato prima del tempo

Freddie Spencer è il primo esempio che ci viene in mente. Fast Freddie arrivò nel motomondiale illuminando la scena con il proprio immenso talento e continuando dopo Kenny Roberts a costruire la leggenda dei piloti yankee. La sua guida perfetta, con uno stile pulito ed efficace, gli hanno regalato tre titoli iridati con la Honda ed un periodo d’oro tra il 1983 ed il 1985. Fu soprattutto in questa terza stagione che Freddie dipinse la propria personale Monnalisa, conquistando nello stesso anno il titolo in 250 e 500. 

Ma nel 1986 la sua luce si spense immediatamente, non come una torcia che gradualmente perde forza, ma più come una lampadina che si fulmina per uno sbalzo di tensione. Lesione alla spalla destra, mancanza di sensibilità alla mano e l’ingresso in un tunnel che lo porterà verso la fine di una carriera che pareva destinata ad essere molto più lunga. Era in pole, era in testa e prese la via del box per non tornare mai più in pista forte come prima. Le voci furono tantissime, ma la fine della competitività di Fast Freddie resterà per sempre uno dei più grandi misteri di questo sport. 

Mick Doohan: dall'incubo al sogno, per poi ricaderci

Avanti veloce e la Honda dopo essersi goduta i successi di Lawson e Gardner accoglie in squadra un australiano di nome Mick Doohan. Debutta nel 1989 dimostrando di avere talento, vince nel 1990 la sua prima gara e assurge al ruolo di top rider. Nel 1991 lotta per il titolo e sembra pronto a conquistarlo nel 1992 che inizia in modo trionfale. Vince cinque gare su sette e nelle altre due è secondo. Un dominio che però viene interrotto bruscamente dalla terribile caduta di Assen.

La sua carriera sembra finita, la maledizione Honda pare aver colpito ancora. Ma arriva un angelo custode a salvare Mick e quell’angelo si chiama Costa. Claudio Costa. Gli regala un’altra possibilità e Doohan riesce a tornare a dominare dal 1994 al 1998, diventando mito. Ma la maledizione è dietro l’angolo e nel 1999 colpisce inesorabile. Jerez il teatro, ma questa volta neanche l’angelo Costa riesce a fare il suo miracolo. Titoli di coda, la parola fine su una carriera che ha regalato tanto ad Honda e Mick, ma che forse avrebbe potuto regalare ancora di più ad entrambi. 

Dani Pedrosa: forte nello spirito, fragile nel corpo

Dalle 500 si passa alle MotoGP e dopo Valentino Rossi si cerca un erede che sembra arrivare nel 2006. Il nome è quello di Dani Pedrosa, il suo talento non ha bisogno di presentazioni, mentre il problema è che per inquadrarlo in fotografia bisogna puntare l’obiettivo un pelo troppo in basso. Dani è un fenomeno in sella, ma ha un fisico davvero minuto ed una MotoGP nel 2006 è già in grado di sputare oltre 250 cv sulla ruota posteriore, con un’elettronica ben lontana dall’efficacia di quelle disponibili oggi. Pedrosa però non demorde e dopo ogni caduta risale in sella, solo che il suo fisico minuto accusa più degli altri i colpi violenti di una caduta ad oltre 200 km/h.

Si rompe di tutto, clavicole, caviglie, polsi, ma in sella resta granitico e sfiora il titolo più volte. Ma quasi ogni stagione deve saltare dei Gran Premi a causa di un qualche infortunio e quella corona non riesce mai ad agguantarla. Non c’è un singolo episodio a rovinare la carriera di Dani, ma il mix tra una moto non sempre al top e la voglia di primeggiare lo stesso che tante volte lo porta a cadere ed a mettere a dura prova il fisico, che semplicemente non regge. E così uno dei talenti più cristallini della storia del motomondiale, non riesce a vincere un titolo in MotoGP. 

Casey Stoner: Indianapolis e Suzuka i punti di non ritorno

Nello stesso periodo di Pedrosa, in Honda arriva il fenomeno australiano per eccellenza. Casey Stoner ha portato la Ducati al trionfo nel 2007 e con il suo immenso talento è riuscito a nascondere le pecche di un progetto che si sono poi palesate nell’esatto istante in cui in sella non c’è stato più Casey. Stoner vince subito, anzi domina con la Honda.

