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Suzuki RGV Gamma 250 (1993) | Perché Comprarla Classic

Con la sua bicilindrica due tempi in stile GP, Suzuki ha lasciato un segno indelebile nella storia del motociclismo, simbolo di un’epoca che non tornerà più

Suzuki RGV Gamma 250 (1993) | Perché Comprarla Classic
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A cura di Leslie Scazzola

Con il “Perché comprarla Classic” di oggi vi faremo scendere qualche lacrima. Con la Suzuki RGV Gamma 250 non parliamo solo di una moto, bensì di una categoria e una filosofia oggi, nostro malgrado, sigillate nel cassetto dei ricordi. RGV, o semplicemente “Gamma” è stata la prima moto capace di portare su strada i concetti delle vere moto da Gran Premio adatte (o meglio “adattate”) all’uso di tutti i giorni. Parliamo degli anni ’90 e nel Motomondiale si correvano le classi 125, 250 e 500 due tempi: i motociclisti si dividevano tra chi esigeva le maxi potenze, anche scapito di pesi più elevati, e chi invece ricercava la massima leggerezza e compattezza in favore di una guida più adrenalinica. In Giappone tutte le case erano impegnate in questa categoria, mentre in Italia e gran parte d’Europa la piccola Suzuki fu praticamente l’unica del suo segmento ad arrivare ufficialmente.

La storia del Gamma 250 nasce a metà degli anni ’80 con il modello RG, sorellina della nota RG 500 e dotata di un pepato bicilindrico parallelo a due tempi. La prima RGV è però datata 1988, e con il modello identificato come VJ-21 la Casa giapponese propose sul mercato una moto completamente inedita allestita attorno al nuovissimo bicilindrico a V di 90°. Nel 1991 è tempo di una grande evoluzione nella ciclistica e nel motore, con ulteriori aggiornamenti nel 1993 che hanno poi definito l’ultima evoluzione del progetto.
Quella che vi presentiamo oggi è proprio una Suzuki RGV Gamma 250 1993, sigla identificativa VJ-22. Questa è l’ultima versione a noi nota, seppure in Giappone la Casa abbia dato vita ad un ulteriore progetto denominato VJ-23 completamente inedito. Ufficialmente, però, non è mai stata importata in Europa, anche se pochi, pochissimi esemplari sembra abbiano trovato il modo di arrivare fin qui da noi.

Pregi e difetti

Compattissima, affilata, rifinita come un gioiello prezioso ma al tempo stesso non priva di alcuni dettagli un po’ spartani, proprio in funzione della derivazione da pista che non accetta compromessi. Questo e molto altro è la RGV, che grazie alle sue forme taglienti ha saputo conquistare intere generazioni di appassionati, arrivando fino ai giorni d’oggi con un fascino cristallino che sembra aver congelato lo scorrere del tempo. Il richiamo con le moto da Gran Premio degli anni che furono è immediato: telaio in alluminio bene in vista, esaltato dai tratti taglienti della carenatura che cela sì la meccanica, ma lascia anche sbirciare quel che nasconde al suo interno. E guardare nel dettaglio la RGV significa lasciarsi conquistare da un'infinità di dettagli, dagli splendidi silenziatori in alluminio lucidato che corrono paralleli sul fianco destro fino al prezioso serbatoio dalle forme sagomate. Se nell’insieme colpisce per la ricercatezza delle forme dall’altro non passano inosservate alcune chicche derivate direttamente dalle competizioni, come gli sganci rapidi dei fianchi della carena laterale, il sottile telaietto che sorregge il cupolino o ancora la pregevole fattura dei comandi al manubrio e delle leve a pedale. L’avantreno è massiccio, dominato dalla coppia di dischi da 300 mm con pinze Tokico a 4 pistoncini e dalla forcella a steli rovesciati da 41 mm dotata di regolazione del precarico molle.
La parte posteriore è caratterizzata sì dagli scarichi posti lateralmente ma anche dal robusto forcellone in alluminio con capriata superiore di irrigidimento. Il disco del freno in questo caso è da 210 mm, e lavora in sinergia con una pinza a doppio pistoncino posta inferiormente, una soluzione volta a limitare i movimenti della ruota nelle frenate più violente. L’ammortizzatore posteriore, collegato tramite leveraggio progressivo, è regolabile sia nell’idraulica che nel precarico, nonché dotato di serbatoio separato fissato sul lato sinistro del telaietto posteriore tramite due pratiche fascette metalliche. I cerchi ruota in alluminio a tre razze da 17 pollici adottano pneumatici 110/70 e 150/60.

