Nel 2020 essere politicamente corretti nel Motorsport è tutto. Le auto non devono inquinare troppo. Non devono fare troppo rumore. Hanno pure fatto sparire le ombrelline dalla griglia di partenza della F1. Tutto sommato gli appassionati di motociclismo sono fortunati, visto che le MotoGP continuano ad incarnare l’essenza stessa del Racing. Hanno un sound che mette i brividi, sembrano delle belve in gabbia, danno spettacolo e non c’è traccia di ibrido.
Per chi invece il vero amore è rappresentato dalle 4 ruote su pista, lo scenario è profondamente diverso. La F1 dell’era ibrida potrà essere tecnologicamente avanzatissima, ma è oggettivo che la Mercedes pigliatutto di Hamilton non abbia neanche un decimo del fascino della Ferrari 640 con cui Prost stava per strappare il secondo titolo a Senna nel 1990.
A quell’epoca c’erano in pista motori a 8, 10 e 12 cilindri. Le forme erano diverse, le gomme erano diverse. Le gare spesso si trasformavano in una lotta per la sopravvivenza e chi andava a vedere i Gran Premi di persona tornava a casa diverso. Ma non per chissà quale esperienza mistica, quanto semplicemente perché non ci sentiva più bene come prima. Vedere passare 27 macchine alla Parabolica nel 1990 per ogni giro di gara garantiva un’impennata di visite dall’otorino nei giorni successivi al GP. Ma ne valeva dannatamente la pena.
Ma la Formula 1 non era assolutamente tutto e proprio tra l’inizio degli anni 80’ e l’inizio dei 90’ si affermava in modo impetuoso il mondiale Sport Prototipi, dedicato alle poderose Gruppo C.
Le Gruppo C - Unica regola: nessuna regola
Non è esattamente così, ma è pur vero che i limiti regolamentari del Gruppo C era principalmente la quantità di carburante disponibile che era lo stesso per tutti i frazionamenti dei propulsori. Una formula che lasciala la massima libertà di espressione ai progettisti e che lo stesso Mauro Forghieri suggeriva di applicare anche in Formula 1. L’idea era di dare un certo quantitativo di energia e lasciare che gli ingegneri studiassero il modo migliore di sfruttarla. Fu questa la genesi che portò a competere tra loro Porsche, Nissan, Jaguar, Lancia, Mazda, Mercedes e in pratica tutto il firmamento dell’automobilismo moderno.
Il sound di quei bolidi era semplicemente unico e la diversità tecnica delle vetture dava vita a campionati combattuti, con la classica rappresentata dalla 24 ore di Le Mans a simboleggiare l’obiettivo di tutti.
Chi però davvero scelse di essere diverso tra i diversi fu appunto la Mazda. I giapponesi avevano sviluppato il concetto di motore Wankel, concepito in Germania e poi adottato dal Costruttore del Sol Levante fino ad amarlo come un figlio proprio, assurto a simbolo della volontà di affermare la propria tecnologia su tutto e tutti.
La prima Mazda Gruppo C fu la 717, che portò al debutto il Wankel tra i prototipi, ma solo dopo il passaggio dalla 767 alla 787B (forme simili, sostanza diversa) che arrivò il tanto desiderato successo alla 24 di Le Mans nel 1991, grazie anche all’eroico Johnny Herbert, che restò in vettura per uno stint finale molto lungo e riuscì a tagliare il traguardo da vincente in squadra con Gachot e Weidler. Herbert finì la gara disidratato e si perse il podio. Ma poco importa, la storia era scritta ed un prototipo giapponese, spinto da un motore Wankel inventato in Germania, aveva appena vinto la classica tra le classiche Endurance. Poesia del Motorsport.
Quella 787B arancione e verde entrò immediatamente nell’immaginario di qualsiasi appassionato, compreso Valentino Rossi che l’ha guidata a Goodwood. Era filante, cattiva e velocissima. Negli anni in cui correva, i tempi in qualifica delle migliori Gruppo C avrebbe permesso di scattare a metà griglia in F1, pur con un gap di CV e con una bella zavorra in termini di peso. Un po’ come accade oggi tra MotoGP e SBK, ma questa è un’altra storia.
Nel 2011 la Mazda 787B tornò a ruggire a Le Mans
Nel 2011 Johnny Herbert fu chiamato da Mazda per portare a spasso una 787B a Le Mans in occasione del 20° anniversario di quella magnifica vittoria. Un momento magico, immortalato in queste immagini che fanno venire più di un magone a chiunque non abbia una batteria al litio al posto del cuore.
Il futuro del Motorsport è ibrido, senza ombrelline e anche senza rumore? La macchina del tempo non l’hanno ancora inventata, ma ogni tanto fare un tuffo in questo passato fatto di rumore, di sporco e di velocità, forse fa bene al cuore. Si tratta di emozioni, di pura passione. Jean Alesi ha dichiarato in una recente intervista che secondo lui le F1 moderne sono molto belle, ma non le sanno raccontare bene. Certo poi ha anche detto che non avrebbe cambiato un giro di pista con il 12 cilindri Ferrari per niente al mondo.
Il problema è forse proprio che se adesso c’è bisogno di raccontare bene questa Formula 1 e tante categorie del Motorsport, vuol dire che queste stesse categorie non si sanno raccontare da sole. Basta guardare la Mazda 787B che passa sotto il ponte Dunlop o affronta il rettilineo dell’Hunaudières per esaltarsi, per sapere che c’è una storia enorme da raccontare dietro quel sound da infarto.
C’è qualcuno pronto a giurare che una Formula 1 moderna fa lo stesso effetto, che sappia parlare al cuore nello stesso modo?