Il 2011 è quasi una passeggiata, ma ormai la sua voglia di MotoGP si è esaurita e nel 2012 in Francia annuncia il ritiro. Ma la sfortuna è dietro l’angolo ed in particolare sul catino di Indianapolis, dove Casey si infortuna la caviglia e per i postumi di questo problema si troverà costretto a saltare tre gare e rinunciare all’idea di ritirarsi da campione del mondo, cosa che pareva ampiamente alla sua portata.

Stoner resta però vicino all’ambiente Honda, fa dei test con la MotoGP e poi si convince a tornare in gara nel 2015, ma a Suzuka, nella 8 Ore. La sua gara viene interrotta da una caduta apparentemente inspiegabile mentre stava semplicemente incantando. La spiegazione risiede in un acceleratore bloccato, proprio a Suzuka. Vecchi fantasmi si risvegliano, Stoner si rompe scapola e tibia ed abbandona definitivamente le gare a livello professionistico. 

Jorge Lorenzo: il dream team mancato e la paura della paralisi

Nell’universo Honda arriva l’alieno Marc Marquez, che domina in lungo e in largo. Ma ad Honda non basta e nel 2019 mette assieme un dream team mica da poco. Jorge Lorenzo, colui che è stato abbandonato dalla Ducati con un tempismo fantozziano, sembra poter comporre con Marc una squadra semplicemente infallibile. L’inverno non comincia male, Jorge è veloce a Jerez ma si infortuna in allenamento a gennaio e lì iniziano i guai. Non prende parte ai test in Malesia, arriva in Qatar e trova nel box una moto cucita sulle esigenze di Marquez. Lui ci prova lo stesso e cade.

Cade tante volte, ma risale sempre in sella. A Barcellona sembra aver trovato la chiave della competitività, ma si cimenta in un escursione nel bowling e ne stende tre in un colpo solo. Vinales, Rossi, Dovizioso. Mica fuffa. Ma la velocità c’è, i risultati arriveranno. E invece arriva Assen e Lorenzo conosce di nuovo la paura. Cade e si rompe una vertebra, rischia di restare paralizzato ma per fortuna la tragedia è scongiurata. Jorge però perde entusiasmo, ha paura e si vede. Decide di fermarsi pur avendo un contratto multimilionario in tasca per il 2020, titoli di coda sulla carriera di un pilota. Anzi, di un campione.

Marc Marquez: due anni terribili, la voglia di non mollare

Poco male per Honda, che decide di promuovere Alex al fianco di suo fratello Marc. Uno sarà la colonna portante, l’altro il rookie che deve crescere e imparare. Per cementare per bene le cose, HRC fa firmare un contratto a Marc fino a tutto il 2023. Blindato per quattro anni, come a dire che per gli altri ci saranno solo briciole. Ma Jerez nel 2020 decide di cambiare la storia ed inizia il lunghissimo calvario di Marc. Si rompe l’omero, ma si fa operare e dopo una settimana è già in sella.

Non ce la fa a guidare e dopo qualche giorno accade l’imponderabile. La placca inserita nel braccio si piega, Marc deve finire di nuovo sotto i ferri. Il recupero procede male, lo spagnolo non sente di fare passi avanti ed a fine 2020 decide di operarsi per la terza volta, ma questa volta non chiama in causa il dottor Mir. Le cose sembrano procedere bene e Marc torna in sella a Portimao nel 2021. Corre quasi con un braccio solo, anche perché oltre al problema all’omero c’è un altro problema alla spalla destra mai completamente risolto e che crea parecchie difficoltà a Marc in sella.

Ma lui vince lo stesso, domina al Sachsenring, si riprende Austin ed incassa sorridendo il regalo di Bagnaia a Misano. Marc è tornato e pur non essendo lo schiacciasassi visto fino al 2019, può tornare un serio rivale per il titolo nel 2022. Poi arriva la doccia ghiacciata come una Pepsi dimenticata nel freezer. Marc cade in allenamento, subisce un trauma cranico e si manifesta di nuovo la diplopia, che già l'aveva afflitto nel 2011 costringendolo a ricorrere alla chirurgia. Il nervo dell’occhio destro è lesionato, serve tempo per valutare il da farsi. 

Ma nel frattempo fa impressione volgere lo sguardo indietro e leggere questa lista di nomi che sono stati in qualche modo falciati dalla sfortuna. Ne mancano due, i più sfortunati di tutti, ma capirete da soli perché non abbiamo voluto scrivere di loro. 

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