Per quanto riguarda l’ergonomia in sella Suzuki con questa moto si è davvero superata. Pur essendo piccola e compatta nelle forme, il Gamma è capace di accogliere anche piloti di statura più elevata, e questo grazie ad una seduta dall’ampio sviluppo longitudinale e dalla posizione delle pedane, certamente alte ma non troppo arretrate. Una volta in sella colpisce poi il peso contenuto, appena 142 kg dichiarati. Per avere un parametro di confronto, la tara complessiva si discosta di poco da quella di una già leggerissima 125 sportiva di pari periodo, con circa il doppio della potenza. Una vera moto da corsa. Per il suo propulsore Suzuki sviluppò una valvola di scarico a comando elettronico denominata SAPC, acronimo di Suzuki Advance Power Control. Il sistema, posizionato in chiusura dei condotti di scarico, prevedeva due elementi a loro volta suddivisi in tre parti che scorrevano una sull’altra, capaci di parzializzare l’uscita dei flussi in modo tale da riempire e regolarizzare il rendimento del motore ai bassi e medi regimi per poi lasciarlo libero di esprimersi agli alti con una avvertibile entrata in coppia.

Con il suo bicilindrico due tempi a V di 90° Suzuki realizzò un motore estremamente compatto nelle forme, l’ideale per una moto nata e sviluppata per far sognare le vere GranPrix. Si tratta di un 249cc con V longitudinale e dotato di tutti gli elementi che hanno contraddistinto la migliore scuola duetempistica fino ad allora. Detto delle valvole di scarico, il motore vanta il raffreddamento a liquido e la miscelazione separata, con il serbatoio dell’olio che trova posto nel codino sotto la sella del passeggero. L’avviamento è rigorosamente di tipo kick start, ovvero a pedale: questa soluzione è facile pensare sia stata voluta per limitare al massimo pesi e ingombri nonché per usufruire di una batteria dei servizi di dimensioni molto compatte. La potenza massima dichiarata è di 62 CV a 11.000 giri, mentre la coppia è pari a 4 Kgm sempre allo stesso regime. La velocità massima è di circa 210 Km/h.

Questo motore nel 1994 fu scelto anche da Aprilia per la sua RS250, la replica dei modelli da GranPremio che venne prodotta fino agli inizi degli anni 2000. Un colpo alla pedalina di avviamento e ci si accorge immediatamente di come questa moto possa coinvolgere il pilota in tutti i sensi: l’immancabile nuvoletta grigia quando lo si accende a freddo, le leggere pulsazioni che trasmette e l’odore caratteristico sono bocconi prelibati per palati fini. A questo la RGV aggiunge un suono molto ovattato e civile ai bassi che però si trasforma in alto, con un sound metallico inconfondibile che arriva dritto al cuore.
Una volta in sella, il primo commento è tanto banale quanto immediato: “una bicicletta”. Una affermazione scontata per dire che una moto è agile ma è anche la prima cosa che ti viene in mente non appena rilasci la frizione e parti alla conoscenza della RGV. È imbarazzante quanto questa moto sappia essere facile, rapida e intuitiva, a dispetto della sua immagine e dei suoi numeri vicini a quelli di una vera piccola moto da corsa

Andarci a passeggio è infatti davvero immediato. Il motore è pigro in basso ma non si affoga e non rifiuta nemmeno di trottare ad andature da città, mostrando invece una discreta elasticità anche usando poco il cambio. È chiaro ed evidente però che quelle non sono le sue condizioni predilette: la RGV è una moto che vuole correre, che chiede ardentemente di essere spinta fin su sulle zone alte del contagiri per esprimersi al meglio, ed è solo qui – chiaramente - che viene fuori il vero carattere di questa moto.
L’immediatezza della ciclistica si scontra con le caratteristiche del motore, che invece deve essere interpretato, soprattutto oggi che siamo abituati alla coppia di un 4t. Se fino agli 8.000 giri infatti è tutto ben sotto controllo, passata questa soglia la botta di potenza è improvvisa e sulle prime un po’ spiazzante, vista la rapidità con cui il motore cambia carattere. La difficoltà maggiore di questa moto è proprio qui, nella capacità del pilota di mantenere costantemente il motore in range che va dagli 8000 a poco oltre gli 11.000 giri.
La moto è precisa e molto rigorosa sul veloce ma diciamo che non è facile accordare la propria guida sulla base di una ciclistica così rapida e al contempo tenere il motore al regime ideale. Bisogna giocare molto col cambio, essere precisi negli inserimenti in curva e avere cura di scegliere bene le traiettorie, così da poter riprendere in mano il gas e poter contare su una buona spinta fuori dalle curve. In sintesi potremmo dire che è una moto facilissima per andarci a spasso, ma anche mentalmente impegnativa (e tremendamente efficace) quando si spinge tra le curve.

Le sospensioni hanno un set-up piuttosto morbido, a dispetto dell’indole sportiva. Lo si avverte soprattutto in frenata, dove sotto la spinta possente del doppio disco anteriore il trasferimento di carico si fa sentire. Il posteriore, invece, appare ben controllato e omogeneo nella risposta, tanto sulle buche quanto sull’asfalto più levigato, quando si ci si diverte ad osare un po’ di più. Tra le caratteristiche di pregio vi è senz’altro il cambio, davvero perfetto per precisione e rapidità di inserimento dei rapporti. La trasmissione finale originale è un po’ lunga ma poco male, nei tornanti più stretti capita di dover utilizzare la prima marcia ma bisogna dire che l’innesto avviene senza alcun rifiuto o impuntamento ed è molto sfruttabile.

La posizione di guida non è sacrificata in rapporto alle dimensioni, però il peso che grava totalmente su polsi e braccia del pilota si avverte, già dopo poche decine di chilometri. Il passeggero è contemplato, nel senso che è previsto uno strapuntino di sella e due pedane poggiapiedi. In tema di comfort, però, non gli è concesso nulla, come si conviene ad una moto di questo tipo. Decisamente meglio godersela in beata solitudine.
Quali sono le controindicazioni della RGV 250 Gamma? Per prima cosa i consumi: se le prestazioni in relazione alla cilindrata sono davvero elevate, lo stesso possiamo tranquillamente dire della voracità del motore. Spingendo ad un ritmo allegro ma senza esagerare si scende tranquillamente sotto i 10 km con un litro, e il dato è destinato a peggiorare notevolmente quando si spreme a dovere la meccanica. Il consumo di olio di miscelazione è altrettanto elevato, e con una guida normale difficilmente si superano i 700 km con un litro.

Quanto costa

Nel 1993 la Suzuki RGV costava circa 9.500.000 lire, ovvero poco più di 4.500 euro di oggi. Questa moto è però diventata il simbolo di una categoria sepolta dalle evoluzioni della tecnica e soprattutto dalle normative anti inquinamento, e le quotazioni oggi sono a livelli elevati. Per una RGV in ottimo stato di conservazione le cifre richieste superano i 6.000 euro, addirittura di più per i modelli oggetto di accurate revisioni meccaniche. Cifre importanti ma che, stando alla richiesta, parrebbero addirittura destinate a salire ancora
Tecnica, prestazioni e appeal della RGV sono lontani anni luce da quelli delle piccole cilindrate come le intendiamo oggi. La piccola Suzuki è stata per anni da noi la regina incontrastata delle ipersportive della categoria, e oggi è un oggetto prezioso – quasi di culto -  di quelli da conservare con cura.

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